A vent’anni dal massacro nelle carceri turche la repressione continua

carceri turchericeviamo e pubblichiamo

di Sabo’nun kizi

Sono le 4.30 del mattino. È il 19 dicembre del 2000.

Sono trascorsi vent’anni da quell’alba che ha segnato il punto di non ritorno per i prigionieri politici turchi. Bulent Ecevit dà il via all’operazione “Ritorno alla vita”, volta a reprimere la resistenza in carcere.

Dal 20 ottobre di quell’anno, 259 prigionieri politici in 41 carceri turche sono in sciopero della fame fino alla morte (death fast) contro il trasferimento dei prigionieri nelle celle di isolamento di tipo F (allora alcune già operative, altre in fase di costruzione). Si oppongono, in sostanza, all’isolamento carcerario. Sistema che in Europa occidentale conoscevamo già da un ventennio almeno. La forza che spinge ed alimenta questa lotta è principalmente il DHKP-C. In quel periodo il movimento rivoluzionario in Turchia era all’apice. Non è esagerato dire che lo stesso DHKP-C nelle carceri aveva un proprio e vero esercito. Perdere le condizioni di detenzione introdotte dal golpe del 1980, pur nella loro durezza, sarebbe stato assolutamente negativo.

Dal 19 al 22 dicembre, furono prese d’assalto 20 prigioni contemporaneamente con uno spiegamento di quasi 9.000 soldati. Era l’inizio del processo di annientamento dei dissidenti. In questa operazione furono coinvolti l’esercito e tutti i corpi speciali dello Stato. Con ruspe, gru ed elicotteri sfondano pareti e tetti delle carceri per lanciare bombe incendiarie, gas nervini, altri agenti chimici mai identificati. Poi entrano. Entrarono e spararono, entrarono e torturarono e poi distribuivano coperte imbevute di benzina ai prigionieri che già stavano bruciando, facendo credere loro che erano intrise di acqua, favorendo così l’accelerazione della combustione.

Sono state usate più di 20.000 bombe al fosforo e sparati migliaia di proiettili veri contro i prigionieri inermi e debilitati dallo sciopero della fame.

Durante questi tre giorni 28 prigionieri furono uccisi, 300 vennero feriti, 600 rimasero permanentemente disabili e 942 furono forzatamente trasferiti in celle di isolamento nelle prigioni di Tipo-F. Corpi carbonizzati con i vestiti intatti. Tanti subiranno l’alimentazione forzata e vivranno per sempre con le conseguenze della Wernicke-Korsakoff Syndrome (WKS).

Il bilancio più duro nel carcere di Bayrampaşa ad Istanbul. Oggi l’area dove sorgeva il carcere è stata trasformata in un immenso centro commerciale: processo di occultamento.

Il progetto delle celle di isolamento

Le carceri di Tipo-F sono state pensate e progettate dallo stato turco a seguito delle pressioni europee ed internazionali per risolvere il problema del confinamento collettivo nei grandi reparti-dormitori, in cui erano ammassate dozzine di prigionieri senza distinzione di capo di imputazione. 

Fin dagli anni ’70 le prigioni organizzate in questo modo, erano il quartier generale della produzione ideologica. Ivi i prigionieri scrivevano la maggior parte degli articoli e dei libri, componevano canzoni e istruivano i futuri militanti. Grazie alla capacità dei prigionieri di riorganizzarsi sotto qualsiasi condizione, la detenzione non era una punizione efficace e i militanti sapevano che, se fossero stati arrestati, vicino ai loro compagni, avrebbero comunque continuato l’attività rivoluzionaria.

Con la costruzione delle prigioni di Tipo-F, lo stato turco ha cercato di importare il regime disciplinare penale già praticato in Europa e negli Stati Uniti. In particolar modo, il progetto è stato creato su modelli di carceri già esistenti come lo Stammheim (Germania), H-Blocks (Irlanda del Nord), Marion (Illinois), Pellican Bay (California), Red Onion (Virginia) e Florence ADX (Colorado): tutti oggetto di continue critiche.

Il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura ha incoraggiato la Turchia ad abbandonare il sistema di dormitori per passare al sistema di celle di isolamento (chiamate sarcasticamente “camere” e non più “celle”) delle prigioni di Tipo-F. Il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura ha inoltre dimostrato comprensione verso le forze di sicurezza che hanno fatto irruzione nelle 20 prigioni il 19 dicembre e verso la scelta del trasferimento forzato di prigionieri nelle carceri di Tipo-F. In una relazione del 6 settembre 2006, il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura ha ribadito di non aver mai criticato le condizioni materiali di detenzione nelle celle di isolamento, bensì ne ha elogiato le buone condizioni igieniche e strutturali. 

Lo scopo del progetto delle celle di isolamento non è quello dichiarato di migliorare le condizioni del prigioniero, bensì quello di interrompere la comunicazione tra i rivoluzionari e la loro lotta, oltre che annientarli psicologicamente.

Per il governo turco non è solo un problema di distruzione fisica e psicologica, ma anche un annientamento della resistenza tout court. L’introduzione delle prigioni di Tipo-F ha significato: isolamento, “rieducazione” mentale, politica di controllo del pensiero e della mente dei prigionieri rivoluzionari, divieto di visite, censura nella corrispondenza epistolare, video sorveglianza, trasferimenti arbitrari verso altre prigioni in qualsiasi momento, senza che vengano avvisati parenti o avvocati. Il sistema di Tipo-F è una politica imperialista di controllo che cerca di seminare terrore nell’intera società. 

Per capire bene le condizioni di detenzione e la tortura chiamata isolamento nelle prigioni di tipo F, Grup Yorum è stato parte attiva nella realizzazione di un film di denuncia dal titolo F-Tipi: una lotta sul fronte culturale, per non permettere che questa strage venga dimenticata, in modo che i responsabili possano essere identificati come tali, e per smascherare la tortura chiamata isolamento.

La resistenza 

Nonostante l’oppressione e i massacri, i prigionieri rivoluzionari non si sono piegati al sistema di isolamento, poiché hanno mostrato un atteggiamento deciso continuando la loro resistenza sotto altre forme, la più forte delle quali è sicuramente lo sciopero della fame, a volte portato avanti fino alla morte (Death Fast). Il movimento dei lavoratori occidentale è orgoglioso degli atti di sacrificio di sé da parte dei suoi militanti in quanto è alla base delle più importanti vittorie storiche. Lo sciopero della fame però è spesso visto in occidente come uno spreco di vite umane con scarso o nessun valore per la lotta di classe, sebbene la teoria Marxista-Leninista sostenga la validità di tutti i metodi di lotta per il bene della rivoluzione.

I governi europei e gli altri stati imperialisti difendono la Turchia come democratico e come stato di diritto. Supportano queste atrocità e cooperano per interessi, continuando a biasimare chi combatte per chiedere giustizia contro le atrocità, il terrorismo e la violenza di stato.

I prigionieri politici rivoluzionari turchi continuano ancora oggi gli scioperi della fame per chiedere giustizia. Ricordiamo i membri del collettivo musicale Grup Yorum, Mustafa Koçak, gli avvocati del popolo e tutti i prigionieri politici che nel corso di questo ultimo anno si sono immolati e sono morti perché affamati di giustizia. Le richieste dei prigionieri sono semplici diritti umani: rivendicano lo stato di diritto, ma sembra che nessuno ancora ascolti le loro voci.

Oggi è importante ripresentare all’opinione pubblica la strage del 19 dicembre in Turchia poichè significa:

– contestare le politiche fasciste dello Stato turco che vuole distruggere la resistenza; 

– rafforzare la coscienza solidale internazionalista;

– sostenere la lotta di resistenza dei prigionieri politici rivoluzionari turchi.

Nella lotta per i diritti dei popoli oppressi, le ingiustizie non sono state commesse contro una sola persona, e nessun diritto conquistato è stato limitato a beneficio di una sola persona.

La resistenza di fronte alla dittatura palesemente fascista è un diritto e un obbligo di ogni persona. 

L’isolamento è una tortura, nostro dovere è ricordare questo giorno ed esprimere solidarietà internazionale con i prigionieri politici turchi, ieri come oggi.