Il samba brasiliano domato dagli USA

Lula Pernambuco115935di Alessandro Pascale

Propongo al pubblico di Marx21 alcuni elementi che, specie per le parti iniziali (tratte da In Difesa del Socialismo Reale [1] ) mi sembrano poco noti. Seguono alcuni materiali e riflessioni sugli eventi più recenti, ad integrazione di un quadro storico che mi sembra utile avere chiaro per comprendere il Brasile attuale e la vittoria elettorale del reazionario Bolsonaro. Si rammenta che è in corso una raccolta fondi [2] per sostenere il progetto editoriale della collana Storia del Socialismo e della Lotta di Classe, con cui si darà pubblicazione cartacea dei materiali, rielaborati e ampliati, di In Difesa del Socialismo Reale.

NOTE STORICHE SULL’IMPERIALISMO STATUNITENSE IN BRASILE

«Lunedì 30 luglio 1962 John Fitzgerald Kennedy entrò nello Studio Ovale e accese il sistema di registrazione nuovissimo e ultramoderno che era stato installato su suo ordine nel fine settimana. La prima conversazione che registrò era un complotto per rovesciare il governo del Brasile e spodestare il suo presidente, Joao Goulart. Kennedy e il suo ambasciatore in Brasile, Lincoln Gordon, discussero della possibilità di investire otto milioni di dollari per manovrare le future elezioni brasiliane e preparare il terreno per un golpe militare contro Goulart […]. [Kennedy] non avrebbe lasciato che il Brasile, o una qualsiasi altra nazione dell’emisfero occidentale, diventasse una seconda Cuba. Il denaro della CIA cominciò a riversarsi nella vita politica brasiliana. Gli utili su quegli investimenti sarebbero stati riscossi in meno di due anni». (Tim Weiner) [3]

«Goulart ha avuto quello che si meritava. Peggio per lui, se non ha seguito i consigli che gli demmo quando andai a trovarlo.» (Robert Kennedy) [4]

Il crimine tremendo di cui si era reso responsabile il governo Goulart era di aver 

«manifestato la sua volontà di lottare contro tutte le miserabili condizioni nelle quali si trovavano migliaia di suoi compatrioti. Annunciò il diritto di voto per gli analfabeti e l’intenzione di favorire una legge di riforma agraria. Il 31 marzo 1964 le forze armate deposero Goulart assumendo il controllo del paese e il presidente Lyndon Johnson si affrettò a inviare, il 2 aprile, i “suoi più calorosi auguri”, aggiungendo che il popolo statunitense aveva “osservato con ansia le difficoltà politiche ed economiche attraversate dalla vostra grande nazione. Noi ammiriamo la volontà risoluta della comunità brasiliana di risolvere queste difficoltà nel quadro della democrazia costituzionale”. I convincimenti democratici dei militari si espressero nel corso degli anni seguenti. Essi scatenarono una feroce repressione contro i movimenti e i partiti di sinistra che cercavano di resistere alla dittatura. Soltanto a partire dal 1979 sarebbe iniziato un ritorno a un regime civile.»  [5]

Le conseguenze sociali interne del golpe furono drammatiche, con diverse migliaia di brasiliani arrestati, tutti «comunisti o presunti tali», poi vennero «le torture e gli squadroni della morte, entrambi ampiamente legati alla polizia e ai militari ed entrambi fiancheggiati dagli Stati Uniti», «le case dei contadini venivano bruciate, i sacerdoti brutalizzati». Amnesty International ha segnalato alcune tecniche usate dai 100 mila poliziotti brasiliani addestrati dall’OPS statunitense: 

«Donne incinte sono state costrette a guardare i mariti che venivano torturati. Altre mogli sono state appese nude accanto ai mariti e sono state date loro scosse elettriche nella zona genitale mentre venivano sottoposte alle peggiori oscenità. I bambini sono stati torturati davanti ai genitori e viceversa. Di almeno un bambino, il figlio di tre mesi di Virgilio Gomes da Silva, è certo che sia morto per le torture della polizia.» 

Tutto ciò permise agli USA di avere, negli anni focali della guerra fredda, un alleato prezioso: nel 1965 fu l’unico «paese in America Latina a contribuire in maniera non simbolica» inviando «nella Repubblica Dominicana 1.100 soldati in sostegno dell’invasione statunitense. E nel 1971 e 1973, gli apparati militari e dei servizi brasiliani contribuirono agli sforzi americani per rovesciare i governi di Cile e Bolivia.» [6]

Già in precedenza, tra anni ’40 e ’50, Getulio Vargas, che aveva dominato la vita politica del Paese dagli anni ’30 in senso autoritario e nazionalista, mostrandosi però più legato al ceto imprenditoriale locale piuttosto che ai poteri finanziari internazionali, seguì un programma di sviluppo capitalista che sosteneva la partecipazione statale nell’attività economica, il che lo portò ad entrare spesso in conflitto con gli oligarchi e le potenze straniere, come spiega Luiz Alberto Moniz Bandeira [7]: «Gli sforzi compiuti per industrializzare il paese entrarono quasi sempre in rotta di collisione con gli interessi del capitale straniero, più precisamente con quelli dell’Inghilterra e degli Stati Uniti, che cercavano di ridurre il mercato brasiliano a semplice sbocco delle proprie manifatture.»

Se però negli anni ’30 e ’40 seppe districarsi nelle trattative con gli USA con compromessi e un atteggiamento relativamente paritario, la situazione fu molto diversa quando tornò al potere nel 1951. Lasciamo parlare Moniz Bandeira: 

«Il segretario di Stato Dean Acheson osservò in un rapporto al presidente Truman che Vargas avrebbe adottato un orientamento “socialista” e senz’altro “nazionalista”, che lo avrebbe portato a opporsi alle politiche liberali che gli Stati Uniti cercavano di promuovere a livello commerciale. Anche l’ambasciatore di Gran Bretagna, Neville Butler, riteneva che il Brasile, con Vargas al governo, non sarebbe stato un “docile adepto” dei piani economici e militari degli Stati Uniti in America Latina e avrebbe anzi tentato di contenere l’influenza statunitense, magari contrapponendole quella dell’Europa. Di fatto, sin dai primi mesi della sua amministrazione, Vargas si adoperò per compensare la dipendenza brasiliana dagli Stati Uniti, cercando in Europa nuovi mercati per le esportazioni, soprattutto per il caffè e nuove fonti di macchinari e tecnologia. La discrepanza di interessi tra il Brasile e gli Stati Uniti, nel frattempo, riaffiorò. Nella quarta riunione di consultazione tra i paesi americani, il professore Francisco Clementino de San Tiago Dantas, consigliere economico della delegazione brasiliana, criticò la politica di difesa statunitense, la cui l’enfasi era posta sull’“aggressione interna”, ossia sulla rivoluzione, come principale minaccia che gravava sui paesi dell’emisfero. Secondo San Tiago Dantas, il cui discorso fu interrotto da una salva di applausi quando si riferì alle aree di povertà e miseria che caratterizzavano il continente, l’America Latina avrebbe sofferto ancor più le conseguenze del programma di difesa degli Stati Uniti. Tale divergenza ebbe delle ripercussioni. Il Washington Post commentò che i due paesi “arrivarono alla sfida aperta”. Un articolo di France Presse, pubblicato nel Diário de Notícias di Rio de Janeiro, sottolineò che Brasile e Stati Uniti “per la prima volta nella storia, si erano schierati in campi opposti”. Il ministro degli Esteri João Neves da Fontoura ricevette il plauso della delegazione brasiliana e di quella degli altri paesi latinoamericani “per non avere seguito la linea di transigenza illimitata con gli Stati Uniti”, in cambio di un possibile trattamento favorevole sul piano bilaterale. […] Gli Stati Uniti non raggiunsero pienamente i propri propositi – ossia il sostegno dell’America Latina all’intervento in Corea e alla preparazione della guerra contro l’Unione Sovietica. La solidarietà rimase solo sulla carta, racchiusa in una dichiarazione anticomunista approvata da ventuno nazioni del continente. Il Brasile già allora lamentava il fatto di non avere mai avuto dal 1945 alcun tipo di sostegno al suo sviluppo, nonostante la collaborazione prestata durante la seconda guerra mondiale e il suo allineamento agli Stati Uniti, che il presidente Eurico Gaspar Dutra (1946-1951) aveva mantenuto, mentre miliardi di dollari affluivano in Europa, grazie al Piano Marshall. L’ambasciatore statunitense Herschell V. Johnson notò che i leader politici brasiliani già ponevano in discussione l’utilità della linea di intima collaborazione economica con gli Stati Uniti e che le relazioni tra i due paesi fossero ormai entrate in un circolo vizioso. Pur continuando a sostenere, in generale, la politica estera statunitense, nell’ambito della guerra fredda, Vargas rifiutò l’invio di truppe in Corea, perseguendo sul piano interno una politica economica nazionalista. Le autorità americane, come osservò il politologo Peral K. Haines, confusero frequentemente le incomprese forze nazionaliste emergenti in Brasile con il comunismo, percependole così alla stregua di una temibile minaccia alla possibilità di creazione di un bulwark anticomunista, prospero e stabile. […] Vargas istituì il monopolio statale del petrolio, creando la Petrobras, elaborò il progetto destinato a creare la Eletrobrás, negoziò con scienziati tedeschi l’acquisto di tecnologia nucleare per l’arricchimento dell’uranio, rese più care le importazioni di beni capitali, creò la sovrintendenza della Moneta e del Credito (Sumoc), e cercò di controllare i trasferimenti dei profitti all’estero. Queste iniziative, avviate al fine di risolvere i problemi energetici, di stimolare la produzione nazionale di macchinari e di contenere la fuga di capitali, toccarono gli interessi monopolisti di poderose corporazioni internazionali, che si allearono con la borghesia commerciale brasiliana, impegnata in attività di import-export, allo scopo di fomentare una campagna di destabilizzazione del governo.»

Nell’agosto 1954, in un clima di guerra economia e violenze interne i militari intervennero e chiesero al presidente di abbandonare l’incarico. Vargas respinse l’ultimatum e il 24 dello stesso mese, anziché cedere, preferì uccidersi. Alla luce di quanto abbiamo imparato a conoscere sulle tecniche messe in campo dalla CIA già in questo periodo è difficile credere che non ci sia stato un loro intervento all’interno di dinamiche che appaiono molto simili a quelle riscontrate nello stesso anno nel golpe in Guatemala.

DAL NEOLIBERISMO SFRENATO AL GOLPE DEL 2016

Negli anni ’80 e ’90 si susseguirono governi moderati e conservatori che precipitarono il Paese nel baratro economico seguendo politiche economiche neoliberiste, nonostante una «grande opposizione sociale». Si può immaginare come le vittorie elettorali conquistate in questo periodo da tali forze politiche, che mettevano in atto i piani “consigliati” dal FMI, siano state conquistate con i buoni finanziamenti statunitensi avvenute nell’ambito delle operazioni clandestine, una pratica usuale durante tutta la guerra fredda e anche oggi in tutta l’America Latina (e non solo). Ciononostante la svolta avviene con la vittoria del Partito dei Lavoratori (PT) nel 2002, sotto la guida di Luiz Inácio “Lula” da Silva, che assieme a Dilma Rousseff (vincitrice nel 2010) tra mille difficoltà e contraddizioni ha portato il Paese nell’alveo dell’ALBA progressista e verso un nuovo sviluppo economico e sociale. [8]

Nel 2016, a seguito di decisioni giudiziarie, Dilma Rousseff è stata destituita dal suo ruolo presidenziale. Il Segretario delle Relazioni Internazionali del Partito Comunista del Brasile si è espresso così sulla questione, denunciando il golpe: 

«gli autori del processo di impeachment non hanno presentato indizi né prove del fatto che la presidente Dilma Rousseff sia incorsa in un crimine di responsabilità. La accusano di avere mancato rispetto all’attuazione del Bilancio governativo, perché ha assunto misure amministrative e finanziarie straordinarie per assicurare, in un momento di restrizioni monetarie derivanti da difficoltà economiche, la realizzazione delle politiche pubbliche e sociali e finanziare lo sviluppo economico. Così, le motivazioni del processo di impeachment sono politiche, un pretesto per, sotto la copertura di un’argomentazione giuridica, rovesciare la presidente della Repubblica. La destituzione della più alta rappresentante del paese senza che abbia commesso crimine di responsabilità è, così, una forma di golpe politico, di colpo di Stato. Per questo diciamo – e lo facciamo anche come denuncia – che è in corso un colpo di Stato, un colpo che si sta attuando per tappe, ed è in piena esecuzione. Ovviamente, diverso da quello del 1964, poiché è un’altra la congiuntura mondiale, così come è differente il contesto politico nazionale. Sono di altra natura anche i metodi. Nel 1964 si realizzò un golpe militare. Ora si tratta di un golpe istituzionale e mediatico, in cui settori dell’apparato di polizia e giudiziario agiscono in collusione con l’opposizione neoliberale e conservatrice.»  [9]

Da più parti sono state denunciate le «interferenze» degli USA. [10] Tra queste si è levata la voce di Frei Betto, uno dei principali esponenti della Teologia della liberazione brasiliana: «è un golpe parlamentare che rientra nella strategia del governo degli Stati Uniti di destabilizzare i governi democratici e popolari dell’America latina». [11]

IL “CASO LULA”

Di fronte all’interventismo sempre più sfacciato degli USA e alla difficoltà di gestione della direzione di Dilma Rousseff, Lula decise di scendere nuovamente in campo, giocando sull’enorme popolarità di cui godeva ancora la sua figura. Nel giro di breve tempo è finito in carcere. È utile riportare integralmente un recente articolo [12] di Famiglia Cristiana, che tracciava un bilancio chiaro della questione.

«Luiz Inacio Lula da Silva ha deciso di consegnarsi alla polizia federale di San Paolo del Brasile per scontare la pena inflittagli per corruzione. Ha lasciato il sindacato metallurgico, dove era barricato da giorni, attraversando a fatica una folla che si era radunata da giorni per impedire l’arresto, radunata dentro e fuori dalla chiesa di Sao Bernardo do Campo. Anche il vescovo monsignor Angelico Sandalo Bernardini, della Diocesi di Blumenau, nel sud del Brasile, che ha presieduto la funzione religiosa, aveva incoraggiato l’ex-presidente del Brasile e la folla dei fedeli: “Qui c’è un cittadino che era già stato imprigionato in passato”, aveva detto dal pulpito monsignor Angelico, già presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, “imprigionato senza che nessuna prigione potesse detenere il suo cuore, la sua mente e i suoi ideali. Continua a dedicare la tua vita alla causa della pace, che è frutto della solidarietà, dell’amore, della misericordia e della giustizia. Che Gesù ti protegga, fratello e compagno”.

Le testimonianze a sostegno del “presidente guerriero del popolo”. Lula è stato portato quasi in trionfo dalla folla che manifestava in suo favore e osannava a “Lula presidente guerriero del popolo”. “Caro presidente Lula, che magia è questa la sua che la rende oggi garante della democrazia brasiliana e simbolo della speranza di milioni di brasiliani che gridano il suo nome in tutto il Paese e in tante città straniere? Che magia è questa che gli dà coraggio, nonostante tutto la sua sofferenza personale, per offrire a ciascuno di noi una lezione di dignità e umanità? La risposta è molto facile: la sua semplicità, caro presidente, è così disarmante che i suoi aguzzini hanno sottovalutato la grandezza che questa comporta in sé”. Sono le parole a sostegno di Lula dell’economista dell’Università di Coimbra Boaventura de Sousa Santos, riportate nella lettera inviata all’ex-presidente brasiliano, a seguito del suo mandato di arresto, emesso dal giudice federale Sergio Fernando Moro. Una delle tante giunte in questi giorni dall’estero all’ex presidente del Brasile. Altre manifestazioni di solidarietà all’ex-presidente del Brasile arrivano da intelettuali, giornalisti, sacerdoti, artisti, ma sopratutto dalla grande massa di persone emarginate, appartenenti alle classi più povere del Brasile, che da giorni si era radunata davanti al sindacato dei lavoratori di Sao Bernardo do Campo” e in altre piazze del Paese.

Il potere giudiziario e la perdita di indipendenza. “Lula è stato arrestato non perché ha commesso un reato, del quale a tutt’oggi non ci sono prove tangibili della sua colpevolezza, altrimenti avrebbe potuto ricorre a tutti i gradi di giudizio previsti dalla Costituzione brasiliana, cosa che infatti gli viene negata. Il Giudice Moro ha chiesto l’arresto di Lula soltanto perché rappresenta un pericolo alle prossime elezioni presidenziali che si terranno in Brasile a ottobre di quest’anno, proprio perché rappresenta quella enorme parte della popolazione povera brasiliana che non deve avere né voce, né diritti, né visibilità. In prigione, non potrà candidarsi alle elezioni presidenziali. Per riuscire a metterlo fuori gioco, il potere giudiziario brasiliano, uno dei tre poteri pilastri dalla Costituzione Federale del Brasile, oltre al potere legislativo ed esecutivo, che dovrebbe essere autonomo nel suo operato, ha violato la stessa Costituzione federale. Questo mandato di arresto in realtà serve soltanto per impedire la candidatura di Lula alla presidenza del Brasile da parte di una classe sociale e politica che non vuole la difesa dei diritti uguali per tutti, ma il mantenimento della casta sociale più alta del Paese, con le proprie garanzie di diritti a discapito dell’intero popolo brasiliano”. Lo dice, senza parafrasi Antonio Vermigli, direttore della rivista “In Dialogo” e membro della Rete Radie Resh, l’Associazione di solidarietà internazionale fondata nel 1964 dal giornalista, scritore e ex parlamentare italiano, Ettore Masina, dopo un viaggio con Papa Paolo VI in Israele. Vermigli è anche il promotore della Marcia per la Giustizia che si svolge ogni anno a Quarrata, in Provincia di Pistoia, da ormai 25 anni e che ha avuto la partecipazione di tantissime persone (scrittori come Luis Sepulveda, il premio Nobel per la Pace Rigoberta Menchu,e lo stesso ex presidente del Brasile, Lulla, che nel 1999, quando era ancora in corsa per la sua prima legislatura, iniziata poi, nel 2003, con la sua vittoria alle elezioni”.

La spaccatura delle classi sociali. “L’arresto dell’ex-presidente operaio”, prosegue Vermigli, amico personale di Lula, “ha determinato una spaccatura netta tra le classi sociali del Paese che reagiscono alla notizia in maniera diametralmente opposta tra loro. Per capire in profondità l’effetto della decisione del Tribunale Federale e la conseguente reazione di gran parte del Paese a questa decisione, bisogna fare un viaggio nella storia del Brasile, nato e cresciuto con la colonizzazione Portoghese, la tratta degli schiavi e gli svariati conflitti interni per la difesa della libertà e i diritti civili che si susseguiranno nei secoli di storia. Lula è stato a lungo protagonista nelle battaglie per i diritti dei lavoratori durante il periodo buio della dittatura militare nel Paese e molte persone, oggi, sembrano non aver dimenticato la figura carismatica del leader operaio”.

La protesta dei cattolici. Tra i lavoratori sostenitori di Lula ci sono anche molti cattolici che operano nelle diverse pastorali del nordest del Paese e che spiegano la richiesta di reclusione dell’ex-presidente come non soltanto una violazione dei diritti costituzionali, ma un vero colpo di Stato di matrice politico-economica, come spiega Antonio da Silva: “Vogliono arrestare Lula perché questo Paese continua a vivere all’epoca dello schiavismo, della quale non si è mai liberato. Dietro alla politica del Brasile c’è l’economia mondiale e la voglia di saccheggiare ulteriormente la nostra nazione. Dopo la scoperta dell’enorme giacimento di petrolio in Brasile, il Pré-Sal e la miniera di Niobio, metallo più nobile e caro dell’oro e del titanio, oltre a tutte le altre risorse naturali e economiche che possediamo, avere un governo corrotto e collaborazionista con gli USA e altri Paesi al mondo fa comodo a molte nazioni straniere del Primo mondo, il mondo dell’Occidente industrializzato.”

La Russia e la Turchia avevano avvertito l’ex presidentessa e successore di Lula Dilma Roussef del pericolo un colpo mediatico giudiziario. “Io inizierei da quello che è successo durante il governo di Dilma Roussef”, continua Vermigli, “cioè quando lei è stata tolta dalle sue funzioni di presidente della Repubblica del Brasile con un golpe mediatico giudiziario, un colpo di stato ordito con molta organizzazione da parte di un gruppo di persone composto dai ricchi brasiliani, dalla finanza, dalle multinazionali e dalla più grande emittente televisiva del sud America, insieme alla magistratura. Posso dire con molta onestà che già alla fine della prima campagna elettorale, Dilma era stata avvisata dal presidente della Turchia, Erdogan e dal presidente della Russia, Vladimir Putin, con una telefonata diretta, che stavano organizzando un colpo giudiziario a suo carico e si meravigliavano dal fatto che servizi segreti brasiliani non se ne fossero occupati. Siamo di fronte ad una ricolonizzazione del Brasile da parte dei ricchi (si sospetta che in Brasile vivono almeno 75.000 ultra-milionari) che gestiscono la stragrande maggioranza della ricchezza del Paese e che insieme alle multinazionali hanno sempre cercato di ostacolare la presenza di Lula prima e della Roussef poi”.

I diritti della povera gente. “Durante il governo di Lula”, conclude Vermigli, “per la prima volta in Brasile, la povera gente ha potuto avere dei diritti assicurati, ci sono stati molti investimenti nelle piccole aziende, nel lavoro dei piccoli agricoltori, la gente ha assaggiato per la prima volta una certa condivisione di un certo benessere e molte persone hanno potuto permettersi di viaggiare, cosa che prima era un diritto assoluto dei benestanti. Il Paese cresceva e c’era una distribuzione de reddito più equa che sicuramente dava enorme fastidio alla classe dominante che ha sempre potuto usufruire di ogni privilegio a discapito della maggioranza delle persone brasiliane che non potevano permettersi niente. Il grande rilancio dell’economia brasiliana ha avuto come base proprio questa riduzione del divario tra poveri e ricchi. Le persone potevano permettersi di acquistare beni di consumo, elettrodomestici, e fu proprio questa situazione di migliori condizioni di vita che ha favorito la crescita enorme del Paese in quel periodo. Il famoso Brics, unione del mercato composto dal Brasile, Russia, India, Cina e Sud África minacciava sicuramente il mercato occiedentale degli Stati Uniti e i loro interessi economici. L’attuale governo Temer ha cancellato l’80% dei progetti sociali, ha privatizzato tutto quello che ha potuto fino ad ora privatizzare, in primis il famoso pré-sal, uno dei più grandi giacimenti di petrolio e gas naturale sul l’oceano atlantico, vicino alle coste brasiliane, (25 milla barili di petrolio al giorno).

Il filo conduttore tra la morte di Mariele Franco e la richiesta di immediata detenzione di Lula. Forse c’è un filo rosso che collega l’assassinio di Marielle Franco, l’attivista politica e sociale del Brasile, nonché consigliere comunale a Rio di Janeiro e il mandato di reclusione di Lula conclude Vermigli: il razzismo e il classismo fortemente presenti nella società brasiliana che determina una forte discriminazione sociale nel tentativo di assicurare il mantenimento dei privilegi della casta socio economica più elevata e delle oluigarchie politico-finanziarie. “Perché in realtà il Brasile, più che razzista, è ancor di più un Paese classista”.»

DA DOVE ORIGINA LA CRISI DEL PT?

John Perkins, ex “sicario dell’economia” al servizio delle multinazionali, poi redento e autore di libri best-sellers come Confessioni di un sicario dell’economia e La storia segreta dell’Impero Americano, ha scritto cose molto interessanti [13] che ci aiutano a capire il problema della corruzione  diffusa nei vertici della cerchia governativa socialdemocratica brasiliana. È utile riportarle per capire la diffidenza che può essere subentrata verso il PT e il suo leader Haddad, oltre che per conoscere certe tattiche usate verosimilmente tutt’oggi in Brasile (e anche altrove?) dalla CIA. Perkins riporta un colloquio avuto con un «funzionario governativo» brasiliano rimasto anonimo, chiamato per comodità “José”:

«José mi descrisse l’enorme pressione esercitata sul suo capo, Lula. “Non si tratta soltanto di bustarelle e minacce di colpi di stato o assassinii, e neppure di stringere patti e falsificare previsioni economiche, o di renderci schiavi mediate debiti che non saremo mai in grado di ripagare. È qualcosa di molto più profondo”. Proseguì spiegandomi che in Brasile e in molti altri paesi la corporatocrazia controlla sostanzialmente tutti i partiti politici. “Washington tiene in pugno perfino i candidati comunisti radicali, che sembrano opporsi fieramente agli Stati Uniti”. […] José mi descrisse come gli studenti venissero adescati quand’erano ingenui e vulnerabili. Mi raccontò le sue esperienze personali da giovane e il modo in cui venivano utilizzati donne, alcol e droghe. “Perciò anche quando sale al potere un oppositore radicale degli Stati Uniti, che in quel momento della sua vita vuole davvero ribellarsi a Washington, la CIA dispone di ‘prove’ contro di lui”. […] Gli chiesi se Lula fosse stato corrotto e da quanto tempo. Era ovvio che la domanda lo metteva estremamente a disagio. Dopo un lungo silenzio ammise che Lula faceva parte del sistema. “Altrimenti come avrebbe potuto arrivare così in alto?” Tuttavia José aveva per lui parole di ammirazione. “È una persona realistica. Capisce che per aiutare la sua gente non ha scelta…” Poi scosse la testa. “Temo”, disse, “che Washington cerchi di far fuori Lula se si spinge troppo oltre […] Tutti hanno degli scheletri nell’armadio, come si suol dire. […] Anche Lula ha i suoi scheletri. Se le potenze che gestiscono il vostro impero vogliono farlo fuori, non devono far altro che aprire l’armadio. Ci sono molti modi di assassinare un leader che minaccia l’egemonia statunitense”. Mi lanciò un’occhiata che avrei ricordato molti mesi dopo, quando quattro dirigenti del partito di Lula si dimisero perché accusati di aver architettato un intrigo multimilionario per pagare i parlamentari in cambio di voti e sembrò che la carriera politica di Lula dovesse essere travolta dallo scandalo.»

L’accusa di corruzione fatta a Lula, e molte altre affermazioni, sono da prendere evidentemente con le pinze, in quanto non dimostrate. La testimonianza riportata, per altri passi qui omessi perché fuori tema, mostra però una certa attendibilità e buona fede di tale “José”, e ci fornisce alcune risposte che spiegano alcune cause del calo di popolarità avuto dal PT; il marxismo insegna d’altronde come la questione della corruzione morale non si possa risolvere solo con la presenza dei “corruttori”, ma sia un problema strutturale di ogni società fondata su un modo di produzione capitalistico, per quanto “illuminata” e “popolare” possa essere la sua gestione politica.

CONCLUSIONI

Alcune considerazioni conclusive. Con il “caso Lula” è accaduto qualcosa di molto simile a quanto fatto in Italia negli anni ’20 con i processi a Gramsci e Bordiga (e tanti altri) o all’inizio degli anni ’90 in Germania con il processo a Honecker: l’offensiva contro il PT ha raggiunto un livello qualitativo inedito nella storia recente, sfruttando l’apparato mediatico semi-totalitario di cui dispongono la borghesia locale e quella statunitense. Le classi dominanti brasiliane hanno spianato la strada alla nascita di un Governo reazionario ancora più prono e subalterno agli interessi dell’imperialismo (locale e soprattutto statunitense). Il risultato di questo processo di lungo corso è stata la vittoria di Bolsonero, che lungi dall’essere un “sovranista”, è un fido alleato degli USA. Il Brasile d’altronde, come buona parte degli altri Paesi del mondo, ed in particolar modo quelli dell’America Latina, è stato completamente controllato politicamente dagli USA nel periodo della Guerra Fredda. Con la caduta dell’URSS e della fobia anticomunista, la morsa si è allentata per qualche anno, e ha potuto infine salire al potere il Presidente socialdemocratico (non comunista) Lula, che ha sostenuto con prudenza politiche economiche e sociali di sviluppo capaci di togliere dalla strada decine di milioni di persone ridotte alla povertà assoluta. Inizialmente ha fatto ciò non mettendo in discussione il capitalismo né le strutture imperialiste, probabilmente consapevole dei rischi di uno scontro aperto con Washington. In tal senso è però rimasto pressoché immutato l’usuale quasi monopolio economico-finanziario controllato dagli USA e dalle multinazionali occidentali, in un equilibrio politico assai fragile e sotto il costante “ricatto” dei rischi conseguenti dal suffragio universale nell’ambito della democrazia “liberale” borghese.

L’avvicinamento di Lula al circuito alternativo antimperialista dell’ALBA, costruito da Cuba e Venezuela (dicembre 2004) in un’ottica di emancipazione economico-commerciale dell’America Latina, è stato per lui l’inizio della fine. Gli USA, posti di fronte alla minaccia di perdere il proprio “cortile di casa”, in un contesto di ascesa complessiva dei BRICS, hanno avviato un’offensiva su scala mondiale, concentrando in particolar modo l’attenzione sul proprio continente: sono caduti uno dopo l’altro i Governi progressisti nati in Ecuador, Argentina, Uruguay e infine nello stesso Brasile. In tutti questi Stati, con l’eccezione del Venezuela (messo tuttora a dura prova), sono stati restaurati Governi reazionari filo-statunitensi. Tra le colpe di Lula, che hanno reso inaccettabile la prosecuzione delle politiche sue e del successore Rousseff, c’è insomma quella di aver osato appoggiare quegli schieramenti internazionali (BRICS, ALBA) che stanno mettendo in discussione il potere neocoloniale delle multinazionali e del Governo statunitense. Questo è il motivo di fondo per cui si è punito con la massima severità possibile la figura di Lula, mostrando ai brasiliani che l’alternativa a Washington è il carcere. Un destino che colpisce perfino gli eroi del popolo. Non ci sono scrupoli a favorire l’ascesa di un reazionario che rimpiange i tempi della dittatura militare e annuncia apertamente la cancellazione (politica o fisica?) dei comunisti e dei socialisti. A tanto possono ancora giungere la CIA e le capacità di destabilizzazione della politica statunitense. In questo scenario la parte più cosciente del popolo sa bene che le accuse di corruzione fatte a Lula sono una messa in scena montata ad arte, o sono un dato insignificante nel contesto complessivo di sovranità limitata in cui è posto il Paese. Non tutti però hanno la caratura morale, e quindi la fiducia popolare, di Lula. Una gran parte dei brasiliani, anche proletari, si fa ancora ingannare dalla potenza di fuoco mediatica e dalle promesse illusorie di poter migliorare la propria condizione sociale con politiche ultra-liberiste. Non accade d’altronde solo in Brasile, ma è storia quotidiana anche in Italia e nella maggior parte dei Paesi del mondo. Ci sono poi sicuramente alcuni settori sociali, specie quei ceti medi e benestanti, arricchitisi nella stagione di sviluppo economico, che si saranno fatti ammaliare dagli slogan sulla sicurezza. Non c’è da stupirsi troppo sul fatto che le false ideologie colpiscano a tal riguardo anche molti proletari, anche nei Paesi in via di sviluppo dove i fenomeni del degrado sociale e della delinquenza comune sono particolarmente vistosi.

Non si pretende in questa sede fare un’analisi completa delle cause della vittoria della destra, per la quale servirebbero dati più precisi di cui non si dispone. Analisi sul tema le potrà offrire meglio di chiunque altro il Partito Comunista del Brasile, a diretto contatto con la realtà locale. Si intende qui ribadire la necessità di riflettere sul grado di controllo politico di cui gode l’Impero statunitense in combutta con la borghesia locale. Se non basta a spiegare completamente la vittoria di Bolsonaro, è sicuramente un tassello fondamentale da tenere in conto. Ed è una lezione che parla non solo al resto dell’America Latina, ma ad ogni popolo che subisce tuttora l’egemonia statunitense. Il movimento operaio italiano è avvisato, essendo l’Italia non solo un Paese imperialista, ma anche una semi-colonia a sovranità limitata. Il miglior modo di aiutare i compagni brasiliani nella loro annunciata lotta di Resistenza è lavorare a distruggere l’imperialismo (UE e NATO) a casa nostra. Il primo passo per un tale obiettivo oggi apparentemente utopico è la presa di coscienza popolare dei veri nemici della sovranità popolare.

Alessandro Pascale

NOTE

1  A. Pascale, “A Cent’anni dalla Rivoluzione d’Ottobre. In Difesa del Socialismo Reale e del Marxismo-Leninismo”, vol. II, Intellettualecollettivo.it, 2017, pp. 485-489. L’opera è scaricabile gratuitamente su http://intellettualecollettivo.it/

https://www.produzionidalbasso.com/project/storia-del-socialismo-e-della-lotta-di-classe/

3  T. Weiner, “CIA. Ascesa e caduta dei servizi segreti più potenti del mondo”, BUR Rizzoli, Bergamo 2010, p. 186

4  W. Blum, “Il libro nero degli Stati Uniti”, Fazi, Roma 2003., p. 253.

5  P. Pena, “Gli interventi statunitensi in America Latina”, all’interno di A.V., “Il libro nero del capitalismo”, Marco Tropea Editore, Milano 1999, p. 350.

6  W. Blum, “Il libro nero degli Stati Uniti”, cit., p. 253-256.

7  L. M. Moniz Bandeira, “Viaggio alle origini del Brasile moderno”, “Brasile la stella del Sud”, n° 6, 15 giugno 2007, disponibile su http://www.limesonline.com/cartaceo/viaggio-alle-origini-del-brasile-moderno

8  Enciclopedia DeAgostini-Sapere.it, “Brasile”, disponibile su http://www.sapere.it/enciclopedia/Brasile.html

9  J. R. Carvalho, “Denunciamo che è in corso un golpe in Brasile”, 12 aprile 2016, disponibile su https://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/nel-mondo/26802-qdenunciamo-che-e-in-corso-un-golpe-in-brasile

10  A. Lollo, “Le indecisioni di Dilma, il golpe, l’interferenza degli USA e l’ortodossia liberista”, 16 maggio 2006, disponibile su http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/05/16/le-indecisioni-dilma-golpe-linterferenza-degli-usa-lortodossia-liberista-079169

11  ATS/DO, “Frei Betto: l’impeachment di Dilma Rousseff è un golpe ispirato dagli Usa”, 31 agosto 2016, disponibile su http://www.tio.ch/News/Estero/Politica/1103389/Frei-Betto-l-impeachment-di-Dilma-Rousseff-e-un-golpe-ispirato-dagli-Usa/

12  K. Fitermann (a cura di), “Brasile, dietro l’arresto di lula l’ombra delle oligarchie economiche”, “Famiglia Cristiana”, 8 aprile 2018, disponibile su http://www.famigliacristiana.it/articolo/brasile-dietro-l-arresto-di-lula-il-ritorno-delle-oligarchie-economiche.aspx?fbclid=IwAR0e4gyoZtti6Sg02SLqKsqKRuYi4CMCDpog9hBK6nkbbectvEhbRoULWIk

13  Le citazioni che seguono sono tratte da J. Perkins, “La storia segreta dell’Impero Americano”, Minimun Fax, Roma, 2007, pp. 157-161.Le citazioni che seguono sono tratte da J. Perkins, “La storia segreta dell’Impero Americano”, Minimun Fax, Roma, 2007, pp. 157-161.