La Cina è l’alternativa all’imperialismo in Africa

di Chris Mathlako* | da www.vermelho.org.br

bambini cina bandierineTraduzione di Marx21.it

*Chris Mathlako è segretario delle Relazioni Internazionali del Partito Comunista Sudafricano.

Il seminario sulla Cina affronta temi di importanza particolare per quanto riguarda le relazioni Sud-Sud e ancora di più per il continente africano. Partiamo dalla conferma che l’impegno della Repubblica Popolare Cinese nel continente e con il continente non è “imperialista” né una minaccia agli interessi dell’Africa, al contrario di come invece alcuni commentatori dei media occidentali e di altre regioni vogliono farci credere.

Pensiamo che tale relazione si confronti con alcune contraddizioni, che possono essere superate, da un lato, o viste come elementi potenziali per realizzare l’aspirazione da tempo coltivata dall’Africa di restituire l’indipendenza autentica alla maggioranza della sua popolazione. E ciò potrebbe contribuire a far uscire il continente dall’abisso, attraverso una relazione mutuamente benefica, basata sul rispetto, su valori condivisi che derivano dai legami storici che legano i popoli di queste aree.


La polemica che oppone il socialismo cinese all’affermazione che il paese ha imboccato la strada della transizione capitalista, attraverso il “socialismo di mercato”, non sarà risolta a breve. Ma ciò richiede anche che prestiamo attenzione alle condizioni materiali congiunturali e che ne cogliamo il senso, il che ci aiuterà a comprendere la fase complessa che sta attraversando la Cina e il suo interagire con l’esterno.

Questo seminario avviene anche poco dopo il Vertice del Brics (gruppo composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), in marzo, tra i cui risultati c’è l’accordo per la creazione della Banca di Sviluppo del Brics. Nel frattempo abbiamo sentito voci secondo cui la banca non funzionerà, o rappresenterà una ripetizione di istituzioni che già esistono, come la Banca Africana di Sviluppo, il FMI e la Banca Mondiale.

Recentemente si è svolto il vertice che ha segnato il 50° anniversario della creazione dell’Organizzazione dell’Unità Africana, oggi Unione Africana (dal 2002). Anche la Repubblica Popolare Cinese fu coinvolta, in un modo o nell’altro, in quegli sviluppi e attualmente continua a svolgere un ruolo predominante. In verità, la Cina e l’Africa si sono incontrate fin dalla Conferenza di Bandung, del 1955, quando si delinearono le aspirazioni dei popoli del Sud e si posero le basi del Movimento dei Non Allineati.

L’impegno di collaborazione tra il Sudafrica democratico e la RPC si è tradotto in politica di governo quando il Congresso Nazionale Africano ha assunto le redini del governo nel 1994. Con il passare degli anni, i legami e le relazioni sono andati crescendo al punto da essere considerati da entrambi i paesi una “partnership globale e strategica”.

E’ interessante constatare come la Cina definisca la sua politica estera “di pace, sviluppo e cooperazione, una politica indipendente in grado di gestire correttamente le relazioni internazionali, che si sta trasformando in un fattore sempre più importante per il progresso dell’umanità”, secondo la filosofia cinese delle relazioni internazionali.

La Cina, alternativa di pace all’imperialismo

Il continente africano ha sperimentato rivalità inter-imperialiste, contraddizioni e militarismo imperialista a causa delle sue risorse minerarie e petrolifere. Gli Stati Uniti stanno cercando di trovare una collocazione al Comando Stati Uniti-Africa (Africom, uno dei nove comandi unificati degli USA), poiché gli interventi recenti in Libia e in Mali hanno dimostrato che, dove gli interessi convergono, l’imperialismo coopererà, ma dove divergono, prenderà strade diverse: l’intervento della Francia in Mali è solo un esempio della divergenza di interessi dell’imperialismo nel continente.

La maggior parte dell’Europa, che ha legami coloniali con l’Africa, tenta di instaurare relazioni più strette con alcune regioni e/o ex colonie, ma continua a praticare le stesse vecchie linee tendenti a garantire legami economici e di commercio diseguali, attraverso la politica degli incentivi e dei condizionamenti (carota e bastone, secondo l’espressione che fa riferimento a misure compensatrici contrapposte a misure di punizione e condizionamento, abituali nella politica internazionale imperialista e colonialista).

Allo stesso tempo, si presenta la Cina come il “dragone” che si impossessa del continente, mediante la logica dei vecchi colonizzatori e delle nazioni potenti, o si suggerisce che l’Africa non può cercare politiche alternative (al neoliberalismo) e una via di crescita che non prenda in considerazione il ruolo e il posto che occupano le nazioni più potenti. Nel contesto della crisi economica e finanziaria, nel centro del capitalismo, altri hanno descritto la presenza della Cina come un tentativo di aumentare il peso della sua collocazione geopolitica, con l’argomento “che il fattore di maggior peso e fondamentale che sostiene questa politica estera è la geopolitica”. In accordo con questa tesi, Pechino “cercherebbe di conquistare amici, costruire alleanze, aumentare la propria influenza ed essere riconosciuta come la grande potenza emergente che è”.

In Occidente, la Cina è dipinta come avida di petrolio e delle altre risorse dell’Africa. Di fatto, si sono registrate alcune contraddizioni in alcune aree in cui opera il capitale cinese, come nello Zambia. In questo caso, alcuni governi che ricevono assistenza e investimenti dalla Cina si affannano per aumentare le proprie riserve domestiche limitate attraverso la mobilitazione delle risorse esterne. Nel processo, molti di loro hanno concesso incentivi eccessivamente generosi a investitori stranieri (cinesi), il che ha significato che, a breve e medio termine, i cittadini non riusciranno a trarre vantaggio dall’ospitalità concessa a questi investitori.

Ci sono molti aspetti che si prestano a una relativa critica della presenza cinese in Africa. Ma gli aspetti positivi prevalgono nelle relazioni, in contrapposizione alle relazioni tra le metropoli occidentali e le loro ex colonie. Secondo la leadership cinese, “nel secolo 21°, la Cina continuerà ad implementare la sua politica estera indipendente di pace con l’obiettivo di mantenere la pace mondiale e promuovere lo sviluppo comune e incoraggiare la cooperazione per costruire un mondo armonioso”. Ciò sarà essenziale al fine di garantire che i paesi africani siano capaci di superare fasi di conflitto ed entrare in un periodo di stabilità, crescita e sviluppo.

Per questo, crediamo che la Cina dovrà e vorrà, a breve, elaborare una politica estera di maggior “protagonismo”, per assicurare la pace a tutti, particolarmente nelle regioni del mondo in cui i lavoratori si trovano ancora sotto il giogo dell’aggressione imperialista e della dominazione egemonica delle nazioni potenti.

La Cina deve essere maggiormente attiva nel contesto degli affari mondiali e contribuire al multilateralismo, come previsto dalle basi filosofiche della sua politica estera. La RPC, insieme ad altre nazioni del Sud, ha grandi responsabilità relativamente allo sviluppo pacifico e alle relazioni reciprocamente vantaggiose, ed emergerà quando verrà il momento.

Sintesi dell’intervento presentato al seminario “La Cina nel 21° Secolo: Presente e Futuro”, a cura di Moara Crivelente della redazione di “Vermelho”