La militarizzazione dell’America Latina

di Conn Hallinan* | da www.rebelion.org
L’originale in http://www.counterpunch.org/2013/01/16/militarizing-latin-america/

soldati latinoamericaniTraduzione dallo spagnolo a cura di Marx21.it

Lo scorso mese di dicembre ha segnato il 190° anniversario della “Dottrina Monroe”, la dichiarazione politica del presidente James Monroe che di fatto ha trasformato l’America Latina nella riserva esclusiva degli Stati Uniti. E se qualcuno nutrisse dubbi sull’importanza vitale di questa Dottrina, consideri che dal 1843 gli Stati Uniti sono intervenuti in Messico, Argentina, Cile, Haiti, Nicaragua, Cuba, Puerto Rico, Honduras, Repubblica Dominicana, Guatemala, Costa Rica, El Salvador, Uruguay, Granada, Bolivia e Venezuela. Nel caso del Nicaragua nove volte, in Honduras otto. Alcune volte l’ingerenza non è stato nemmeno adornata di sottigliezze diplomatiche: con la fanteria statunitense nell’attacco al Castello Chapultepec nelle vicinanze di Città del Messico nel 1847, con i marines a reprimere gli insorti in Centro America, con “Black Jack” Pershing a dare la caccia a Pancho Villa a Chihuahua nel 1916.


Altre volte l’intervento è stato coperto da ombre, trame segrete, ammiccamenti a qualche generale, o dallo strangolamento dell’economia perché qualche governo ha avuto la temerarietà di proporre una riforma agraria o una redistribuzione della ricchezza.

Per 150 anni la storia di questa regione, che si estende per due emisferi e va dalla tundra gelata ai deserti ardenti e alle umide selve tropicali, è stata in gran parte determinata da ciò che succedeva a Washington. Come disse una volta l’astuto dittatore messicano Porfirio Diaz, la grande tragedia dell’America Latina e che è troppo lontana da Dio e troppo vicina agli Stati Uniti.

Ma l’America Latina attuale non è più la stessa di 20 anni fa. Governi di sinistra e progressisti presiedono la maggior parte del Sud America. La Cina ha sostituito gli USA come maggiore partner commerciale della regione, e Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay e Venezuela si sono riuniti in un mercato comune, Mercosur, che è il terzo del pianeta. Altre cinque nazioni sono membri associati. L’Unione delle Nazioni Sudamericane [UNASUR] e la Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi [CELAC] hanno messo ai margini una vecchia reliquia della Guerra Fredda, l’Organizzazione degli Stati Americani. La CELAC comprende Cuba, ma esclude Stati Uniti e Canada.

A prima vista la “Dottrina Monroe” sembrerebbe lettera morta.

Per questo le politiche del governo di Obama verso l’America Latina sono così inquietanti. Dopo decenni di pace e sviluppo economico, perché gli Stati Uniti sono così impegnati in un rilevante sforzo militare nella regione? Perché Washington ha chiuso un occhio di fronte a due golpe vittoriosi, e a un tentativo, verificatisi nella regione negli ultimi tre anni? E perché Washington non prende le distanze dalle pratiche depredatrici dei cosiddetti “fondi avvoltoio”, la cui avidità minaccia di destabilizzare l’economia argentina?

Come fa in Africa e in Asia, il governo di Obama militarizza la sua politica estera in America Latina. Washington ha esteso una rete di basi dall’America Centrale all’Argentina. La Colombia ha ora sette basi importanti e ci sono installazioni militari degli Stati Uniti in Honduras, Costa Rica, Guatemala, Panama e Belize. La riattivata Quinta Flotta ispeziona l’Atlantico del Sud. Ci sono marines in Guatemala per reprimere i narcotrafficanti. Ci sono Forze Speciali in Honduras e Colombia. Qual’è la loro missione? Quanti sono? Non sappiamo molto perché gran parte di questo dispiegamento viene nascosto sotto la copertura della “sicurezza nazionale”.

Il rafforzamento militare si combina con un’inquietante tolleranza versi i colpi di Stato. Quando i militari e le elites honduregne hanno rovesciato il presidente Manuel Zelaya nel 2009, invece di condannare la sua espulsione, il governo di Obama ha esercitato pressione – sebbene in gran parte senza successo – perché le nazioni latinoamericane riconoscessero il governo installato illegalmente. La Casa Bianca ha mantenuto il silenzio anche rispetto al tentativo di golpe contro il presidente di sinistra Rafael Correa in Ecuador l’anno seguente e si è rifiutata di condannare il golpe “parlamentare” contro il presidente progressista del Paraguay, Fernando Lugo, soprannominato il “Vescovo Rosso”.

Tenebrosi ricordi di golpe organizzati e appoggiati dagli USA contro governi in Brasile, Argentina, Cile e Guatemala sono difficilmente dimenticati nel continente, come emerge chiaramente da un recente commento del ministro dell’economia argentino Hernan Lorenzino. Qualificando come “colonialismo legale” un’ingiunzione della Corte di Appello statunitense secondo la quale Buenos Aires dovrebbe pagare 1.300 milioni di dollari per il risarcimento dei creditori dei “Fondi Avvoltoio”, il ministro ha detto: “Ciò che ci aspettiamo ora è che [il giudice della Corte di Appello] Griesa ci mandi la Quinta Flotta”.

Gran parte di questo rafforzamento militare si realizza attraverso la retorica della guerra contro le droghe, ma uno sguardo alla collocazione delle basi in Colombia suggerisce che la protezione degli oleodotti ha più a che vedere con gli ordini di battaglia delle Forze Speciali degli USA che con i narcotrafficanti.

La Colombia ha attualmente cinque milioni di persone sgomberate, la maggiore quantità nel mondo. Ed è anche un posto molto pericoloso se uno è sindacalista, in considerazione del fatto che la Colombia ha stipulato un Piano di Azione per il Lavoro (PAL), come parte integrante dell’Accordo di Libero Commercio (ALC/FTA) con Washington. Da quando il governo di Obama ha dichiarato che la Colombia sta rispettando il PAL, la realtà dimostra che gli attacchi contro i sindacalisti sono aumentati. “Ciò che è accaduto da allora è l’aumento delle rappresaglie contro quasi tutti i sindacati e gli attivisti sindacali che avevano anche creduto al Piano di Azione per il Lavoro”, dice Gimena Sanchez-Garzoli dell’organizzazione WOLA [Ufficio a Washington per gli Affari Latinoamericani]. Anche Human Rights Watch è arrivata a una simile conclusione.

Una quantità crescente di dirigenti latinoamericani è arrivata a concludere che la guerra contro la droga è stata un disastro completo. Almeno 100.000 persone sono morte o sono scomparse solo in Messico, e il narcotraffico corrompe governi, militari e forze di polizia dalla Bolivia fino alla frontiera degli Stati Uniti. E se qualcuno pensa che si tratti solo di un problema latinoamericano, sappia che diversi agenti del mantenimento dell’ordine in Texas sono stati recentemente accusati di complicità con il movimento delle droghe dal Messico agli USA.

Il governo di Obama avrebbe il dovere di aggiungersi al coro crescente di dirigenti regionali che hanno deciso di riesaminare il tema della legalizzazione e della smilitarizzazione della guerra contro le droghe. Recenti studi dimostrano che c’è un forte aumento della violenza nel momento in cui i militari partecipano al conflitto e che, come hanno dimostrato Portogallo e Australia, la legalizzazione non conduce a un aumento della quantità di tossicodipendenti.

Un’importante iniziativa degli USA nella regione è il Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord (TLCAN/NAFTA), sebbene abbia prodotto povertà, disarticolazione sociale e anche aumento del narcotraffico. Nel loro libro “Drug War Mexico” Peter Walt e Roberto Zapeda segnalano che la deregolazione ha aperto le porte ai narcotrafficanti, un pericolo su cui avevano messo in guardia nel 1993 sia il Servizio delle Dogane degli Stati Uniti che l’Amministrazione per il Compimento delle Leggi sulle Droghe (DEA).

Con la riduzione o l’eliminazione dei dazi, il NAFTA ha inondato l’America Latina di mais a basso prezzo sovvenzionato dal governo USA, il che ha condotto alla bancarotta milioni di piccoli agricoltori, obbligandoli ad emigrare, a inondare città sovrappopolate, o a dedicarsi a produzioni derivanti da coltivazioni più profittevoli, marihuana e coca. Dal 1994, l’anno dell’entrata in vigore del NAFTA, fino al 2000, circa due milioni di agricoltori messicani hanno abbandonato le loro terre e centinaia di migliaia di persone senza documenti sono emigrate negli USA, ogni anno.

Secondo l’organizzazione di aiuti Oxfam, il TLC con la Colombia porterà ad una caduta del 16% nelle entrate di 1,8 milioni di agricoltori e la perdita di entrate tra il 48 e il 70% per circa 400.000 persone che lavorano in questo paesi con un salario minimo mensile di 328,08 dollari.

Il “libero commercio” impedisce ai paesi emergenti di proteggere le proprie industrie e risorse, e li obbliga a confrontarsi con il potere industriale degli USA. Questo campo di gioco conduce alla povertà dei latinoamericani, ma a enormi benefici per le corporazioni statunitensi e alcune elites della regione.

La Casa Bianca ha continuato a demonizzare il presidente venezuelano Hugo Chavez come ai tempi di Bush, nonostante il fatto che Chavez sia stato eletto due volte da una grande maggioranza, e che il suo governo abbia favorito una grande riduzione della povertà. Secondo le Nazioni Unite, la disuguaglianza in Venezuela è la più bassa dell’America Latina, la povertà è stata ridotta della metà, la povertà estrema del 70%. E’ il tipo di cifre presumibilmente glorificato dal governo di Obama.

In merito agli attacchi di Chavez agli Stati Uniti, è difficile dar la colpa ai chavisti di essere in preda alla paranoia, solo se si considera che gli USA hanno appoggiato il golpe nel 2000 contro di lui, hanno inviato le Forze Speciali e la CIA nella vicina Colombia, e fanno finta di niente di fronte ai colpi di Stato.

Washington dovrebbe riconoscere che l’America Latina sta sperimentando nuovi modelli politici ed economici nel tentativo di ridurre la tradizionale povertà della regione, il sottosviluppo e le divisioni croniche tra ricchi e poveri. Invece di cercare di emarginare i dirigenti latinoamericani, il governo di Obama dovrebbe accettare il fatto che gli USA non sono più il Colosso del Nord che può fare quello che gli pare. In ogni caso chi sta per essere emarginato nella regione sono gli Stati Uniti non i suoi avversari.

Invece di firmare leggi stupide come la “Legge per contrastare l’Iran nell’Emisfero Occidentale” (incredibile, ma vero), la Casa Bianca dovrebbe darsi da fare perché il Brasile diventi membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, terminare il suo illegale e immorale blocco di Cuba ed esigere che la Gran Bretagna finisca di appoggiare la sua colonia nelle isole Malvine (Falkland). La realtà è che la Gran Bretagna non può “possedere” terre a quasi 15.000 chilometri da Londra solo perché ha un esercito più grande. Il colonialismo è finito.

E sebbene il governo non possa intervenire direttamente davanti alla Corte d’Appello degli Stati Uniti nell’attuale conflitto tra Argentina, Elliot Management e Aurelius Capital Management, la Casa Bianca dovrebbe rendere esplicito che i tentativi di questi “fondi avvoltoio” di trarre beneficio dalla crisi argentina del 2002 sono da respingere. Esiste anche l’aspetto molto pratico, per cui se i “fondi avvoltoio” obbligassero Buenos Aires a pagare l’importo totale del debito che essi avevano acquisito per 15 centesimi di dollaro, verrebbero minacciati pure gli sforzi di paesi come Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo di far fronte ai loro creditori. Considerando che le banche statunitensi – inclusi gli “avvoltoi” – hanno avuto a che fare con la creazione della crisi, spetta particolarmente al governo USA di appoggiare il governo Kirchner in questo affare. E se la Quinta Flotta partecipasse, si potrebbe pensare di farle bombardare la sede di Elliot nelle Isole del Caimano.

Dopo secoli di sfruttamento coloniale e dominazione economica da parte di Stati Uniti ed Europa, l’America Latina sta finalmente dimostrando il suo autentico valore. Si è fatto fronte in gran parte alla recessione mondiale del 2008 e i livelli di vita in generale stanno aumentando in tutta la regione, e soprattutto drasticamente nei paesi che Washington descrive come “di sinistra”. Attualmente, i legami dell’America Latina sono più con i BRICS – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – che con gli USA e la regione sta definendo una propria agenda internazionale. Esiste un’opposizione unanime al blocco di Cuba e, nel 2010, Brasile e Turchia hanno presentato quella che sembra la soluzione più sensata per porre termine alla crisi nucleare dell’Iran.

Nei prossimo quattro anni il governo di Obama ha la possibilità di riscrivere la prolungata e vergognosa storia degli Stati Uniti in America Latina, rimpiazzandola con un’altra basata sul mutuo rispetto e la cooperazione. O può ricorrere a oscure Forze Speciali, alla sovversione silenziosa e all’intolleranza. La decisione spetta a noi.

*Conn Hallinan collabora a dispatchesfromtheedgeblog.wordpress.com e middleempireseries.wordpress.com