«Il ministro Riccardi rifletta invece di riattivare il Trattato»

di Tommaso Di Francesco | da il Manifesto

 

jalil-monti-w300Libia, intervista allo storico del colonialismo italiano, Angelo Del Boca

 

Il presidente del consiglio Monti e il presidente del Cnt libico Abdel Jalil hanno riattivato una settimana fa il Trattato di amicizia tra Italia e Libia sottoscritto a Bengasi nel 2008 da Berlusconi e Gheddafi. Era stato «sospeso» con l’avvio della guerra della Nato contro il Colonnello libico e in appoggio agli ins orti, perché l’art. 4 di quel Trattato prevedeva la non concessione delle basi militari italiane per azioni militari contro la Libia. Sembra una riattivazione quasi dovuta, «tecnica» da parte di un governo «tecnico», in realtà si è in pesante continuità con il governo precedente e si forza anche del ruolo preminente avuto dall’Italia nella guerra. Infatti Jalil ha ringraziato Berlusconi non certo per il baciamono al raìs ma per l’«aiutino» della nostra aviazione. Ieri l’«annuncio» – solo un annuncio, nessuna iniziativa, però – del ministro Riccardi che il governo «rivedrà» la politica migratoria in Libia. Su questo abbiamo rivolto alcune domande ad Angelo Del Boca, massimo esperto di Libia e di storia del colonialismo italiano.

 

Quella del Trattato è una riattivazione tecnica o politica? Quali interessi ci sono dietro?
È allo stesso tempo tecnica e politica. Perché riattivano un documento eccezionale con il quale ci si sbarazzava del passato coloniale in maniera anche molto sostanziosa, basta pensare alla cifra devoluta di 5 miliardi di dollari, seppur dilazionata in 20 anni. Mai l’Italia nei confronti della proprie colonie aveva usato tanta generosità, forse fin troppa. Il fatto che in questo momento non ci siano cambiamenti radicali mi fa pensare che c’è di mezzo anche la politica, l’Italia ha troppi interessi in Libia. Non dimentichiamo che ha più di 140 ditte che lavorano. E c’era l’impegno di fare la litoranea di 1700 chilometri. Ora ci sarà la ricostruzione di quanto distrutto dalla guerra e soprattutto dai bombardamenti aerei della Nato, che equivale a circa 35 miliardi di euro. Un grande affare, per ricostruire parte di Misurata (aveva 300mila abitanti), quasi tutta Sirte (aveva più di 100mila abitanti), senza parlare dei piccoli centri.

 

Ieri il neoministro per la Cooperazione e l’integrazione Andrea Riccardi dichiarato che il governo «rivedrà la politica migratoria con la Libia». Poi ci siamo informati con il ministero: sono state parole a caldo «per rispondere a un giornalista», non c’è alcuna riflessione reale…
E invece sarebbe bene che il ministro Riccardi rivedesse davvero la sciagurata politica migratoria con la Libia. Perché ora, con la riattivazione del Trattato, tutto va come prima, anzi peggio. Ricordiamo che il governo italiano arriva a riconoscere le proprie colpe coloniali perché si chiede alla nuova Libia degli insorti, come lo chiedeva a Gheddafi che su questo si era impegnato perdendo la faccia, di contenere, controllare, impedire l’immigrazione e l’arrivo dalla Libia verso l’Italia e l’Europa, dei disperati in fuga dalla miseria e dalle guerra della grande Africa dell’interno. Nel trattato c’è scritto che l’Italia naturalmente continuerà i pattugliamenti in mare e che porterà a termine il nuovo muro che stiamo definendo lungo i confini a sud. Forse il più grande della storia, verso tutta l’area dei deserti e con tanti nuovi campi di concentramento. È grave che non venga indicata nemmeno una raccomandazione formale sul rispetto dei diritti umani, come chiede l’Unhcr-Onu. Anche perché la guerra ha dimostrato una particolare propensione degli insorti a perseguitare gli immigrati africani scambiandoli preferibilmente per mercenari, la bugia grossolana che fa sì che migliaia di persone siano tuttora tenute in prigionia dentro carceri o campi di concentramento. Certo non conosciamo il testo del «nuovo» Trattato riavviato tra Monti e Jalil, un presidente libico debolissimo, ripetutamente dato per dimissionario. Ma a pensar male non si sbaglia mai. Ora che si è steso un velo di silenzio sulla Libia, dove gli scontri tra le fazioni degli insorti continuano, dove c’è stato un attentato, sventato, al nuovo capo di stato maggiore dell’esercito. Mentre aumenta il peso degli islamisti e certo non basta che Jalil, visto ancora come ex ministro di Gheddafi e uomo forte della repressione anti-islamista sotto il suo regime, abbia annunciato che la sharia sarà il fondamento della nuova legislazione.

 

A proposito di Gheddafi, per il procuratore della Corte dell’Aja Ocampo, ci sono fondati «sospetti» che l’uccisione dell’ex raìs sia «un crimine di guerra» e per questo la Corte «indagherà»…
Sta per lasciare il suo incarico, ma non poteva giudicare gli ultimi 20 minuti di Gheddafi una cosa normale. È stato un autentico linciaggio consentito dal Cnt e preparato dal drone Usa che ha colpito il suo convoglio in fuga, indirizzato appositamente. Lo denuncia perfino l’ex premier del Cnt Jibril, e come tacere delle migliaia di agenti-sicari, del Qatar. Ecco chi deve avere ucciso materialmente Gheddafi.

 

Sono tanti i crimini di guerra. Gli inviati del «New York Times» hanno scoperto decine e decine di vittime civili dei raid «precisi» della Nato…
È stata un’inchiesta giornalistica precisa, questa sì, confermata perfino dalla Nato. Hanno scoperto quello che gli inviati di guerra non volevano vedere. Era la guerra chirurgica ribadita ogni giorno dai solerti portavoce atlantici dal comando di Napoli. Ora la Nato si dice pronta a collaborare ma l’indagine deve partire dal nuovo governo di Tripoli. Praticamente una presa in giro.