USA: cento giorni di solidarietà del movimento pacifista con il popolo iracheno

di Medea Benjamin* | da www.counterpunch.org, traduzione a cura di Marx21.it

 

*Medea Benjamin è cofondatrice del gruppo per i diritti umani Global Exchange e del gruppo pacifista CODEPINK

 

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Questa settimana segna l’inizio di quello che si suppone debbano essere gli ultimi cento giorni dell’occupazione statunitense dell’Iraq. Ma se, come è stato promesso (ripetutamente) le truppe statunitensi se ne andranno dall’Iraq alla fine di quest’anno, sarà necessaria la pressione dei gruppi di base per contrastare il sempre più chiassoso coro che chiede di “occupare l’Iraq per sempre” a Washington.

 

Nonostante il fatto che ci sia un accordo dell’era Bush con il governo iracheno per andarsene, nonostante il fatto che la maggioranza degli iracheni e degli statunitensi non appoggino la continua presenza statunitense e nonostante il fatto che si dica che il Congresso è in una fase di austerità, potenti forze (compresi generali, speculatori della guerra e falchi di entrambi i partiti) stanno esercitando pressione sul presidente Obama perché violi l’accordo negoziato dal suo predecessore e mantenga una quantità significativa di soldati in Iraq quando arriverà la data limite del 31 dicembre 2011.

 

E’ certo che già c’è stato un importante ritiro di truppe statunitensi, dal tetto massimo di 170.000 soldati nel 2007 a circa 45.000 di oggi (la maggior parte delle truppe di stanza in Iraq è stata inviata nell’Afghanistan occupato). Ma questa cifra non rende conto del quadro complessivo. Come segnala il “New York Times”, “sebbene l’esercito riduca la forza delle sue truppe in Iraq, la CIA continuerà a conservare una presenza fondamentale nel paese, e la stessa cosa faranno i contrattisti della sicurezza che lavorano per il Dipartimento di Stato”, questi ultimi per difendere l’ambasciata statunitense che ha le stesse dimensioni del Vaticano.

 

Nel 2007 il candidato Obama aveva promesso che la prima cosa che avrebbe fatto come presidente sarebbe stata il ritiro delle nostre truppe dall’Iraq. “Riporterò le nostre truppe a casa. Finiremo questa guerra. Se ne può essere certi”, dichiarò il futuro presidente. Ma fino ad ora l’unica cosa di cui possono star sicuri molti statunitensi è che sono stati cacciati fraudolentemente da casa propria.

 

Nonostante le spesso ripetute promesse del presidente Obama, la sua amministrazione non sembra desiderosa di ritirare tutte le truppe statunitensi e ancora meno i contrattisti privati. Il segretario della Difesa di Obama, Leon Panetta, ha già sostenuto un piano che vedrà da 3.000 a 4.000 soldati rimanere in Iraq a tempo indefinito, apparentemente per “continuare ad addestrare le forze di sicurezza sul posto”. Nel frattempo, il comandante di maggior rango in Iraq sta premendo per mantenere 18.000 soldati nel paese. E i legislatori statunitensi, tanto repubblicani come democratici, si fanno portavoce dell’appello a rimanere.

 

Il senatore repubblicano Lindsey Graham ha affermato recentemente che lasciare solo 3.000 soldati sarebbe “la formula per il disastro”. Intanto, la senatrice democratica Dianne Feinstein ha avvertito che sarebbe un errore perché l’Iraq non è ancora completamente sicuro. E in un’intervista per la FOX il senatore repubblicano John McCain ha affermato: “Ho parlato con molti dirigenti militari che hanno dichiarato che 3.000 soldati sarebbero troppo pochi […]. Non ho mai incontrato un solo dirigente militare che abbia detto che lasciare 3.000 soldati rappresenta una buona idea. Non so a chi è venuta in mente questa idea”.

 

Qualcuno dovrebbe riferire a McCain a chi è venuta l’idea, non di lasciare 3.000 soldati ma di non lasciarne nessuno: agli iracheni. Ritirare tutte le truppe statunitensi per la fine di quest’anno fu concordato con lo stesso governo che gli Stati Uniti hanno aiutato a installarsi. Ed è il frutto della pressione popolare, il modo come si suppone debba funzionare la democrazia. L’intesa venne sancita dall’Accordo per la Sicurezza del 2008 firmato da Washington e Baghdad. Si presuppone che qualsiasi cambiamento della data limite dovrebbe avvenire unicamente su richiesta del governo iracheno. Fino ad ora, a meno di 100 giorni,non è venuta questa richiesta.

 

I dirigenti iracheni, compresi quelli che devono agli occupanti statunitensi la loro posizione, sanno che sarebbe un suicidio politico dichiararsi pubblicamente a favore del mantenimento delle truppe statunitensi. La maggioranza degli iracheni odia gli invasori statunitensi che hanno iniziato una guerra di aggressione illegale che ha ucciso più di 100.000 iracheni. Incolpa gli statunitensi di avere scatenato una guerra civile che ha obbligato più di 4.700.000 iracheni, la maggior parte dei quali non è tornata, a fuggire dalle proprie abitazioni e che ha avuto come risultato la pulizia etnica di Baghdad.. Un popolo orgoglioso si sente umiliato dalla presenza di truppe straniere e non dimentica il trattamento che molti dei suoi concittadini hanno ricevuto nelle prigioni dirette da statunitensi. E un fatto che decine di migliaia di iracheni sono scesi nelle strade per chiedere agli invasori stranieri di andarsene.

 

Dopo aver inflitto tanta sofferenza al popolo iracheno il minimo che possiamo fare a casa nostra è appoggiare l’appello degli iracheni perché se ne vadano le nostre truppe. Mentre molti membri del Congresso stanno premendo su Obama perché mantenga l’occupazione, altri, guidati dalla rappresentante democratica Barbara Lee, chiedono che abbia fine questo vergognoso episodio della nostra storia. Anche una coalizione di gruppi pacifisti che vanno da Peace Action a Military Families Speak Out si è aggiunta alla sua petizione “Fuori subito!”.

 

“Siamo profondamente preoccupati per i recenti rapporti secondo i quali la sua amministrazione starebbe programmando di lasciare migliaia di soldati statunitensi dispiegati in Iraq a tempo indefinito”, hanno affermato questi gruppi in una lettera al presidente. “Anche noi siamo preoccupati per lo straordinario aumento di contrattisti e per la non rivelata quantità di operativi dei servizi di intelligence in Iraq. Signor presidente, il futuro dell’Iraq dipende dal popolo iracheno, non dall’esercito statunitense. Ora è il momento di riportare a casa tutti i valorosi uomini e donne in uniforme, come aveva promesso”. E’ stato chiesto a tutti gli statunitensi amanti della pace di inondare la Casa Bianca con messaggi, chiamando il 202-456-1111.

 

Altri stanno andando in piazza. Il 6 ottobre attivisti contro la guerra di tutta la nazione si riuniranno in Piazza della Libertà a Washington, DC, per chiedere la fine delle guerre di Afghanistan e Iraq. La protesta non si limiterà a un solo giorno, ma proseguirà con l’ “occupazione popolare” continua della piazza per esigere la fine delle occupazioni statunitensi. Venga chi ha la possibilità o semplicemente ci aiuti ad informare.

 

Invece di accettare passivamente i piani del nostro governo di estendere all’infinito l’occupazione militare dell’Iraq, facciamo sapere a coloro che affermano di rappresentare le nostre aspirazioni a Washington che permetteremo solo la fine effettiva e senza trucchi di una guerra di occupazione che ha spezzato innumerevoli vite. E questa è una promessa che possono star sicuri che manterremo.