La sconfitta dei conservatori in America Latina

presidenti incontrodi Eduardo Paz Rada*

da alainet.org

Traduzione di Mauro Gemma per Marx21.it

L’esperienza storica degli ultimi trent’anni in America Latina è segnata dalla alternanza politica tra il neoliberalismo conservatore subalterno alla strategia degli Stati Uniti nella regione e il nazionalismo anti-imperialista promotore dell’unità e dell’integrazione dei popoli latinoamericani e caraibici. I dati sul grado dell’attuale sostegno ai presidenti conservatori esprimono i livelli del loro deterioramento e, in alcuni casi, il ripudio da parte dei loro popoli.

Gli indici di gradimento sono un segno della crisi dei governi che hanno ripreso le ricette e le linee di azione del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e le bandiere del liberismo selvaggio quale riflesso di imposizioni imperiali: Bolsonaro in Brasile raggiunge a malapena il 32% di consenso, Macri in Argentina uno striminzito 23%, Duque in Colombia il 30%, Moreno in Ecuador il 31% e Piñera in Cile il 34% e inoltre per quanto riguarda questi cinque casi nelle ultime settimane si sono moltiplicate le mobilitazioni popolari e accentuate le crisi interne.

I cinque presidenti citati sono stati anche gli studenti più diligenti nell’applicazione delle istruzioni di Washington cospirando contro il governo del presidente Nicolás Maduro del Venezuela, promuovendo prima il Gruppo di Lima e in seguito l’offensiva “umanitaria”, progetti che hanno fallito clamorosamente sia in ragione del ripudio all’interno di ciascuno dei loro paesi che per la energica difesa civile e militare del popolo venezuelano. Il campo in cui hanno ottenuto una vittoria, che è allo stesso tempo una sconfitta, è stato lo smantellamento dell’iniziativa di integrazione regionale Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) perché la debolezza di fronte alle ondate della geopolitica globale li rende più fragili nei confronti di potenze mondiali come la Cina, gli Stati Uniti, la Russia e l’Unione Europea.

Nell’ultimo decennio del secolo scorso si era assistito alla vittoria del neoliberismo in America Latina che ha portato allo smantellamento dell’intera struttura industriale e difensiva del mercato interno, in particolare in Brasile con Cardoso, in Argentina con Menem e in Messico con Salinas de Gortari, lasciando alla mercè delle transnazionali l’economia dei nostri paesi con il parallelo impulso del progetto dell’Area di Libero Scambio delle Americhe (ALCA) elaborato da Washington.

La reazione difensiva e integrazionista si è manifestata nei primi quindici anni di questo secolo con il progetto bolivariano di Chavez, con Lula, Kirchner, Mujica, Castro, Morales, Correa, tra gli altri, e si è riusciti ad avanzare saldamente nella ripresa economica, nella redistribuzione del ricchezza e nell’indipendenza politica con una voce propria nel concerto internazionale. Tuttavia, l’offensiva conservatrice, che ha utilizzato strumenti poderosi come i media privati, le reti Internet e la giustizia pilotata dal Nord America, ha colpito duramente molti di questi governi.

Ora, a pochi anni dall’ascesa politica dei conservatori, la loro crisi è evidente. Bolsonaro affronta un’offensiva che arriva da più parti e che ha provocato l’immobilismo e l’assenza di risposte, Macri ha portato al disastro l’economia dell’Argentina, Moreno in Ecuador è sull’orlo della caduta della sua poltrona presidenziale, Piñera non riesce a spiegare i traffici e la corruzione delle sue aziende e Duca è stato smascherato per i suoi rapporti con il paramilitarismo e il traffico di droga, mentre ricominciano a soffiare i venti della ripresa dei progetti nazionali, popolari e progressisti.

La ripresa del dialogo in Venezuela, la linea indipendente e latino americanista di López Obrador in Messico, la fermezza del governo di Evo Morales in Bolivia, le iniziative elettorali del peronismo in Argentina e le rivelazioni sulla cospirazione illegale contro Lula in Brasile e il suo probabile rilascio, inducono alla speranza per un nuovo impulso dei processi di emancipazione nella regione.

* Eduardo Paz Rada è un sociologo boliviano e docente dell’UMSA (Universidad Mayor de San Andrés, La Paz) . Collabora a pubblicazioni della Bolivia e di altri paesi dell’America Latina.