L’importanza della diplomazia russa nella crisi venezuelana

maduro putin 02di Federico La Mattina

da Sputnik News

La diplomazia russa, inflessibile quando necessario e al contempo realista, sta assumendo un ruolo internazionale estremamente positivo in questi anni: necessario contraltare all’arroganza neoimperialista statunitense. Lavrov è un ministro degli affari esteri con una visione di ampio respiro, di “scuola Primakov”, una figura di altissimo spessore: sembra quasi proveniente da un altro pianeta rispetto ai portaborse che si ritrovano casualmente a dirigere gli afferi esteri dei governi europei.

Si può pensare ciò che si vuole della crisi interna in Venezuela (di cui nessuno nega la drammaticità, che però i media presentano a senso unico) ma è inammissibile che uno scontro tra blocchi sociali contrapposti all’interno del paese (in cui l’opposizione non ha mai negato volontà golpiste, sin dal 2002) venga ‘risolto’ dall’esterno con un golpe e con atti di vera e propria pirateria internazionale come le sanzioni – che aggravano la crisi – e la confisca degli asset venezuelani all’estero, minacciando al contempo un intervento militare dalla “democratica” Colombia dove la passata amministrazione di Uribe (alleato di ferro degli Usa) in nome della “lotta al terrorismo” ha causato migliaia di vittime, la maggior parte per mano di bande paramilitari.

Sui crimini compiuti in Colombia e in tanti altri paesi latinomericani però nessuno ha nulla da ridire. D’altra parte abbiamo assistito a uno scenario simile in occasione della guerra contro Gheddafi nel 2011: i bombardamenti effettivi sono venuti dopo un vero e proprio ‘bombardamento’ massmediatico finalizzato ad addomesticare l’opinione pubblica occidentale.

Passando al Brasile, Bolsonaro sostiene apertamente che i militari hanno salvato la democrazia dal rischio di una dittatura (dopo l’elezione democratica di João Goulart) mentre Lula  – ancora amatissimo da larghe fasce di ‘diseredati’ a cui ha dato voce – marcisce in carcere a causa di un processo politico. Ma tutto questo è ‘normale’: soltanto il Venezuela va demonizzato, mascherando uno scontro politico e geopolitico con la vuota, abusata, selettiva e propagandistica retorica dei “diritti umani” (nobile principio ridotto a pretesto per prevaricazioni neocoloniali).

Ci sarebbe molto da dire sull’America Latina ma l’ignoranza storica non è colmabile con un breve articolo. Ancora una volta la diplomazia vaticana di Papa Francesco (che finora non si è schierato con la conferenza episcopale venezuelana) si sta mostrando equilibrata e animata da buon senso a differenza della gran parte delle cancellerie occidentali. Sarebbe buona cosa sostenere la proposta di mediazione avanzata da Uruguay e Messico, consentendo ai paesi latinoamericani di risolvere i problemi regionali senza ingerenze esterne. Ma si sa, per gli Usa e in generale per l’Occidente è sempre valida la massima attribuita a F. D. Roosevelt (sulla cui attribuzione sono stati sollevati dubbi):

“Somoza may be a son of a bitch, but he’s our son of a bitch”.

La questione filologica sull’attribuzione della frase comunque non ci interessa particolarmente dato che, pronunciata o meno da Roosevelt, il principio del “nostro figlio di puttana” ha rappresentato l’atteggiamento di tutti i Presidenti statunitensi (con diversi livelli di coinvolgimento e supporto) nel corso del Novecento e oltre, in particolare in America Latina.

Potenza neo-revisionista rispetto al precario ordine post-1989, la Russia considera di fatto revisionista l’Occidente stesso, pronto a ribaltare governi sulla base di un ipocrita, ridicolo, pretestuoso e soprattutto selettivo discorso “democratico”.

Fidel Castro in un articolo del 2015 ha definito opportunamente Russia e Cina “un potente scudo per la pace e la sicurezza nel mondo”. La politica internazionale – soprattutto per i piccoli stati – impone considerazioni duramente realiste e pragmatiche sulla base di una gerarchia delle priorità e delle minacce, senza le quali si finerebbe divorati nella giungla del mondo.

Vladimir Putin ha mostrato grande rispetto verso l’integrazionismo latinoamericano e significative sono state le parole del Presidente russo in occasione della morte di Hugo Chávez, quando ha affermato che quest’ultimo è stato uno dei simboli della lotta dell’America Latina per l’indipendenza e la libertà, paragonandolo a figure come Simón Bolívar, Guevara e Fidel Castro.

La posizione dell’autore può non coincidere con quella della redazione.