Lettonia ed Estonia: tra integrazione e russofobia

estonia passaportodi Cristina Carpinelli

Nel territorio baltico erano state costruite negli anni Quaranta grandi aree industriali e, data la scarsità di manodopera locale, era stata importata forza lavoro slava orientale. La massiccia immigrazione aveva polarizzato nel tempo – sul piano etnico – le Repubbliche baltiche. Nella Regione esistevano due comunità: una russofona, che rappresentava il nucleo operaio delle strutture industriali locali, e una autoctona, che rappresentava il ceto medio-alto delle imprese e delle istituzioni pubbliche.

Oggi, in Estonia, la minoranza russa rappresenta il 24,8% della popolazione totale, mentre, in Lettonia – il 26%. Due gruppi tutt’altro che esigui. Eppure, ferite storiche mai del tutto rimarginate fanno sì che i russi del Baltico siano ancora posti ai margini della società. Il fatto è che, malgrado siano trascorsi più di vent’anni dalla fine dell’Urss, in Estonia e Lettonia perdura la diffidenza verso le minoranze russe – quali eredi di un passato (quello sovietico) considerato tiranno. 

Tale diffidenza si è spinta sino al punto d’incoraggiare i cambi di nome, in favore della lingua autoctona, per evitare discriminazioni e perdita di diritti. Una signora, intervistata dalla tv di Mosca in un servizio da Riga, aveva testimoniato: “Sono russa, abito qui dal tempo della guerra. Mi chiamo Julija. Ma ora dovrò cambiare nome se vorrò avere i miei diritti. Il nome equivalente sarà Giuliege…”. Sul passaporto di color grigio dei russi residenti in Estonia, privi di cittadinanza, è scritta la parola “alien” (alieno). Nel 2003, i residenti dei due Paesi baltici, privi di cittadinanza (vale a dire, quasi tutti gli abitanti russi), non avevano potuto partecipare al referendum sull’adesione all’UE.

Il costante declino demografico che sta colpendo i due Paesi non contribuisce, inoltre, ad alleviare la sindrome della russofobia. La “doppia cittadinanza”, in Lettonia, è stata di recente introdotta per rispondere al basso tasso di natalità e al saldo migratorio negativo, che fa crescere l’esigenza d’importazione di manodopera straniera. Il governo, dunque, sta preparando la strada per far sì che il flusso migratorio sia costituito prevalentemente da “emigrati di ritorno”.

Se dal punto di vista legislativo questi due Paesi hanno fatto passi concreti per avvicinare i russofoni ai nativi etnici in tema di riconoscimento dei diritti civili e politici, non altrettanto è stato fatto sul piano della parità socio-economica. Non è un caso che la neo-eletta presidente estone, Kersti Kaljulaid, ha posto come uno dei punti prioritari della sua agenda politica quello della maggiore integrazione delle minoranze russofone. 

Sia in Estonia sia in Lettonia, disoccupazione e povertà colpiscono in particolare le minoranze russofone, che soffrono tra l’altro della mancanza d’investimenti e infrastrutture nelle zone dove sono insediate. Bassi standard di vita caratterizzano queste popolazioni, che vivono in quartieri degradati situati nelle periferie dei centri urbani.

La prossima sfida per Lettonia ed Estonia sarà quella di portare a compimento il processo d’inclusione delle minoranze russofone. Un compito non facile, reso peraltro più arduo a causa dei venti di guerra provenienti da oltreoceano, che hanno internamente accentuato il clima russofobo, con effetti negativi sulla vita quotidiana di queste minoranze.

Intanto, l’Estonia ha fatto sapere che nel 2018 inizieranno i lavori per la costruzione di una barriera lungo buona parte del suo confine con la Russia (110 km.). Un’iniziativa – ha sostenuto il governo estone – per proteggere la frontiera esterna dell’area Schengen dai flussi migratori. Tuttavia, secondo la Russia, questa misura non ha niente a che fare con il timore “migranti”. Va, piuttosto, interpretata, come una “mossa anti-russa”. In Lettonia, invece, la costruzione della barriera (193 km.), lungo il confine con la Russia, è già iniziata. Stessa la motivazione data: impedire l’infiltrazione di immigrati clandestini. Ma, poiché, la Lettonia ha ottenuto 2 milioni di euro dall’UE come aiuto per costruire la barriera, il sospetto che dietro questa misura ci sia la solita retorica della “minaccia russa” è più che fondato.