Corea: il contesto della crisi

di Spartaco A. Puttini

obama binocolo2Riceviamo e volentieri pubblichiamo come stimolante contributo alla discussione

La primavera 2013 ha registrato una escalation in Estremo oriente che ha riguardato la Corea del Nord da una parte e gli Usa e la Corea del Sud dall’altra. Stando alle notizie trasmesse dai media gli Stati Uniti, la Corea del Sud e il Giappone sarebbero stati minacciati di attacco nucleare dalla bellicosa Repubblica democratica popolare di Corea, paese, a quanto si dice, dove vige una strana dittatura dinastica e stalinista.

Stando ai media non è apparentemente chiaro cosa abbia innescato l’escalation, forse semplicemente la follia che animerebbe questo paese del Terzo mondo nel quale il popolo farebbe la fame, di carestia in carestia, ma una rumorosa élite militare si trastullerebbe con esperimenti nucleari e missili balistici puntati sulle inermi città degli Usa, sulla parte meridionale della penisola e sul vicino Giappone.


Solo dopo un po’ emerge, quando emerge e con fatica, che le minacce nordcoreane sarebbero da intendersi come una risposta un po’ sbruffona alle manovre militari congiunte che tradizionalmente avvengono nella regione tra gli Usa e il governo di Seul. Ma, aggiunge qualcuno, queste minacce sono per lo più da intendersi come il modo di rinsaldare dietro al regime un popolo prostrato cui solo l’ebbrezza del nazionalismo offre un po’ di baldanza. Oppure, aggiunge qualcun altro, è semplicemente un modo per scroccare dall’America qualche tonnellata di derrate alimentari, senza le quali i nordcoreani morirebbero di fame. Fame e minaccia nucleare nordcoreana sarebbero dunque le coordinate per comprendere la crisi in corso. E’ ciò che si evince da un libro che si fregia della prefazione della poco onorevole Emma Bonino, che qualcuno, anche a sinistra, vedrebbe di buon occhio al Quirinale1.

Per qualcun altro però, la crisi coreana è cosa seria e il regime di Pyongyang rappresenta un pericolo che non può essere preso sotto gamba.

Chi scrive non è un fine conoscitore della politica interna della Corea del Nord. Ho sentito parlare, come tutti, della difficile condizione di vita che esisterebbe a nord del 38° parallelo e delle carestie. La crisi alimentare registrata negli anni passati, resa acuta dalla bassa estensione delle terre coltivabili e da tragici cataclismi naturali, parrebbe aver registrato un miglioramento nel corso degli ultimi anni2. Comunque tali fenomeni, almeno per come sono stati presentati all’opinione pubblica occidentale, appaiono in contraddizione con le statistiche che assegnano alla Corea del Nord un ottimo piazzamento (tra i primi 10 paesi al mondo!) nella produzione ortofrutticola. La stessa sottolineatura dell’isolamento in cui vivrebbe il paese parrebbe smentita non solo sul piano delle relazioni diplomatiche e commerciali che intercorrono con altri paesi asiatici e del Sud del mondo, ma anche dalla fruttuosa collaborazione avviata con la FAO, e dalla FAO stessa definita “una storia di successo”.

Quanto alla relativa povertà del paese e alle condizioni di vita, l’unico dato certo riguarda l’alta percentuale di alfabetizzazione.

In ogni caso sembrerebbe che il quadro dello stato della Corea del Nord sia un po’ più articolato di come viene proposto dal circuito mediatico.

Comunque sia, non è oggi in discussione la politica interna nordcoreana. Per capire l’attuale crisi è più opportuno uno sguardo che la contestualizzi nel tempo e nello spazio delle relazioni internazionali.

A seguire i media, parrebbe quasi che, svegliatisi di prima mattina con la luna storta, i dirigenti nordcoreani abbiano deciso di tenere minacciose manovre militari al largo della California grazie al supporto del Messico o del Canada.

Mentre invece sono gli Usa del premio Nobel per la pace Obama che stanno dando sfoggio della loro potenza devastante a migliaia di chilometri di distanza da casa loro, dopo aver affermato l’importanza strategica che riveste la regione Asia-Pacifico nella politica estera di Washington nel secolo appena iniziato, al chiaro scopo di contenere l’ascesa della Cina, e che hanno inserito la Corea del Nord nella lista nera del fantomatico asse del male (e a Pyongyang sanno bene che fine hanno fatto i paesi che comparivano su tale lista, perché ammesso e non concesso che siano pazzi, per ora non sono ancora stati etichettati come stolti, il che è indicativo).

Per evitare di farsi stritolare per l’ennesima volta nella conformistica propaganda massmediatica occidentale è forse opportuno mettere alcuni fatti in fila e aggiungere qualche puntino alle “i”. Perché la reciprocità tra le Potenze che sta alla radice della crisi è molto più complessa e il suo significato riveste una rilevanza che corre ben oltre le specifiche particolarità della politica nordcoreana.

– L’assedio statunitense all’Eurasia da oriente

Il contesto più ampio in cui la questione coreana si inserisce è quello caratterizzato dall’importanza che assume la regione Asia-Pacifico per la politica estera nordamericana e dall’antagonismo tra gli Usa da una parte e l’intesa tra Russia e Cina dall’altra.

L’espansione sul Pacifico, verso l’Asia orientale, è una costante della storia statunitense e una sorta di continuazione ideale della corsa alla “frontiera”. Dalla guerra ispano-americana del 1898 Washington ha messo stabilmente piede nella regione e sulla scia della vittoria conseguita sul Giappone nella seconda guerra mondiale ha accresciuto notevolmente la sua presenza grazie alla satellizzazione della parte meridionale della penisola coreana, di Taiwan e dello stesso Giappone.

L’Amministrazione Obama ha recentemente dichiarato la regione Asia-Pacifico prioritaria nei disegni strategici degli Stati Uniti nel prossimo futuro e il Pentagono è già all’opera per ampliare ed estendere la sua capacità d’intervento nell’area. Tutto ciò è giustificato, agli occhi della Casa Bianca, dall’ascesa della Cina e dallo slittamento del centro di gravità economica e geopolitica del pianeta dall’area atlantica all’Asia orientale, inversione polare in corso d’opera.

Anche nella regione Asia-Pacifico gli Usa si adoperano per stabilire componenti del loro ambizioso progetto di scudo antimissilistico, il cui fine è rendere immune gli Stati Uniti da possibili attacchi o ritorsioni termo-nucleari. Lo scudo renderebbe Washington in grado di lanciare un primo colpo nucleare e restare immune dalle conseguenze. Questo distruggerebbe il principio della deterrenza su cui Russia e Cina basano le loro strategie e permetterebbe agli Usa di minacciare le due Potenze eurasiatiche da posizioni di vera e propria supremazia.

Così come il sistema ABM in corso di allestimento in Europa centro-orientale viene giustificato con la scusa della supposta minaccia iraniana, in Estremo oriente gli americani si nascondono dietro la supposta minaccia nordcoreana. Per Mosca e Pechino le reali intenzioni del progetto sono comunque evidenti, dati gli effetti, e le scuse accampate da Washington vengono considerate cibo per i gonzi.

In questo contesto più generale di vero e proprio assedio della massa continentale eurasiatica e di nuovo conteinement di Russia e Cina si inserisce la variabile indipendente rappresentata dalla Corea del Nord.

– La guerra di Corea

Innanzitutto, nel valutare la questione coreana e la presente crisi, occorre tenere presente il retaggio di un confronto aspro tra nordcoreani e statunitensi che conta ormai mezzo secolo. Durante la guerra di Corea (1950-53) il nord della penisola venne completamente raso al suolo dai bombardamenti americani e contro i coreani vennero lanciate in modo indiscriminato armi batteriologiche3. Nel corso del conflitto morirono quasi 3 milioni di coreani. Di fronte alla difficile situazione bellica sul campo il comandante statunitense MacArthur chiese addirittura al presidente Truman di ricorrere all’atomica. Questi ricordi sono tenuti ben presenti nella Repubblica democratica popolare di Corea e contribuiscono a spiegare lo stato d’assedio in cui si trova il paese.

Della guerra di Corea vanno inoltre tenute a mente due considerazioni, perché hanno una chiara relazione con la questione coreana al di fuori di qualsiasi periodizzazione.

La guerra scoppiò il 25 giugno del 1950, quando le forze armate nordiste passarono il 38° parallelo lanciando a sorpresa un’offensiva su vasta scala nel tentativo di riunificare la penisola artificialmente divisa dalla conseguenze delle vicende belliche legate al secondo conflitto mondiale. Contrariamente a quanto si asserì in Occidente all’epoca dei fatti, il leader nordcoreano Kim Il Sung non agì assolutamente come una pedina dei russi in base ad un preordinato disegno di espansione del comunismo e della sfera d’influenza sovietica. Kim cercava da tempo di forzare la mano a russi e cinesi, e in qualche modo vi riuscì.

Kim riuscì ad ottenere il supporto bellico con cui tentò l’impresa di riunificare il suo paese dall’Urss avanzando motivi di fondato timore di provocazioni statunitensi contro la Repubblica popolare democratica. Nei due anni precedenti lo scoppio delle ostilità il Nord aveva denunciato ben 1175 casi di violazione della frontiera da parte dei sudisti, assistiti dagli Usa, e lo stesso ambasciatore itinerante di Truman, Jessup, aveva definito il 38° parallelo “un vero fronte” già prima del giugno del 1950.

La costituzione della Corea popolare nel nord della penisola avvenne solamente dopo che un governo filo-statunitense venne insediato a Seul. Tale governo fece sistematicamente fallire l’ipotesi di una riunificazione sulla base di libere elezioni4. In questo contesto il Nord cominciò a considerare l’ipotesi di una spedizione lampo contro i sudisti, prima che il regime di Rhee a Seul riuscisse a schiacciare l’opposizione patriottica favorevole alla riunificazione pacifica della penisola a sud del 38° parallelo. I documenti disponibili mostrano con chiarezza che fino all’aprile del 1950 Stalin era contrario all’attacco. Mosca temeva un coinvolgimento diretto statunitense nella guerra. Altra cosa era ovviamente agli occhi dei sovietici assistere militarmente i nordcoreani, a scopo difensivo5. E’ probabile che il Nord decise di sfruttare l’ennesimo atto di provocazione dei sudisti per lanciare l’offensiva. Dato il celere coinvolgimento americano nel conflitto e data la posta in gioco, costituita dal pericolo di avere una penisola coreana riunificata sotto un governo satellite degli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e la Cina si sentirono costrette ad intervenire in soccorso alla Corea del Nord (la prima soprattutto fornendo assistenza, la seconda militarmente in modo diretto tramite l’invio di “volontari”).

– La Corea del Nord sulla scacchiera

Proprio l’importanza geopolitica costituita dalla penisola, che qualora venisse riunificata sotto l’egida statunitense rappresenterebbe una pistola alla tempia della Cina e una minaccia diretta all’Estremo oriente russo, va tenuta presente quando si affronta la questione coreana. La Corea del Nord rappresenta un cuscinetto al quale nessuna delle due Potenze può rinunciare a cuor leggero, specialmente la Cina. Il coinvolgimento cinese nella guerra di Corea, quando le forze statunitensi si avvicinarono ai confini, passando il fiume Yalu, dovrebbe rappresentare un serio monito e non essere considerato solamente come un ricordo storico della guerra fredda.

La questione coreana deve dunque essere valutata obbligatoriamente all’interno dello scenario più articolato e complesso che misura i rapporti di forza tra Cina e Russia da una parte e gli Usa dall’altra. Dalla storia della guerra di Corea si possono trarre alcuni insegnamenti da tenere da conto. Da un lato abbiamo la certezza che la Corea del Nord si muove in un contesto geopolitico assai intricato con piena autonomia di giudizio e di azione; dall’altro che Russia e Cina non possono lasciarla comunque in balìa di un aggressione americana e non possono restare insensibili all’ipotesi terribile di una drammatica precipitazione degli eventi. Pechino e Pyongyang sono inoltre legate da un’alleanza difensiva che impegna entrambe a soccorrersi militarmente in caso di aggressione da parte di paesi terzi. Ma dovrebbe essere chiaro, per le ragioni geopolitiche precedentemente accennate, che anche qualora quel trattato non esistesse sarebbe in fondo la stessa cosa.

La concatenazione delle mosse sulla scacchiera nel corso dell’ultima crisi, tra fine marzo e inizio aprile, dimostra queste reciprocità e impone prudenza:

1) gli Usa hanno avviato esercitazioni che avevano come scenario l’ipotesi della guerra totale contro la Corea popolare ed hanno schierato nelle manovre i loro bombardieri B-2 stealth, capaci di portare ogive nucleari;

2) la Corea del Nord ha risposto alzando a livello massimo l’allerta delle truppe, compresa l’artiglieria missilistica;

3) non casualmente, nel silenzio mediatico occidentale, la Cina ha mobilitato le sue unità militari in Manciuria e nel Mar Giallo, portando le proprie truppe al confine con la Corea del Nord.

Questa mobilitazione cinese, con lo spostamento verso la Corea del Nord di mezzi meccanizzati, corazzati e dell’aviazione ovviamente non serve, come ha scritto qualcuno, nell’ipotesi in cui, per il possibile degenerare della situazione, vaste folle di profughi scappino dal nord della penisola, ma rappresentano “un pieno supporto alla Corea del Nord”6 e un chiaro monito alle provocazioni americane. Così dovrebbero essere intese.

– Il principio del Songun

Dalla guerra di Corea in poi gli Usa non hanno mai smesso di accumulare materiale bellico convenzionale e nucleare nella parte meridionale della penisola coreana e nelle loro basi dislocate in Estremo oriente. La manovre militari in grande stile tenute dagli Usa con la Corea del Sud, manovre che hanno come scenario designato la guerra totale contro la Corea del Nord, appaiono per quello che sono: gravi atti di provocazione e perturbazione dell’ordine internazionale. A questi atti i politici nordcoreani rispondono sostenendo che si difenderanno con le armi in loro possesso.

Ovviamente questo non rende meno grave la situazione ma contribuisce a chiarire le rispettive responsabilità e il groviglio di reciprocità in cui la questione coreana si è incartata.

A Pyongyang hanno visto con chiarezza la sorte toccata a quelle nazioni che Washington aveva messo nel proprio mirino e che avevano accettato, per un certo tempo, di sedersi al tavolo negoziale seppellendo l’ascia di guerra e i loro eventuali propositi di dotarsi di armi nucleari in cambio della promessa statunitense di cessare ogni forma di embargo, assedio, ostracismo e tentativi di destabilizzazione. Chi, nel mondo di oggi, sarebbe pregiudizialmente ostile all’idea di stabilire cordiali rapporti con il governo degli Stati Uniti? Ma i casi dell’Iraq e della Libia (per restare ai più recenti ed eclatanti) parlano da soli. Quei paesi prima sono stati disarmati e poi aggrediti, in vario modo, e seppelliti sotto le bombe. L’atteggiamento statunitense non ha proprio giovato alla buona causa della non proliferazione nucleare.

La Corea del Nord ha quindi puntato decisamente a costruire un proprio potenziale bellico che scoraggiasse una possibile aggressione e che le consentisse di trascinare Seul e Washington a un tavolo negoziale con gli altri paesi dell’area. La strategia scelta da Pyongyang per far fronte al difficile periodo caratterizzato dal tentativo di egemonia americana successivo alla fine della guerra fredda si chiama “Songun”. Il suo significato è porre al centro le Forze Armate e la politica di difesa, sia in termini di allocazione di risorse, sia in termini di orientamento complessivo della società. In Corea del Nord vige il principio della nazione armata, per cui ogni cittadino è soldato.

Oltre ad un cospicuo numero di cittadini sotto le armi, il paese ha destinato parte rilevante delle proprie capacità all’ammodernamento di mezzi militari terrestri di origine sovietica, russa e cinese. L’aviazione pare aver ricevuto parte significativa degli stanziamenti riservati alla difesa, ma appare ovviamente del tutto al di sotto dell’incarico, peraltro prettamente difensivo, che le verrebbe assegnato in uno scenario bellico con Usa e Corea del Sud. Il terrore che venga spazzata via nelle prime ore dell’eventuale conflitto da un blitz statunitense ha giustificato la costruzione di numerosi hangar sotterranei disseminati nel paese. Lo stesso scrupolo è stato riservato alla missilistica e ai vettori del piccolo potenziale atomico di cui sembra dotato il paese. Sono state privilegiate le rampe mobili, più difficili da mettere fuori combattimento con un attacco a sorpresa rispetto ai silos, più vulnerabili. La missilistica e la scelta atomica rappresentano agli occhi degli strateghi nordcoreani i veri elementi deterrenti su cui contare per tenere a distanza di sicurezza la politica americana nella regione. Attualmente pare che l’Esercito del popolo disponga di vettori capaci di una gittata di circa 2000 km, capaci cioè di colpire oltre all’intera Corea del Sud, anche le basi Usa in Giappone (Okinawa). Pyongyang sostiene di aver collaudato con successo anche un missile di 6000 km di gittata, ma in merito i riscontri sono, da quel che sappiamo, contrastanti.

Ovviamente tutto ciò rappresenta ben poca cosa rispetto all’arsenale che possono schierare nella regione gli Usa, per non parlare di quello che potrebbero ammassarvi in tempi piuttosto rapidi: non è certo la Corea del Nord a trainare la corsa agli armamenti.

– C’era una volta un tavolo della pace…

Il deterrente nordcoreano assume rilevanza nel contesto delle reciprocità tra le Potenze che analizzavamo in precedenza. Mira ad ottimizzare, per quanto possibile, le risorse per scartare l’eventualità che il paese possa essere travolto da un’aggressione senza riuscire a minacciare una contromossa abbastanza efficace da generalizzare una crisi internazionale di inaudita gravità, tale da toccare gli equilibri delicatissimi tra le Grandi Potenze.

Al di là dei toni marziali assunti, o attribuiti in modo del tutto caricaturale dai media occidentali, la Corea del Nord cerca innanzitutto di difendersi e punta probabilmente alla riapertura del tavolo negoziale sulla questione coreana tra le due Coree, gli Usa, la Cina, il Giappone e la Russia, che Washington boicottò e fece naufragare nel recente passato.

Durante la leadership di Kim Jong-Il il tavolo a sei sembrava ben avviato per una risoluzione a tutto campo della delicata questione coreana. Le relazione tra le due Coree volgevano al bello e si tennero incontri diretti tra i vertici politici dei due paesi. Si iniziò a trattare delle possibili basi di una progressiva riunificazione pacifica, guardando ai recenti successi cinesi nella riunificazione con Hong Kong sulla base della politica “una Cina, due sistemi”. Addirittura, elemento puramente simbolico ma denso di significato, si pensò di poter presentare alle Olimpiadi una delegazione coreana unica.

All’inizio anche Washington guardò con interesse l’offensiva di pace lanciata dal nuovo leader nordcoreano Kim Jong-Il, succeduto al padre. Ma quest’interesse durò poco. Appena il tempo di rendersi conto che il nuovo dirigente era disposto a trattare ma non a capitolare, che non si trattava di un Gorbaciov nordcoreano, cioè di un utile idiota.

Lo scoglio insormontabile emerse quando Pyongyang cercò di barattare la propria opzione atomica, non con qualche tonnellata di grano, ma con l’impegno al disarmo nucleare totale della penisola. La de-nuclearizzazione militare dell’intera penisola rappresentava però una proposta che colpiva al cuore l’interesse statunitense di poter disporre di un ragguardevole arsenale a ridosso della Cina e alle spalle della Russia, così Washington prese a boicottare i lavori del tavolo a sei, finché questo non si arenò.

– Il principio del Juché

In realtà gli stessi toni attribuiti nei giorni dell’escalation di primavera 2013 ai dirigenti nordcoreani rappresentano la consueta arte di ribaltare e trasfigurare la realtà. Leggendo il “Rodong Sinmun”, organo ufficiale del Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori della Corea, i toni che emergono sono indubbiamente marziali, ma non incendiari come viene strillato dai media occidentali. L’editoriale del 15 marzo 2013 nell’edizione inglese denuncia fermamente il tentativo di costringere al disarmo la Nordcorea, tramite un utilizzo strumentale delle Nazioni Unite, nel momento stesso in cui gli Usa si lanciano in vaste manovre militari ai confini del paese con l’ausilio dei loro “fantocci” sudcoreani, come vengono definiti i governanti di Seul. Il giornale accusa gli Usa e i loro alleati di portare l’intera responsabilità di disturbare la pace e la stabilità nella penisola coreana e nelle aree adiacenti. Richiama la necessità di condurre la necessaria battaglia contro i progetti di guerra nucleare degli Stati Uniti e di difendere la dignità del paese e i diritti della nazione all’esistenza e all’indipendenza. Per questo annuncia la cesura del collegamento con il telefono rosso per le situazioni d’emergenza stabilito con Seul e considera disdetto e sepolto il reciproco impegno alla non-aggressione7.

Il 9 aprile viene rilanciata l’accusa (formulata questa volta dal Comitato per la riunificazione delle due Coree) che Washington e Seul, con le loro manovre militari, stiano provocando il rischio di una seconda guerra di Corea e il giornale fa presente che per 60 anni statunitensi e sudcoreani hanno steso elenchi di obiettivi sensibili da sottoporre al bombardamento a nord del 38° parallelo, che divide la penisola. Sottolinea inoltre in modo circostanziato l’enorme sfoggio di potenza bellica fatto dagli Usa e dai loro alleati in occasione delle recenti manovre; ricorda il fatto che Washington non ha mai fatto mistero della sua intenzione di poter utilizzare l’arma atomica contro la Corea del Nord, ritenendo di aver perso la guerra dei primi anni Cinquanta proprio a causa della scelta di non ricorrere all’arma assoluta. L’editoriale appare come una requisitoria di tutte le decisioni ostili prese dagli Usa contro il paese e delle azioni concrete messe in campo allo scopo di dar corpo a quei progetti. Si chiude con la denuncia del pericolo di escalation criminale innescato dalla politica di provocazione e di aggressione degli Usa che rischia di degenerare in un nuovo conflitto8.

Non sono parole leggere, ma vengono pronunciate in un contesto preciso (che non può essere ignorato) e comunque sono assai lontane dal manifestare l’intenzione di sferrare un proditorio attacco nucleare contro le città degli Stati Uniti.

Il problema pare essere, al solito, che il paese paria di turno si rifiuti di rinunciare alla propria via di sviluppo e di acconciarsi ai desiderata di Washington e si incaponisca, con i mezzi a disposizione, a portare avanti una politica in linea con quelli che il suo gruppo dirigente ritiene essere, a torto o a ragione, gli interessi nazionali del proprio paese.

Del resto è noto che la politica nordcoreana è fieramente legata alla difesa della sovranità della nazione. La teoria del Juché, formulata da Kim Il Sung, e ritenuta dal Partito dei lavoratori l’arricchimento nordcoreano del marxismo-leninismo, considera il protagonismo delle masse popolari il motore per la trasformazione della società in senso socialista e ritiene che questo moto sia impossibile senza la difesa intransigente della sovranità e dell’indipendenza nazionale, che rappresentano la pietra angolare della propria impostazione politica, caratteristica fondante della continua ricerca di una propria specifica via alla costruzione di un sistema socialista che tenga conto degli interessi e della caratteristiche particolari della nazione coreana al di fuori di qualsiasi tentativo di importare meccanicamente modelli stranieri ed estranei al tessuto locale della società. Corollario di questa impostazione è la difesa dell’indipendenza politica dalle Potenze, lo sviluppo autonomo della propria economia nazionale e il principio di difendersi con le proprie forze nella politica di difesa9. In virtù di questo la Corea del Nord tiene un atteggiamento autonomo dalle Grandi Potenze e non è disposta a capitolare.

Questo dato non è destinato a mutare e può rendere pericoloso costringere questo paese con le spalle al muro a furia di sanzioni e provocazioni.

Il punto è che, malauguratamente, anche la politica statunitense, tendente all’egemonia, non pare assolutamente in via di revisione. L’unico risultato che gli Usa colgono nell’attuare politiche così aggressive nella regione consiste nel tenere acceso un pericoloso focolaio di tensione internazionale che potenzialmente potrebbe precipitare in qualsiasi momento e nell’allontanare l’ipotesi di una sistemazione stabile e pacifica della questione coreana. Ma forse è proprio questo che attualmente cercano di ottenere per garantire una loro smisurata presenza in un punto di fondamentale importanza della regione Asia-Pacifico.

NOTE

1 Non citerò gli estremi del libro qui accennato per non fargli involontaria pubblicità.

2 Si veda il rapporto della FAO sul bilancio della collaborazione stabilita nel settore con le autorità nordcoreane, collaborazione definita “una storia di successo”: http://www.fao.org/fileadmin/templates/rap/files/epublications/DPR_KoreaedocFINAL.pdf

3 “L’obiettivo fondamentale era di sperimentare in condizioni di guerra i vari mezzi della guerra batteriologica e, in seguito, di allargare gradualmente questi esperimenti bellici, per farli diventare parte integrante delle regolari operazioni militari, a seconda dei risultati conseguiti e della situazione in Corea”; dalla deposizione resa alle autorità nordcoreane dal Capo di Stato Maggiore del I stormo aereo del corpo dei marines, col. Schwable. In: Abbiamo lanciato in Corea armi batteriologiche; suppl. n.3 a “La Pace”, Roma 1953.

4 Ancora nel maggio del ’50 il Nord avanzò la proposta di tenere elezioni in tutta la penisola per la costituzione di un parlamento unitario, nonostante che nel Nord vivessero solo 10 milioni di coreani a fronte dei 30 milioni censiti a sud del 38° parallelo. Evidentemente il regime di Rhee a Seul non si sentiva abbastanza sicuro. Prova ne sia che il presidente Rhee, dopo aver perso le elezioni sudcoreane, impedì al nuovo parlamento uscito dalle urne di riunirsi e cominciò una violenta repressione delle opposizioni di qualsiasi colore politico che osassero sostenere l’opzione della riunificazione pacifica della penisola.

5 La storiografia dibatte ancora oggi circa l’ipotesi di un successivo cambiamento di opinione da parte di Stalin, il quale, secondo alcuni , avrebbe dato alla fine disco verde a Pyongyang. Ma riguardo alle motivazioni che avrebbero provocato questo mutamento di rotta sono state al momento formulate solo congetture. In proposito si veda la recensione di “Foreign Affairs” al libro Uncertain Partners: Stalin, Mao, and the Korean War: http://www.foreignaffairs.com/articles/50074/donald-zagoria/uncertain-partners-stalin-mao-and-the-korean-war

La tesi di un cambiamento e di un successivo disco verde di Stalin a Kim è sostenuta da: Shen Zhihua, Sino-Soviet Relations and the Origins of the Korean War: Stalin’s Strategic Goals in the Far East; in: “Journal of Cold War Studies”, vol. 2, n.2, Spring 2000

7 “Rodong Sinmun”, Ed. inglese online, 15/3/2013

8 “Rodong Sinmun”, Ed. inglese online, 9/4/2013

9 “La nostra rivoluzione ha fatto e continua a fare un cammino molto complesso e difficile. […] Voi mi chiedete se è corretto affermare che le idee del Juché possono essere tradotte con il principio della sovranità in ambito politico, con l’indipendenza in ambito economico e tramite l’autodifesa nella politica di difesa nazionale. E’ questo il modo esatto di comprendere [il Juché]. […] A partire dagli interessi del nostro popolo, dagli interessi della nostra rivoluzione, il nostro Partito si è costantemente attenuto alla sua posizione indipendente consistente nel decidere lui stesso e in totale indipendenza la sua politica […] secondo il principio della fiducia nelle proprie forze”. In: Kim Il Sung, À propos de quelques problèmes concernant les idées du Djoutché de notre parti et la politique extérieure de la République; Pyongyang, Ed. en langues etrangères 1972, pp.6-7