Il Donbass nel 2015, dopo gli accordi di Minsk

donbass soldatoda svpressa.ru

Traduzione dal russo di Mauro Gemma

Continua la nostra rassegna di opinioni espresse da specialisti e politici russi di diverso orientamento, sulle più rilevanti questioni di politica internazionale che vedono coinvolta la Federazione Russa.

In “Svobodnaya Pressa” (SP), due autorevoli esperti e un parlamentare della Repubblica Popolare di Donetsk si confrontano sulle vicende del Donbass – peraltro con valutazioni non sempre coincidenti – traendo un bilancio su quanto è avvenuto nel corso del 2015, in particolare dopo gli accordi di Minsk.

“Svobodnaya Pressa”: Praticamente tutto il 2015 è trascorso per il Donbass sotto il segno degli accordi di Minsk. In realtà il “processo per il regolamento” si è trasformato per le repubbliche in una situazione di “né pace né guerra”. E’ vero che il numero degli attacchi contro gli insediamenti civili da parte delle forze di sicurezza ucraine è diminuito. Ma comunque continuano. Mentre non ci sono dati precisi sulle vittime civili nel 2015. Tuttavia è chiaro che stiamo parlando, come minimo, di una dozzina di persone. Si convenga allora che è difficile definirla una situazione di pace. Allo stesso tempo, procede il blocco economico delle repubbliche non riconosciute da parte di Kiev. Tra l’altro, in violazione degli stessi accordi di Minsk. Il 25 dicembre al checkpoint a Elenovka, a un’azione di protesta contro il sabotaggio da parte delle autorità di Kiev delle decisioni di Minsk-2 hanno partecipato circa 700 residenti della Repubblica Popolare di Donetsk.


Sugli effetti del 2015 per le sofferenti repubbliche non riconosciute intervengono alcuni esperti:

“La cessazione delle ostilità militari più intense nei primi mesi del 2015, la conclusione degli accordi di Minsk hanno avuto un certo effetto positivo, – è l’opinione di uno dei maggiori esperti del Centro di Studi Politico-Militari dell’Università Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali (MGIMO), Mikhail Aleksandrov -. Altra cosa è il fatto che a una guerra così seria, come quella a cui abbiamo assistito presso Debal’tsevo, non si sarebbe probabilmente arrivati se la Russia fosse intervenuta nel conflitto nel 2014. Con molta probabilità si può sostenere che l’esercito ucraino sarebbe crollato e la giunta di Kiev non avrebbe resistito. E oggi saremmo già impegnati nella costruzione di relazioni amichevoli nell’ambito dell’Unione Eurasiatica con l’Ucraina o un altro stato su questo territorio. Questa sarebbe stata l’opzione migliore per la Russia.

Ma alla fine è prevalsa l’opinione dei liberali all’interno della dirigenza russa, secondo cui è meglio accordarsi con l’Occidente. E per questa ragione stabilire una tregua nel Donbass e cercare di trasformare l’Ucraina in uno stato federale neutrale”.

SP: Ci sono segnali che ci si stia gradualmente avvicinando a ciò?

“Questo progetto non si è ancora realizzato. Gli accordi di Minsk, nello scorso anno, non hanno dimostrato la loro efficacia. Fin dall’inizio era chiaro che l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, non era d’accordo sulla trasformazione dell’Ucraina in uno stato neutrale, poiché ciò è in contraddizione con i suoi piani di dominio nello spazio post-sovietico e di accerchiamento della Russia.

Si sarebbe potuto anche scegliere questa tattica: in risposta agli attacchi delle forze di sicurezza ucraine  condurre operazioni militari locali, per farle ritirare lontano da Lugansk e Donetsk. Ma non è stato fatto. Di fatto, ci troviamo nella stessa situazione di prima. Nessun progresso. Certo, la gente muore di meno. Ma i bombardamenti contro la popolazione civile non sono mai cessati completamente.

Di conseguenza si può dire che la Russia non ha raggiunto quegli obiettivi strategici che si era posta, andando a Minsk-2. L’Ucraina federale neutrale non è comparsa, i rapporti con l’Occidente non si sono normalizzati, le sanzioni non sono state sospese e in prospettiva non saranno abolite, e la gente continua a morire. Il crollo dell’Ucraina, che ingenuamente si aspettavano alcuni nostri esperti, non c’è stato. Soprattutto perché l’Occidente le permette di “galleggiare” in qualche modo.

Pertanto, alla fine del 2015 ci troviamo nuovamente nella stessa condizione di fine 2014. In una situazione abbastanza precaria. L’Ucraina per molti aspetti continua a legarci le mani. Prima o poi bisognerà prendere delle decisioni. Dal momento che rimanere all’infinito in questa situazione non è possibile. Naturalmente, la nostra partecipazione al conflitto in Siria ci apre qualche prospettiva geopolitica. Ma limitata se consideriamo i rischi considerevoli. Se fosse possibile includere l’Ucraina nella nostra orbita, si verrebbe a creare un vero e proprio polo di forza e le nostre prospettive sarebbero molto più rosee”.

SP: A proposito, come ha mostrato la Siria, non abbiamo esitato a intervenire in un conflitto pericoloso e lontano da noi. Perché in Ucraina, che è molto più vicina a noi e non solo geograficamente, non abbiamo ritenuto di sostenere le milizie del Donbass, perlomeno con l’aviazione militare?

“Purtroppo è prevalso un approccio formalistico – bisogna rispettare la legge alla lettera. Quando un regime legittimo ci invita a bombardare i suoi nemici, significa che tutto è nell’ordine delle cose. Sebbene in Ucraina fin dall’inizio della guerra civile sarebbe bastato che l’allora del tutto legittimo presidente Yanukovich avanzasse la richiesta necessaria alla dirigenza della Russia.

Anche se, per ragioni di obiettività, va detto che nel conflitto siriano non si manifesta così chiaramente la contrapposizione tra Russia e Occidente, che avvertiamo in Ucraina. In Siria, in qualche modo combattiamo insieme all’Occidente contro il terrorismo islamico”.

Il politologo Dmitry Kulikov ritiene invece che non esistano alternative agli accordi di Minsk. In questo caso, la Russia si attiene al principio che “l’acqua erode la pietra”.

“A mio parere le intese di Minsk-2, in vigore per quasi tutto il 2015, hanno contribuito a ottenere l’essenziale, con la drastica riduzione del numero delle vittime civili. Le forze di sicurezza ucraine  puntavano sul fatto che gli abitanti delle repubbliche popolari non fossero in grado di resistere ai bombardamenti ed esigevano dalle dirigenze delle repubbliche non riconosciute una pace a qualsiasi condizione. Proprio gli accordi di Minsk hanno offerto la possibilità alla maggior parte degli abitanti del Donbass di tirare un sospiro di sollievo.

E’ un bene che l’accordo sia stato prorogato di un altro anno. Ma è sempre più evidente che Kiev non può rispettarlo, anche se lo volesse”.

SP: Tuttavia, dal momento della firma di Minsk-2 sotto i bombardamenti delle forze di sicurezza ucraine, sono morti a decine dei civili. E’ possibile in tali circostanze parlare di tregua? Inoltre, i residenti della Repubblica Popolare di Donetsk nelle città che si trovano in prima linea vivono in condizioni precarietà in ragione del fatto che in qualsiasi momento potrebbero riprendere i bombardamenti…

“Proprio il fatto che la maggioranza degli abitanti del Donbass sia ritornata nelle proprie città, parla da sé. Naturalmente, così non si potrà andare avanti per molto tempo: la tensione, certamente non diminuisce. Ma finora non si vede alcuna alternativa alla fragile, un po’ viziata tregua esistente”.

“E’ vero. Minsk-2 è fortemente criticata nel nostro paese – afferma il membro del Consiglio Popolare della Repubblica Popolare di Donetsk, Miroslav Rudenko –. Ma dobbiamo guardare ai risultati ottenuti quest’anno. Le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk esistono. Nessuno ha consegnato il confine con la Russia al controllo dell’Ucraina, nello stesso momento in cui Kiev da parte sua non rispettava i propri obblighi.

Per quanto riguarda la Repubblica Popolare di Donetsk, la struttura statale è in pieno funzionamento. Possiamo dire che la RPD, l’anno passato e ora, è una repubblica diversa. E’ tornata la maggior parte della popolazione (si stima l’80%). E’ stato riattivato il funzionamento della sanità, dell’istruzione, della cultura. Sono nuovamente somministrate le prestazioni sociali ai beneficiari. I lavoratori del settore pubblico sono pagati regolarmente, anche se all’inizio in cambio dello stipendio ricevevano razioni di cibo. E anche con qualche difficoltà. Gli affari gradatamente si sono adattati alle nuove condizioni. Sono stati riaperti negozi, stazioni di servizio, ecc. A chiunque parli di una nostra resa a Kiev, suggeriamo di andare in qualsiasi negozio e verificare che la situazione economica va in tutt’altra direzione. Ora, nella repubblica in gran parte utilizziamo per i pagamenti il rublo e non la grivna.

E’ molto importante che in materia di istruzione, cultura, attività produttive si sia ritornati all’utilizzo della lingua russa.

Se parliamo dell’attività legislativa, abbiamo varato un centinaio di leggi. Solo un paio di giorni fa abbiamo approvato una legge sulla cultura”.

SP: Quale modello adottate, quando scrivete una legge?

“In generale ci orientiamo verso la legislazione russa. Anche se, naturalmente, dobbiamo tenere conto delle particolarità locali.

La Repubblica in un anno si è rafforzata. Esiste e non ha intenzione di arrendersi”.

SP: E come è cambiato lo stato d’animo degli abitanti del posto nel corso dell’ultimo anno?  C’è delusione per il fatto che la situazione chiaramente non sia cambiata e le truppe ucraine si trovino alle porte di Donetsk? Come prima, la maggior parte della popolazione vuole essere russa?

“Si, è la risposta all’ultima domanda. Questo desiderio appartiene alla maggioranza. Qualcuno, forse, rimprovera alla Russia l’insufficiente, a suo avviso, sostegno. Ma la gente che riflette capisce che senza il sostegno della Russia, della società russa, già da molto tempo saremmo stati strangolati. E penso non solo da chi comanda a Kiev, ma anche dalle forze dell’Occidente che stanno dietro a loro.

Ora abbiamo ormai la certezza che, prima o poi, in un modo o nell’altro saremo integrati alla Russia e all’Unione Eurasiatica. Siamo convinti che percorreremo questa strada fino in fondo”.