Porto Rico non è la Grecia?

puertorico vorticedi Antonio Santos | da www.avante.pt

Traduzione di Marx21.it

Quando il governatore di Porto Rico, Alejandro Garcia Padilla, ha annunciato che il debito del protettorato degli Stati Uniti, del valore di 73 milioni di dollari, “non è pagabile”, le somiglianze con la situazione in Grecia hanno innescato una miccia di confronti pericolosi:  i due paesi hanno sofferto amputazioni di sovranità per entrare a far parte di progetti continentali di matrice neoliberista; entrambi subiscono debiti da usura che oltrepassano largamente la totalità del Prodotto Interno Lordo (PIL) e sia l’uno che l’altro hanno imposto dure misure di austerità ai rispettivi popoli.

Contro questa comparazione, si sono subito sollevati, sui due lati dell’Atlantico,  battaglioni di analisti offesi a dimostrare perché “Porto Rico non è la Grecia”: gli uni si sono rifatti alla risposta della Casa Bianca, che ha rapidamente escluso il “salvataggio”;  gli altri hanno alluso all’impossibilità legale del Fondo Monetario Internazionale di intervenire in un territorio che non è uno Stato indipendente; altri ancora hanno messo in contrasto la natura federale degli USA con l’architettura istituzionale dell’unione Europea e persino l’economista Paul Krugman ha rilevato le differenze nelle statistiche del consumo.

E’ chiaro che esistono importantissime differenze tra i malanni che affliggono portoricani e greci: mentre l’integrazione della Grecia nell’Unione Europea è un’esperienza recente, la perdita dell’indipendenza di Porto Rico è un processo complesso che è venuto sviluppandosi in più di un secolo, dalla guerra ispano-americana.  Ma i contrasti riguardano principalmente la scala e il tempo.

Preparare l’uscita dal dollaro e dagli USA

Marx ha scritto che il capitalismo non ha la capacità di offrire soluzione alle crisi economiche a cui dà origine, ragion per cui ricorre, sistematicamente,  alla loro dislocazione da una regione del globo ad un’altra. E’ ovvio che Porto Rico non è uguale alla Grecia, ma le sue crisi sono le stesse e confluiscono, per la loro intrinseca natura, nella stessa direzione.

La trasformazione della nazione caraibica in un serbatoio contemporaneo di schiavi è un esempio di ciò. Dopo essere stato trasformato in una colonia moderna, Porto Rico è stato sottoposto a successive riforme economiche per rendere “più competitiva” l’economia dell’arcipelago. Le imposte sul lavoro ascendono al 30%, nonostante l’esenzione totale delle imposte federali che incidono sul vicino, e in un regime di integrazione economica e in cambio di alcuni sussidi federali l’apparato produttivo dell’isola è stato completamente devastato.

Il risultato è una nazione che ha perso lo Stato ed è stata ridotta a un “territorio” in condizioni diseguali rispetto ai restanti membri del “progetto americano”, dove il 45% della popolazione vive nella povertà e un terzo dei lavoratori necessita di aiuto alimentare per sopravvivere. In presenza di durissime misure di austerità, che comprendono il razionamento dell’acqua potabile e dell’elettricità, la chiusura di, in media, 150 scuole all’anno e durissimi tagli di bilancio nella sanità, tutti i giorni più di 100 portoricani lasciano la loro terra verso il Nord.

In questo momento, sono quattro le possibilità presentate dal grande capitale degli USA: la prima soluzione sarebbe quella di ritardare e approfondire ulteriormente il problema con un prestito federale, in cambio di maggiore austerità. Questa è, tuttavia, una possibilità che Barack Obama sembrerebbe scartare, delegando una scelta di tipo europeo alla prossima amministrazione. La seconda opzione è cambiare o forzare le regole del FMI per permettere l’intervento in un solo territorio di uno Stato. Questa scelta sembra non essere sgradita al FMI, che ha già proposto all’arcipelago una serie di misure, tra cui la fine del salario minimo federale. La terza possibilità è dichiarare il fallimento del territorio, sull’esempio di Detroit e del Michigan. Questa possibilità è stata, tuttavia respinta dalla Corte Suprema perché obbligherebbe a un cambiamento radicale della legge. La quarta possibilità è l’espulsione di Porto Rico dagli USA e dal dollaro, un’opzione di minoranza che però acquisisce respiro nella misura in cui crescono le preoccupazioni circa la sicurezza dei fondi di investimento collocati a Porto Rico.

Come in Grecia, non ci sono strade facili.  Come in Grecia è possibile uscire dal ricatto solo con il recupero della sovranità. Come in Grecia è urgente uscire dal dollaro e dagli USA. E, come in tutto il mondo, la soluzione è il socialismo.