A 40 anni dal golpe genocida

plazademayo 40anniLe madri e le nonne di Plaza de Mayo ricordano | da www.abuelas.org.ar

Traduzione di Giulia Salomoni per Marx21.it

Davanti a una grande folla riunita in Plaza de Mayo, Estela de Carlotto legge parte del documento per il 40esimo anniversario del Golpe.

A quarant’anni dal golpe genocida, che causò tanto dolore al nostro popolo, con migliaia di assassinati, detenuti-desaparecidos, prigionieri e prigioniere politici, esiliati, con un popolo unito nella povertà, senza giustizia sociale e con molta paura siamo in Plaza de Mayo per rivendicare le lotte dei 30.000.

Sono passati quarant’anni da quel 24 di Marzo del 1976, quando i genocidi occuparono la Casa Rosada per decidere sulla vita e sulla morte. Con il terrore sistematico come metodo, cercarono di imporre un piano economico, politico, sociale e culturale di fame ed esclusione con la ricetta scritta dai gruppi economici, dal Governo degli Stati Uniti, dalle gerarchie ecclesiastiche e con la partecipazione dei magistrati.

Con la Dottrina della Sicurezza Nazionale iniziarono a instillare l’idea di un nemico interno, formando le Forze Armate alla Scuola delle Americhe per massacrare il popolo. Ci riempirono il paese di paura. Il “non t’immischiare” era la linea editoriale dei media come Clarìn, La Nación e tanti altri che furono complici dei delitti di lesa umanità. Colmarono i fogli dei loro giornali mentendo sul terrorismo di Stato, accusando i militanti di assassinio, descrivendo i crimini come scontri, scrivendo gli argomenti della “teoria dei demoni”, esercitando l’azione psicologica del terrore nell’inchiostro e nella carta, accusando i sopravvissuti che denunciavano la dittatura all’estero di fare una campagna “anti-argentina”.

Quarant’anni dopo, beneficiando dell’impunità, questi stessi media continuano facendo le stesse cose: parlano di “grasso militante” e di “gnocchi”, contrastando i lavoratori e le organizzazioni politiche, perché li disturba che la gioventù si organizzi, lotti, sia solidale e impegnata.

Sono quarant’anni di lotta, memoria e militanza. Quarant’anni cercando i nostri amati. Abbiamo cominciato questo cammino in totale solitudine, con persecuzioni e repressione. Le prime Madri di Plaza de Mayo furono detenute-desaparecidas nella ESMA e lanciate dai voli della morte. Da qui veniamo, dalle difficoltà, da dolore, però anche dall’amore per i nostri figli, figlie, fratelli, sorella, padri, madri, e queste migliaia di militanti che si organizzarono e lottarono per un paese grande, giusto e libero. Scelsero la politica come strumento e si unirono in organizzazioni sociali, politiche, sindacali, studentesche, come la Unión de Estudiantes Secundarios (UES), i montoneros, Ejército Revolucionario del Pueblo (ERP), Fuerzas Armadas Peronistas (FAP), i Sacerdoti per il Terzo Mondo, Vanguardia Comunista e tante altre. Lottarono gli ingegneri degli zuccherifici, le leghe agrarie, le insurrezioni a Cordoba e Rosario, i cantieri navali e le commissioni operaie delle fabbriche.

Questa militanza ci dà orgoglio, come la nostra e quella di tutti i compagni e le compagne che lottano affinché la Patria sia ancora una volta Grande. Quelli che sono infastiditi dalla nostra militanza ci stigmatizzano, però ogni vittoria conferma che siamo sulla strada giusta. Per questo chiediamo che siano omaggiati oggi anche tutti i compagni e le compagne che fanno parte degli organismi dei diritti umani e i sopravvissuti che hanno preso parte a questa lotta e oggi non sono qui fisicamente. Gridiamo anche per questi e queste “PRESENTI!”.

Oggi siamo in questa piazza con la paura di nuovo dentro di noi. Perché nelle scorse settimane hanno sparato a un militante di partito locale e altri due militanti sono stati feriti; perché nelle scorse settimane la Gendarmeria ha utilizzato le pallottole di gomma contro la folla, composta principalmente da bambini e bambine; perché Milagro Sala è una prigioniera politica di questo Governo, a cui dà fastidio la militanza. Ci preferiscono obbedienti e conformisti, disinformati e senza educazione. Ci pretendono sottomessi e impauriti. Però teniamo ben alte le bandiere dei 30.000, diciamo loro che la paura la conosciamo da tempo, con la Triple A e i genocidi, e che non ci fermeranno. Continuiamo a difendere i nostri diritti, continuiamo a difendere la democrazia.

In questi primi 100 giorni di governo la nostra democrazia è retrocessa troppo: con decreti di supposta necessità e urgenza sono state violate le leggi e le istituzioni, come la legge dei servizi di comunicazione audiovisiva e il Congresso della Nazione, quando si tentò di imporre due giudici della Corte. La necessità e l’urgenza che si è imposta è quella di disarmare il Paese che abbiamo, la Patria Grande e uno Stato per il popolo. Lo hanno scambiato con un paese composto da corporazioni e con uno Stato che volta le spalle al popolo, con logiche imprenditoriali e lo svuotamento di politiche sociali fondamentali per garantire i diritti. Per cercare di assicurare questo modello neoliberale del paese, hanno redatto un protocollo di repressione perché la paura interferisca con la protesta sociale e dove le richieste di lavoro, educazione, salute e vita dignitosa siano demonizzate. È importante sottolineare che tra le preoccupazioni del nuovo governo non c’è quella di abrogare una legge che non può avere alcun valore:  la Legge Antiterrorismo. Sarà che l’userà insieme al protocollo di repressione della protesta sociale?

Per questo, perché senza diritti non c’è alcuna democrazia, denunciamo che in 100 giorni il governo di Macri, come sosteneva Rodolfo Walsh nel 1977 nella sua Lettera aperta alla Giunta Militare, ha “restaurato la corrente di idee e interessi delle minoranze sconfitte che impediscono lo sviluppo delle forze produttive, sfruttano il paese e disgregano la Nazione”. Trentanove anni dopo questa Lettera, migliaia di scomparsi, la persecuzione della militanza, i piani sociali svuotati, le leggi del Congresso contro il popolo e la repressione, sono alcuni dei fatti dei primi 100 giorni del governo che ci chiamano a difendere la democrazia. Per questo, oggi sono in questa piazza le organizzazioni operaie, perché i lavoratori sono la Patria, perché noi non permetteremo che ci rubino il diritto al lavoro, né che pongano un tetto alla parità, né che stigmatizzino i lavoratori e le lavoratrici. Dopo più di dodici anni di un progetto inclusivo oggi le politiche di Stato cominciano a essere di esclusione sociale, politica, economica e culturale.

Senza diritti non c’è democrazia, perché quando tutto si concentra in alto, sotto arrivano la povertà, la fame, la disoccupazione, la repressione. Il macrismo è il governo dell’esclusione pianificata e dei diritti per pochi.

Questi quarant’anni ci trovano nella Plaza nella quale cominciammo le ronde delle Madri, delle Nonne e dei Familiari. Incominciammo a camminare quando era proibito riunirsi, quando il Congresso era chiuso, quando la sparizione forzata di persone era il metodo per sterminare l’opposizione, quando la censura era l’arma del governo genocida per escludere la cultura e la informazione, per rendere più facile la sottomissione del popolo. Qui venimmo ogni volta che uscivamo a protestare, marciare e reclamare. Qui ci bombardarono, qui mettemmo i fazzoletti sulla testa, qui facemmo la prima marcia della resistenza in piena dittatura, qui ci massacrarono nel 2001. Qui veniamo a ricordare i nostri amati, poiché lottarono per un paese per tutti e se li presero per ottenere un paese per pochi. Erano donne e uomini con progetti, convinzioni, solidali, impegnati.

Sono quarant’anni: quattro decenni senza questi militanti che ci mancano tutti i giorni.

Per questo non possiamo permettere che nessuno, e tantomeno un funzionario, neghi quest’assenza forzata di 30.000 persona o voglia rispolverare la teoria dei demoni. Nuovamente, esigiamo le dimissioni indeclinabili e immediate di Dario Loperfido, un funzionario negazionista con l’incarico della cultura nel governo di questa città, che ha messo in dubbio la grandezza del genocidio che il nostro popolo ha sofferto. Ed è grave quanto ciò che lui sostiene che il sindaco Horacio Rodriguez Larreta lo mantenga al suo posto.

Siamo arrivati a quarant’anni di lotta, memoria e militanza. In questi decenni i genocidi hanno passato più anni coperti dall’impunità che prigionieri dove dovevano stare: nel carcere comune, perpetuo ed effettivo. Al giudizio delle Giunte Militari succedette la Obediencia Debida, il Punto Finale e gli indulti che rimisero nuovamente nelle strade gli assassini del popolo. Il cammino è stato duro: abbiamo persino visto e ascoltato i colpevoli rivendicare i loro crimini in televisione. Li abbiamo segnalati con gli escraches (azioni dimostrative volte a rendere quanto più possibile pubblico il ruolo che alcune persone mai condannate e che conducono una vita “privata” avevano ricoperto durante la dittatura n.d.t.) per dimostrare che la condanna sociale ripudiava l’impunità. Abbiamo iniziato a veder avanzare cause legali fuori dal paese, mentre qui i frutti dell’impunità si potevano vendere al supermercato, o passeggiando, o sulla spiaggia. Questa storia cominciò a cambiare nel 2003, con il presidente Néstor Kirchner, che decise di uscire dagli steccati della storia e includere nelle politiche di Stato la lotta del popolo per la Memoria, la Verità e la Giustizia.

Così con la continuità e l’approfondimento della presidenza di Cristina Fernández siamo arrivati a questo quarantennale del Golpe con 660 genocidi condannati, 119 identità restituite, più di 130 ex centri clandestini segnalati e 35 spazi di memoria funzionanti. La Memoria, la Verità, la Giustizia ora non sono impossibili: sono una delle vittorie che continuiamo a difendere ogni giorno. Il governo tiene un doppio discorso che va denunciato: mentre dichiara alla stampa che i processi ai genocidi continueranno, licenzia i lavoratori e le lavoratrici che sostengono e garantiscono le politiche di Stato, come quelli che accompagnano i testimoni e gli investigatori per le cause. Poi non interrompe il tentativo di isolare la Procuratrice Generale della Nazione, Alejandra Gils Carbó, e anzi si propongono limitazioni delle sue funzioni. Le politiche di Memoria, Verità e Giustizia, come qualunque altra che garantisca diritti, sono sostenute dai lavoratori e dalle lavoratrici interni. Per questo esigiamo che finiscano i licenziamenti, che si rispetti il diritto al lavoro, che si mantengano le politiche statali per la Memoria, la Verità e la Giustizia tramite le quali abbiamo ritrovato tutti i giovani rapiti, grazie alle quali abbiamo preservato, recuperato e dato un nuovo significato agli ex centri di detenzione clandestina, grazie alle quali continua la ricerca dei corpi dei detenuti-desaparecidos e proseguono i processi contro i genocidi.

Quella del 76 fu una dittatura civico-militare. I gruppi economici, il Governo degli Stati Uniti, le gerarchie della Chiesa e la magistratura furono la parte civile del colpo di Stato più violento della nostra storia, nel quale le Forze Armate utilizzarono alcuni dei metodi di tortura più macabri del mondo. Si resero funzionanti cento centri clandestini di detenzione, tortura e sterminio, nei quali presero parte agli interrogatori e alle torture anche alcuni membri della Chiesa e alcuni magistrati, in cui c’erano medici che partecipavano al piano sistematico di appropriazione dei bambini, nei quali si manteneva il paese nella clandestinità attraverso delitti di lesa umanità. La partecipazione civile a questi delitti di lesa umanità tuttavia è coperta dall’impunità. Alcuni dei responsabili sono stati giudicati, ma la maggioranza no. La magistratura continua a coprire i colleghi e proteggere i suoi colpevoli. Con le cause nascoste, come quella del giornale Prensa, i giornalisti genocidi camminano per le strade e oggi possono tornare a utilizzare l’inchiostro contro la democrazia. Dall’alto della sua posizione è stato il quotidiano La Nación il primo a chiedere l’impunità per i genocidi il giorno dopo il trionfo elettorale di Mauricio Macri. I genocidi civili non ebbero un ruolo secondario: stavano alla stessa tavola di Videla quando era ora di pianificare il terrore. Utilizzarono persino gli uffici di Clarín e de La Nación per commettere i loro crimini, e strutture della Ford per sequestrare, torturare e interrogare. La quasi totalità di questi civili, come Blaquier y Massot, sono rimasti totalmente impuniti.

Non solo siamo condannati al silenzio, ma anche alla menzogna. Per questo torniamo a dire che l’unica guerra che c’era tra il 1976 e il 1983 fu quella delle Malvinas, in cui persero la vita cento persone in nome di una battaglia impari. I crimini di guerra si sommarono ai delitti di lesa umanità commessi da alcuni capi nei confronti dei combattenti, delitti che devono essere giudicati e condannati come parte dell’azione criminale di uno Stato Terrorista. Questo è uno dei debiti di questa democrazia, così come lo è pure l’identificazione dei 123 corpi di coloro che persero la vita nel conflitto bellico. Continuiamo ad esigere il riconoscimento della sovranità sulle isole. Le Malvinas sono argentine! Memoria, Verità, Giustizia, Sovranità!

I genocidi mantengono il patto del silenzio. Questo deve finire. Abbiamo bisogno di sapere la verità, tutta la verità: Dove sono i corpi? Dove sono i ragazzi rapiti? Loro lo sanno perché hanno partecipato. In tutti questi anni abbiamo potuto ritrovare alcuni dei bambini e delle bambine che hanno potuto così abbracciare i loro familiari. Però ne mancano ancora molti: per questo, perché centinaia di giovani non conoscono la loro identità, continuiamo a cercarli. Forse qualcuno o qualcuna è in questa Piazza o c’è qualcuno che li conosce.  Può capitare, perché sono tra noi, sono da qualche parte. Noi li cerchiamo sempre, ogni giorno. Abbiamo bisogno che ci cerchino, che vincano la paura, che abbiano dei dubbi e vengano: se noi li cerchiamo e loro si avvicinano, ci ritroveremo tutti.

Recentemente il Presidente degli Stati Uniti ha annunciato che, dopo 40 anni, saranno declassificati gli archivi della dittatura. È un obbligo di tutti gli Stati e i governi contribuire alla Memoria, alla Verità e alla Giustizia. Per questo speriamo che si avveri l’annuncio e che finalmente si possa accedere a tutta l’informazione che ha questo paese, che fu partecipe dei delitti di lesa umanità che furono commessi nelle dittature della regione con il Piano Condor. Abbiamo bisogno che declassifichino tute le informazioni, che venga estradato il genocida Roberto Bravo, uno degli assassini del Massacro di Trelew e che si provveda urgentemente alla ricerca dei bambini rapiti che potrebbero vivere in quel paese. Poi sosteniamo categoricamente che gli Stati Uniti devono smettere di violare i diritti umani tanto nel loro territorio quanto negli altri, come nel carcere di Guantanamo.

Questa democrazia da più di 32 anni ha dovuto essere difesa molte volte. Nessuno dimentica la sollevazione dei carapintadas (ufficiali di estrema destra dell’esercito argentino n.d.t.), né il massacro del dicembre 2001 contro la ribellione popolare, quando il popolo tornò ad essere vittima di politiche di esclusione e repressione e vi furono oltre 30 omicidi in tutto il paese e le Madri furono nuovamente represse in Plaza de Mayo. Nessuno ha scordato. In settembre saranno 10 anni dalla desaparicion forzada di Jorge Julio López e continuiamo a chiedere di sapere cosa gli sia accaduto e che i colpevoli siano giudicati e puniti. Non dimentichiamo neppure la sparizione forzata di Miguel Brú, né quello che fecero a Luciano Arruga e Andrea Viera, né gli omicidi di Fuentealba, Cabezas, Kosteki, Santillán e Mariano Ferreyra. A quarant’anni dal golpe genocida noi ci sentiamo nuovamente convocati e convocate per difendere la democrazia, poiché il cambio di governo sta ad indicare quotidianamente la violazione dei diritti: migliaia di persone licenziate nel settore pubblico e in quello privato, la criminalizzazione della protesta, l’approfondirsi di pratiche di violenza istituzionale, la persecuzione ideologica, con l’estremo che oggi abbiamo una prigioniera politica: per questo diciamo libertà subito per Milagro Sala!

Vediamo anche con profonda preoccupazione come in questo paese cambiato si approfondisca la violenza istituzionale, la pratica repressiva che nasce ed è alimentata dagli indulti, dall’Obbedienza Dovuta e Punto Finale, e che continua ad essere una delle maggiori emergenze della democrazia. Mentre c’è un potere giuridico che, come ha recentemente fatto notare la Corte Suprema della Giustizia della Nazione, autorizza l’uso delle neopicane taser, siamo lontani dall’estirpare questa violenza, e ne siamo lontani mentre carceri e commissari continuano a funzionare come luogo di criminalizzazione della povertà, di applicazione di tormenti e torture. Per questo ripudiamo energicamente la violenza istituzionale usata recentemente dalla Polizia di Miramar contro un giovane studente militante della differenza sessuale.

Ma con una magistratura che abilita la polizia a chiedere i documenti senza giustificazioni, e con funzionari che, con la scusa di combattere il narcotraffico, pretendono di affidare la sicurezza delle strade alle Forze Armate, il cammino nella lotta per sradicare la violenza istituzionale è sempre più difficile.

Si rende anche difficile porre fine alle violenze contro le donne quando si ha uno Stato che chiude le strutture di attenzione e protezione, o con una magistratura patriarcale, che criminalizza le vittime, o con un Presidente misogino che premia con incarichi pubblici quelli che denigrano le donne e lui stesso afferma che, in definitiva, alle donne piace essere maltrattate. Ci sono donne che quotidianamente perdono la vita per i femminicidi. Senza uno Stato impegnato non c’è alcuna possibile via d’uscita ed ai funzionari non rimane altro posto che quello dei complici. Lo stesso possiamo dire per la tratta di persone: mentre settori della magistratura, delle Forze di Sicurezza e altri funzionari, con azioni e omissioni, sono dalla parte del delitto, siamo ben lontani dal porre fine a questo crimine che quotidianamente ruba migliaia di vite di donne, uomini, bambini e bambine per lo sfruttamento sessuale e/o lavorativo. Basta con i femminicidi! Basta con la tratta delle persone!

Oggi la nostra Patria Grande continua ad essere attaccata, perché le corporazioni non vogliono perdere il loro potere. In questa Piazza, ripudiamo energicamente i tentativi di distruggere le democrazie latinoamericane e abbracciamo il popolo del Brasile nella sua difesa della propria sovranità popolare. Le corporazioni agiscono contro Maduro in Venezuela, Evo Morales in Bolivia, Lula e Dilma in Brasile, dimostrando che la corporazione giudiziaria ed economica non ha frontiere. Si oppongono alla nostra libertà e ai nostri diritti. Per questo, perché abbiamo memoria anche nei piedi, non dimentichiamo il cammino percorso e sappiamo che un popolo organizzato è impossibile da sconfiggere. Perché quelli che fecero sparire i 30.000 e pretendono di uccidere sempre in tutte le lotte, sono gli stessi che oggi perseguitano i militanti. Sono gli stessi che impoverirono il paese con debiti esterni alle loro imprese e danneggiarono con i loro crimini quelli che oggi tornano alla Casa Rosada: i Macri, la Nuova Provvidenza e la Società Rurale Argentina. Sono gli stessi e perseguono lo stesso obiettivo: attaccare il popolo organizzato.

Ci preoccupa anche che si venda la sovranità del nostro paese con la megaminiera, la vendita alle potenze straniere delle nostre risorse nazionali e con un pagamento irresponsabile dei fondi avvoltoio. Non possiamo tornare ad accettare che ci impongano debiti ingiusti. Ricordiamo il danno e la fame che ci hanno provocato per decenni i debiti esteri della dittatura. Non vogliamo tornare a questo. Difendiamo il nostro paese, difendiamo il nostro futuro.

A quarant’anni dal golpe genocida sentiamo l’orgoglio delle lotte dei 30.000 detenuti-desaparecidos. Li guardiamo nelle foto e li ricordiamo con amore, e possiamo rivendicare le loro lotte. Possiamo nominarli qui, nella Piazza del popolo, e sapere che sono parte della stessa memoria che li abbraccia. Lottarono per una Patria Grande, giusta, libera, solidale ed inclusiva. E malgrado le perdite, e malgrado il dolore, e malgrado oggi stiamo vivendo un regresso in materia di diritti nel paese, ciononostante non perdiamo né perderemo le speranze: sappiamo che sono possibili anche le cose impossibili. A quarant’anni dal golpe genocida, a quarant’anni di lotta, di memoria e militanza senza diritti non c’è democrazia.

30.000 DETENIDOS-DESAPARECIDOS PRESENTES, AHORA Y SIEMPRE
30.000 DETENIDOS-DESAPARECIDOS PRESENTES, AHORA Y SIEMPRE
30.000 DETENIDOS-DESAPARECIDOS PRESENTES, AHORA Y SIEMPRE

ABUELAS DE PLAZA DE MAYO
MADRES DE PLAZA DE MAYO LÍNEA FUNDADORA
FAMILIARES DE DESAPARECIDOS Y DETENIDOS POR RAZONES POLÍTICAS
H.I.J.O.S. CAPITAL