La Cina divora energia e ha (per ora) bisogno di noi

cina pannellisolaridi Demostenes Floros, Analista geopolitico ed economico

da aboutenergy.com

I cinesi – 1,4 miliardi – si confermano i principali consumatori di energia del pianeta con il 23,6% dei consumi. La quota degli Stati Uniti, 330 milioni di abitanti, è pari al 16,6%, ma c’è una novità: i consumi sono cresciuti del 3,5%, l’aumento più consistente dal 1984.

I consumi di energia primaria globale hanno raggiunto i 13.865 Mtep (Milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) nel 2018, in aumento del 2,9% rispetto al 2017. Si tratta del maggior incremento registrato dal 2010, trainato per oltre il 40% dal gas naturale. È quanto emerge di dati forniti dal BP Statistical Review 2019.

La Cina si conferma il principale consumatore di energia del pianeta con 3.274 Mtep, pari al 23,6% dei consumi totali (+4,3% anno su anno), a fronte di una popolazione di oltre 1,4 miliardi di abitanti. Seguono gli Stati Uniti d’America con 2.301 Mtep, corrispondenti al 16,6% dei consumi mondiali (+3,5% anno su anno, la più grande crescita dal 1984), e una popolazione di quasi 330 milioni di abitanti.

In base alle statistiche diffuse dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), nel 2018, il Prodotto Interno Lordo (PIL) nominale della Cina è stato di 13.457 miliardi di dollari mentre quello USA di 20.513 miliardi di dollari. In termini di Parità di Potere d’Acquisto (PPA) invece, il PIL cinese risulta maggiore rispetto a quello statunitense, avendo toccato i 25.313 miliardi di dollari.

Secondo le stime pubblicate il 14 maggio 2019 nel Rapporto Scenari Industriali di Confindustria, la quota di produzione manifatturiera cinese su quella globale – calcolata in termini di valore aggiunto, inteso come la differenza tra i ricavi e i costi totali al netto dei costi del lavoro – è stata del 28,5% nel 2018, mentre quella USA è scesa al 17,2%.

Di seguito, la composizione del paniere energetico globale nel 2018:

– Petrolio – 4.662 Mtep (34%);
– Carbone – 3.772 Mtep (27%);
– Gas Naturale – 3.309 Mtep (24%);
– Idroelettrico – 949 Mtep (7%);
– Nucleare – 611 Mtep (4%);
– Rinnovabili – 561 Mtep (4%);

Al fine di inquadrare correttamente il tema, è importante osservare che questa nuova redistribuzione geografica della manifattura – che prende nel contempo forma a favore di certi paesi e contro altri – si accompagna a una crescita della domanda globale di gas naturale – +5,3% nel 2018, equivalente a 200 Gm3, il maggiore incremento dal 1984 (USA +80 Gm3, Cina +44 Gm3, Federazione Russa +23 Gm3, Iran +16 Gm3) – la quale è stata trainata soprattutto, dal settore industriale e non più da quello della generazione elettrica, come era invece avvenuto nel decennio precedente.

Nel 2018, gli Stati Uniti d’America sono stati i principali produttori di gas naturale al mondo con 853,1 Gm3(+11,5% anno su anno, 21,5% della quota globale) a fronte di consumi pari a 838,1 Gm3 (+10,5 % anno su anno, 21,2% della quota globale, potere calorifico 39 MJ/m3). Nel contempo, la Federazione Russa ha estratto 686,6 Gm3 (+5,3% anno su anno e 17,3% della quota globale) e consumato 466,2 Gm3 (+5,4% anno su anno e 11,8% della quota globale).

Dal 2011 al 2018, il tasso di dipendenza energetica degli USA – inteso come il rapporto tra l’import annuale di energia primaria e il consumo annuale di energia primaria – è significativamente diminuito dal 20% all’8,3% grazie alla tecnica del fracking e alla conseguente rapida crescita estrattiva di tight oil e shale gas. Frattanto, la Federazione Russa ha rafforzato la propria leadership di esportatore netto di energia, cresciuta dall’88% al 101% dei propri consumi di energia primaria. Di converso, la Cina ha visto invece accrescere la propria dipendenza di energia dal 6% al 19,4%.

Secondo il GIIGNL 2019 Annual Report, nel 2018, degli oltre 520 Gm3 di gas naturale consumati dalla somma di UE, Turchia, Svizzera e Serbia, solamente 4 Gm3 sono giunti dagli USA (sotto forma di GNL, Gas Naturale Liquefatto), approvvigionando Francia (0,5 Gm3), Italia (0,5 Gm3), Spagna (0,3 Gm3), Turchia (0,4 Gm3), Regno Unito (1,2 Gm3) e altri membri dell’UE (1,1 Gm3). Al contempo, ci informa Gazprom, la Federazione Russa ha esportato 190,7 Gm3 di gas naturale in Europa (al netto di Ucraina e Bielorussia).

Di seguito, il paniere energetico dell’Italia nel 2018:

– Petrolio – 61 Mtep (39%);
– Gas Naturale – 60 Mtep (39%);
– Rinnovabili – 15 Mtep (10%);
– Carbone – 9 Mtep (6%);
– Idroelettrico – 10 Mtep (7%);

I fornitori di gas naturale dell’Italia nel 2018:

– Federazione Russa – 29 Gm3 (41%);
– Algeria – 17 Gm3 (24%);
– Qatar – GNL 7 Gm3 (9%);
– Nord Europa, Olanda, Norvegia – 8 Gm3 (11%);
– Produzione domestica – 5 Gm3 (8%);
– Libia – 4 Gm3 (6%).

Di seguito, il paniere energetico dell’UE nel 2018:

– Petrolio – 647 Mtep (38%);
– Gas Naturale – 394 Mtep (23%);
– Carbone – 222 Mtep (13%);
– Nucleare – 187 Mtep (11%);
– Rinnovabili – 160 Mtep (10%);
– Idroelettrico – 78 Mtep (5%).

I fornitori di gas naturale dell’UE nel 2018:

– Federazione Russa – 154 Gm3 (33%);
– Norvegia – 118 Gm3 (25%);
– Produzione interna – 112 Gm3 (24%);
– Algeria – 32 Gm3 (7%);
– Qatar GNL – 15 Gm3 (3%);
– Nigeria e USA GNL, Libia tubo – 37 Gm3 (8%).

Di seguito, il paniere energetico della Cina nel 2018:

– Carbone – 1.907 Mtep (58%);
– Petrolio – 641 Mtep (20%);
– Idroelettrico – 272 Mtep (8%);
– Gas Naturale – 243 Mtep (8%);
– Rinnovabili – 144 Mtep (4%);
– Nucleare – (67%).

I fornitori di gas naturale della Cina nel 2018:

– Produzione interna – 166 Gm3 (57%);
– Turkmenistan – 34 Gm3 (12%);
– Australia – 33 Gm3 (11%);
– Qatar GNL – 13 Gm3 (4%);
– Altri GNL – 30 Gm3 (10%) di cui Malesia (7,9 Gm3), Indonesia (6,7 Gm3), Papua Nuova Guinea (3,3 Gm3), USA (3 Gm3);
– Altri tubo – 15 Gm3 (5%) di cui Uzbekistan (6,3 Gm3), Kazakhstan (5,4 Gm3), Birmania (2,9 Gm3).

In merito all’evoluzione del sistema di approvvigionamento gasiero euro-russo, secondo Rainer Seele, capo della major austriaca OMV, una delle principali finanziatrici europee del gasdotto Nord Stream II, i primi flussi di gas naturale russo avranno inizio non più tardi del 31 dicembre 2019. Al momento, è stato ultimato il 70% dei lavori di costruzione della pipeline che congiungerà la Federazione Russa con la Germania, attraversando i fondali del Mare Baltico. “I lavori stanno proseguendo in base a quanto programmato. Non sussistono ritardi. Prevediamo le prime forniture di gas entro fine anno, al massimo entro il 31 dicembre. Le condotte sono state posizionate e rimane da posare solamente il 30% [dei tubi]”, ha affermato Seele.

Spostandoci sul versante Euro-Asiatico invece, “Le forniture [di gas] attraverso la “Eastern Route” dovrebbero iniziare entro la fine del prossimo anno [2019], i volumi iniziali sono 5 miliardi di metri cubi, che raggiungeranno i 38 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2024″. Il 27 febbraio 2019, i lavori per la costruzione della pipeline avevano coperto il 99% dell’intera lunghezza della condotta, la quale trasporterà il gas in otto province del nord-est della Cina (compresa Pechino). Inoltre, bisogna tenere a mente che a giugno 2018, per la prima volta, un vascello russo carico di GNL è giunto in India.

Non si esclude che tali forniture possano essere pagate utilizzando yuan e rublo al posto del dollaro. Al momento, scrive l’ex direttore di Famiglia Cristiana, Fulvio Scaglione, “il commercio di risorse naturali (gas e petrolio in primo luogo), non solo vale il 40% degli scambi tra i due Paesi ma vale anche un mucchio di euro. L’export russo verso la Cina, infatti, si svolge sempre meno in dollari e sempre più in euro. La valuta europea a fine 2018 ha raggiunto il 37,6% del volume totale degli scambi, erodendo in misura mai vista prima, e tuttora crescente, la preminenza del dollaro”.

Ultimi dati e stime sull’oil & gas

Conformemente alle cifre fornite dall’Oil Market Report pubblicato dall’International Energy Agency il 12 luglio 2019, la domanda globale è prevista accelerare di 1.200.000 b/g nel 2019 e di 1.400.000 b/g nel 2020. Le scorte commerciali dell’OCSE sono invece cresciute di 22.800.000 barili a maggio 2019 (mese su mese), per un totale di 2.906.000.000 barili, 6.700.000 barili al di sopra della media degli ultimi 5 anni.

Secondo le statistiche stilate dal Drilling Productivity Report divulgato dall’Energy Information Administration il 15 luglio 2019, la produzione di greggio non convenzionale USA è prevista aumentare di 49.000 b/g, per complessivi 8.546.000 b/g, ad agosto 2019.

L’output di greggio statunitense, dopo il precedente picco di 9.627.000 b/g raggiunto ad aprile 2015, è decresciuto fino al minimo di 8.428.000 b/g toccato il 1° luglio 2016. Dopodiché, esso ha ripreso ad aumentare fino a record di 12.400.000 b/g toccato il 31 maggio 2019, prima di calare nuovamente a 12.300.000 b/g il 2 agosto 2019 (previsioni settimanali).

Secondo le statistiche divulgate da Baker Hughes il 9 agosto 2019, le 934 trivelle attualmente attive negli Stati Uniti, di cui 764 (81,8%) sono petrolifere e 169 (18,1%) più 1 mista (0,1%), risultano essere 29 in meno rispetto a quelle rilevate il 3 luglio 2019, il minimo dal 26 gennaio 2018. Il 12 luglio 2019, Bloomberg sottolineava che le promesse del Permian stanno venendo meno e le ragioni sono molteplici. La più importante è data dal fatto che la produzione di shale decresce a una tale velocità – fino al 70% nel corso del primo anno – che è necessario investire ininterrottamente liquidità nella perforazione di nuovi pozzi al fine di mantenere l’output. Secondo Janus Barret “la produzione totale USA continuerà ad aumentare, ma il tasso di crescerà rallenterà”.

A maggio 2019, le importazioni di greggio da parte degli USA sono incrementate di 133.000 b/g a complessivi 7.158.000 b/g. Quest’ultime erano state 7.025.000 b7D ad aprile, 6.759.000 b/g a marzo 2019, 6.652.000 b/g 2019 a febbraio 2019 e 7.520.000 b/g gennaio 2019. Nel corso del 2019, la media dell’import di greggio statunitense è stata di 6.989.000 b/g, in diminuzione rispetto ai 7.757.000 b/g nel 2018 e ai 7.969.000 b/g nel 2017.

Il trend petrolifero e valutario

A luglio 2019, i prezzi del petrolio sono leggermente diminuiti. In particolare, la qualità Brent North Sea ha aperto le quotazioni a 65,93 $/b e le ha chiuse a 65,18 $/b, mentre il West Texas Intermediate ha aperto a 59,60 $/b, chiudendo a 57,89 $/b. Nel momento in cui scriviamo (13 agosto 2019). Nel momento in cui scriviamo (14 agosto 2019), il Brent è crollato a 58,35 $/b e il WTI a 54.43 $/b, perché il Presidente USA, Donald Trump, ha esacerbato lo scontro commerciale con la Cina.

L’11 luglio, entrambe le qualità hanno raggiunto il massimo mensile – rispettivamente quotando 67,58 $/b e 60,84 $/b – a causa del calo delle scorte statunitensi, le quali sono decresciute da 468.491.000 barili il 28 giugno a 458.992.000 barili il 5 luglio. Inoltre, l’uragano Barry ha nel contempo colpito il Golfo del Messico, riducendo l’output della regione di oltre 600.000 b/g, approssimativamente 1/3 dell’intera produzione del Golfo.

Il 18 luglio, sia il benchmark europeo e asiatico, sia il riferimento americano hanno toccato il minimo mensile venendo rispettivamente scambiati a 61,66 $/b e a 54,79 $/b in virtù dei timori riconducibili al possibile rallentamento della crescita della domanda globale di petrolio nella seconda metà dell’anno corrente.

Durante gli ultimi dieci giorni di luglio, i prezzi del barile suono nuovamente aumentati in conseguenza di tre fattori concomitanti:

– La crescente tensione nel Golfo Persico, dal quale transitano 18.500.000 b/g di petrolio e derivati;

– L’ulteriore riduzione delle scorte commerciali USA, le quali sono calate da 455.876.000 barili il 12 luglio a 445.041.000 barili il 19 luglio;

– Il 31 luglio, per la prima volta dal 2008, la Federal Reserve ha tagliato i tassi di interesse di 25 punti base, portandoli nel range (forbice) 2-2,25%, con lo scopo di supportare l’economia statunitense e, di conseguenza, anche la domanda globale petrolifera.

A giugno 2019, nonostante le sanzioni USA, la Cina ha importato 208.205 b/g dall’Iran, il 60% circa in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tuttavia, specialmente da un punto di vista geopolitico, il fatto che la cooperazione sino-iraniana sia tuttora in campo rappresenta un fattore fondamentale per la stabilità del prezzo del barile.