Come la Cina ha spezzato la catena del contagio

china flag wall ss 1920di Vijay Prashad – Du Xiaojun – Weiyan Zhu (Indipendent Media Institute) – Giacomo Marchetti

da https://contropiano.org

Pubblichiamo la traduzione della meticolosa descrizione scritta a “sei mani” su come la Cina sia riuscita a sconfiggere vittoriosamente la “prima ondata” dal contagio del coronavirus. Questo articolo è apparso sul prestigioso 
Indipendent Media Institute il 15 aprile ed è stato ripreso dalla testata digitale della storica rivista della sinistra radicale nord-americana Monthly Review On Line il 19 aprile.

Avevamo precedentemente pubblicato un racconto-intervista di ciò che è stata l’esperienza della quarantena nella città di Wuhan, nella provincia di Hubei, ed un altro resoconto del corrispondente del “The Washington Post” a Pechino.


Dalla lente di questi due differenti osservatori emergevano chiaramente alcune caratteristiche della risposta vincenti della Repubblica Popolare che qui sono riportate minuziosamente in una scansione cronologica che va dai primi di gennaio alla fine dei 76 giorni di lockdown.

Altri acuti osservatori, in questo caso osservatrici, avevano individuato la chiave di volta della risposta cinese all’emergenza sanitaria al proprio interno e poi alla pandemia globale nella “pianificazione socialista” di questo Paese.

Infatti, nonostante i primi errori nell’affrontare l’epidemia alla fine dello scorso anno, che sono stati pubblicamente ammessi dalla dirigenza, la Cina è riuscita ad affrontare da subito, al meglio, con l’inizio del nuovo anno la sfida del Covid-19.

Come ci ricorda il collettivo anti-imperialista cinese Qiao: “È quindi interessante notare come nessuno dei media occidentali abbia menzionato che il sindaco e il segretario di partito di Wuhan abbiano ammesso apertamente il loro errore sia in conferenze stampa, sia in interviste per popolari programmi televisivi, né di come il Partito abbia imposto chiaramente e in termini inequivocabili la totale trasparenza e condivisione delle informazioni riguardanti il virus.

Questa trasparenza si è chiaramente manifestata con la diffusione della “mappatura genetica” del virus avvenuta nella prima metà di gennaio – che ha permesso di lavorare globalmente da subitosulla creazione del vaccino – e della stretta e fruttuosa collaborazione tra Cina e Organizzazione Mondiale della Sanità in particolare ed in generale con tutti i Paesi che ne hanno fatto richiesta, al di là delle menzogne di Trump e di chi vi si è allineato.

In questo articolo emerge come l’esigenza principale della dirigenza cinese fosse – dopo avere preparato una risposta medica adeguata dai primi giorni di gennaio – “mettere la salute delle persone prima degli interessi economici”, e non gli interessi del “partito del PIL” come è avvenuto nei paesi occidentali tra cui il nostro.

In un sistema sanitario pubblico-privato, come quello cinese, in cui le conseguenze dell’epidemia della Sars nel 2003 hanno fatto fare alla dirigenza una notevole “marcia indietro” rispetto al processo di privatizzazione intrapreso precedentemente – considerate le inadeguatezze riscontrate – il PCC ha assicurato che “Le cure mediche per i pazienti con COVID 19 sarebbero state garantite per tutti e gratuite”.

Allo stesso tempo si è fatto tesoro delle esperienze pregresse sul campo maturate anche grazie al contributo che la Cina ha fornito contro l’Ebola in Africa che è stato primo salto di qualità nell’articolazione della “via della seta della salute”.

La ricercatrice Chen Wei, è il simbolo di questo impegno su “due fronti” ed ora è in prima fila per la sperimentazione di un vaccino.

Il ruolo del PCC e delle organizzazioni di base ed in particolare dei militanti comunisti – che hanno pagato un caro prezzo in termini di perdite di vite umane – è stato fondamentale. Alla pianificazione “centralizzata” dell’intervento dello Stato si sono unite le capacità dei corpi sociali intermedi – tra cui i “comitati di quartiere”, juweihui in cinese – tali per cui “Il decentramento ha prodotto risposte creative”.

Solo gli improvvisati pennivendoli nostrani, potevano ignorare come la “mobilitazione popolare” sia uno dei tratti distintivi della società cinese contemporanea, dandoci una immagine che reitera gli stereotipi eurocentrici del “dispotismo asiatico” e amenità del genere.

Misure di contenimento “localizzate”, forniture adeguate per il personale sanitario e di medicine per i pazienti, l’assicurazione di cibo e carburante per gli abitanti nella zona del lockdown ed informazioni corrette e scientificamente comprovate sono stati i cardini d’intervento, i 4 punti riportati nell’articolo.

La “localizzazione” della zona del contagio messa in quarantena ha permesso la mobilitazione “nazionale” di personale sanitario e squadre epidemiologiche, incaricate della cura e del monitoraggio della malattia, tenendo conto che già dalla prima metà di gennaio era pronti i kit per i test.

La velocità di produzione delle attrezzature mediche, specialmente dei dispositivi di protezione per gli operatori sanitari, è stata mozzafiato”, riportano gli autori, citando la crescita esponenziale della loro disponibilità dopo un primo momento in cui scarseggiavano.

Il ruolo delle imprese statali e delle cooperative è stato fondamentale, così come il monitoraggio del governo rispetto alla speculazione sui prezzi, ma anche il settore privato dell’economia ha dato la sua mano.

Al “sostegno finanziario alle piccole e medie imprese; in cambio, le aziende hanno cambiato le loro abitudini per garantire un ambiente di lavoro sicuro”.

Insomma tutto il contrario di ciò che avvenuto qui dove i prenditori chiagne e fotti, hanno generalmente pianto miseria, fatto pressioni per un ritorno alla “normalità” produttiva senza essere in grado di predisporre provvedimenti adeguati in termini di salute.

Un disastro annunciato, altro che ripresa!

Se confrontiamo la qualità della risposta della Cina a quella presa dalla maggior parte dei Paesi Occidentali il paragone appare impietoso, soprattutto se prendiamo in considerazione la disastrosa gestione in Lombardia che come abbiamo più volte ribadito deve essere da subito commissariata .

Quello che abbiamo di fronte è un vero e proprio “scontro di civiltà”, ma non nel senso descritto da chi ha coniato questo concetto, sarà per questo che la produzione seriale di “false informazioni” ed il bashing mediatico contro la Cina occupa gran parte dello sforzo dis-informativo dei media mainstream.

Buona Lettura

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La Cina è stata in grado di utilizzare le sue notevoli risorse – la sua cultura e le sue istituzioni socialiste – per spezzare rapidamente la catena

Il 31 marzo 2020, un gruppo di scienziati provenienti da tutto il mondo, dall’Università di Oxford alla Normal University di Pechino, ha pubblicato un importante studio su “Science”. Questo documento – “Indagine sulle misure di controllo della trasmissione durante i primi 50 giorni dell’epidemia COVID-19 in Cina” – sostiene che se il governo cinese non avesse imposto il blocco totale di Wuhan e non avesse dichiarato l’emergenza nazionale, ci sarebbero stati 744.000 casi confermati di COVID-19 in più, al di fuori di Wuhan. “Le misure di controllo adottate in Cina“, sostengono gli autori, “sono una lezione per gli altri paesi del mondo“.

Nel report di febbraio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dopo una visita in Cina, i membri della delegazione hanno scritto: “Di fronte a un virus finora sconosciuto, la Cina si è lanciata nello sforzo di contenimento della malattia forse più ambizioso, agile e aggressivo della storia“.

In questo articolo vogliamo descrivere nel dettaglio le misure adottate ai diversi livelli del governo cinese e dalle organizzazioni sociali, per arginare la diffusione del virus e della malattia in un momento in cui gli scienziati avevano appena iniziato a raccogliere dati, e di come hanno lavorato senza un vaccino e neppure un trattamento farmacologico adatto contro il COVID 19.

L’emergenza di un piano

Nei primi giorni di gennaio 2020, la Commissione per la salute pubblica (NHC) e il Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) hanno iniziato a stabilire dei protocolli per gestire la diagnosi, il trattamento e i test di laboratorio per quella che allora era considerata una “polmonite virale di origine sconosciuta”.

Il NHC e i dipartimenti sanitari della provincia dell’ Hubei hanno prodotto un manuale per il trattamento che è stato inviato a tutti i presidi sanitari della città di Wuhan il 4 gennaio; lo stesso giorno in tutta la città è stato condotto l’addestramento relativo al trattamento. Per il 7 gennaio il CDC aveva isolato il primo nuovo ceppo di coronavirus, e tre giorni dopo, il Wuhan Institute of Virology (Accademia cinese delle scienze) e altri iniziarono a sviluppare i kit per i test.

Entro la seconda settimana di gennaio si sapeva di più sulla natura del virus, e così iniziò a prendere forma un piano per contenerlo. Il 13 gennaio, il NHC incaricò le autorità della città di Wuhan di iniziare la misurazione della febbre nei porti e nelle stazioni e di ridurre gli assembramenti.

Il giorno successivo, il NHC ha organizzato una teleconferenza nazionale in cui ha avvisato tutta la Cina del virulento ceppo di coronavirus e ha esortato tutti a prepararsi per un’emergenza sanitaria.

Il 17 gennaio, l’NHC ha inviato sette squadre di ispezione nelle province cinesi per addestrare i funzionari della sanità pubblica sul virus e il 19 gennaio l’NHC ha distribuito reagenti agli acidi nucleici per i kit dei test a numerosi dipartimenti sanitari cinesi. Zhong Nanshan, ex presidente della Associazione medica cinese, ha guidato un gruppo di alto livello nella città di Wuhan per effettuare delle ispezioni fra il 18 e il 19 gennaio.

Nei giorni successivi, il NHC ha iniziato a capire come il virus veniva trasmesso e come poteva essere fermato. Tra il 15 gennaio e il 3 marzo, il NHC ha pubblicato sette edizioni delle sue linee guida. Analizzando queste versioni è palese un preciso sviluppo delle conoscenze prodotte sul virus e dei suoi piani di contenimento; i quali includevano nuovi metodi di trattamento, incluso l’uso della ribavirina e una combinazione di medicina cinese e medicina allopatica.

L’Amministrazione nazionale per la medicina tradizionale cinese riferirà alla fine che il 90 percento dei pazienti ha ricevuto una cura tratta dalla medicina tradizionale, che si è rivelata efficace nel 90 percento dei casi.

Il 22 gennaio, era diventato chiaro che il trasporto in entrata e in uscita da Wuhan doveva essere limitato. Quel giorno, l’Ufficio Informazioni del Consiglio di Stato ha invitato le persone a non andare a Wuhan, e il giorno successivo la città è stata sostanzialmente chiusa. La triste realtà del virus era ormai diventata chiara a tutti.

Gli atti del governo

Il 25 gennaio, il Partito Comunista Cinese (PCC) ha formato una task force del Comitato Centrale per la prevenzione e il controllo del COVID 19 nominando due responsabili: Li Keqiang e Wang Huning. Il presidente cinese Xi Jinping ha incaricato il gruppo di utilizzare le informazioni scientifiche più avanzate per formulare le politiche per contenere il virus e di utilizzare ogni risorsa con l’obbiettivo di mettere la salute delle persone prima degli interessi economici.

Entro il 27 gennaio, il vicepresidente del Consiglio di Stato Sun Chunlan aveva costituito una task force nella città di Wuhan per dare forma alla nuova risposta per il controllo del virus. Nel passare dei giorni, il governo e il Partito comunista hanno sviluppato un piano per combattere il virus, che può essere sintetizzato in quattro punti:

1. Prevenire la diffusione del virus mantenendo non solo un blocco nella provincia, ma riducendo al minimo il traffico anche all’interno della stessa. Ciò è stato reso complicato dai festeggiamenti del Capodanno cinese che era già iniziato; le famiglie si sarebbero incontrate e fatte visita e avrebbero frequentato i mercati (questo è il più grande spostamento umano a breve termine, quando quasi tutti gli 1,4 miliardi di cinesi si ritrovano nelle case gli uni con gli altri). Tutto questo doveva essere evitato. Le autorità locali avevano già iniziato a utilizzare le scoperte epidemiologiche più avanzate per tracciare e studiare la fonte delle infezioni e tracciare le vie di trasmissione. Tutto questo è stato essenziale per arrestare la diffusione del virus.

2. Distribuire risorse per gli operatori sanitari, inclusi i dispositivi di protezione per i lavoratori, i letti ospedalieri per pazienti e le attrezzature, nonché medicinali per il trattamento dei pazienti. Ciò includeva la costruzione di centri temporanei per il trattamento, compresi due ospedali completi (Huoshenshan Hospital e Leishenshan Hospital). L’aumento degli screening ha richiesto più kit per i test, che dovevano essere sviluppati e prodotti.

3. Garantire che durante il blocco della provincia, cibo e carburante fossero disponibili per i residenti.

4. Garantire la diffusione al pubblico di informazioni basate su fatti scientifici e non su voci non confermate. A tal fine, il gruppo ha indagato su tutte le azioni irresponsabili intraprese dalle autorità locali analizzando i report dei primi casi fino alla fine di gennaio.

Questi quattro punti hanno definito l’approccio adottato dal governo cinese e dalle autorità locali tra febbraio e marzo. È stato istituito un meccanismo congiunto di prevenzione e controllo sotto la guida del NHC, con ampia autorità per coordinare gli sforzi per spezzare la catena dell’infezione. La città di Wuhan e la provincia di Hubei sono rimaste sotto blocco virtuale per 76 giorni fino all’inizio di aprile.

Il 23 febbraio, il presidente Xi Jinping ha parlato con 170.000 quadri del Partito comunista, della regione e funzionari militari di ogni parte della Cina; “Questa è una crisi e anche un test importante“, ha detto Xi. Tutto l’impegno della Cina è nella lotta contro l’epidemia mettendo le persone al primo posto, e allo stesso tempo la Cina assicura che la sua agenda economica a lungo termine non venga danneggiata.

Comitati di quartiere

Un ruolo chiave, ma sottostimato, nella risposta al virus è stato rappresentato dall’azione pubblica che definisce la società cinese. Negli anni ’50, le organizzazioni civili urbane – o juweihui – si svilupparono come modo per i residenti nei quartieri di organizzare la loro reciproca sicurezza e il mutuo aiuto.

Wuhan, mentre andava instaurandosi il blocco totale, i membri dei comitati di quartiere andavano porta a porta per provare la febbre, fornire cibo (in particolare agli anziani) e distribuire dispositivi medici.

In altre parti della Cina, i comitati di quartiere hanno istituito dei blocchi per misurare la temperatura all’ingresso dei quartieri per monitorare le persone che entravano e uscivano; questa è la tutela della salute pubblica di base in modo decentralizzato. A partire dal 9 marzo, 53 persone che avevano lavorato in questi comitati hanno perso la vita, 49 di loro erano membri del Partito Comunista.

90 milioni di membri del Partito Comunista e i 4,6 milioni di organizzazioni di base del partito hanno contribuito a dare forma all’azione pubblica in tutto il paese, in prima linea nelle 650.000 comunità urbane e rurali della Cina.

Gli operatori sanitari che erano membri del partito si sono recati a Wuhan per far parte della risposta medica in prima linea. Altri membri del partito hanno lavorato nei loro comitati di quartiere o hanno sviluppato nuove piattaforme per rispondere al virus.

Il decentramento ha prodotto risposte creative. Nel villaggio di Tianxinqiao, nella città di Tiaoma, nel distretto di Yuhua, a Changsha, nella provincia di Hunan, Yang Zhiqiang, uno strillone del villaggio, ha usato 26 altoparlanti per esortare gli abitanti del villaggio a non spostarsi per il Capodanno e a non cenare insieme. A Nanning, nella regione autonoma del Guangxi Zhuang, la polizia ha usato i droni per trasmettere il suono delle trombe come promemoria per non violare l’ordine del lockdown.

A Chengdu, nella provincia del Sichuan, 440.000 cittadini hanno formato squadre per una serie di azioni pubbliche atte ad arginare la trasmissione del virus: hanno pubblicizzato le norme sanitarie, hanno controllato le temperature, hanno consegnato cibo e medicine e hanno trovato il modo di intrattenere il pubblico, che altrimenti sarebbe rimasto traumatizzato. I quadri del Partito Comunista hanno aperto la strada, riunendo aziende, gruppi sociali e volontari in una struttura di autogestione locale.

A Pechino, i residenti hanno sviluppato un’app che invia avvisi agli utenti registrati sul virus e crea un database che può essere utilizzato per tenere traccia del movimento del virus in città.

Intervento medico

Li Lanjuan fu una delle prime dottoresse ad entrare a Wuhan; ricorda che quando è arrivata lì, i test “erano difficili da ottenere” e la situazione delle forniture era “piuttosto negativa“. “Nel giro di pochi giorni, in città sono arrivati oltre 40.000 operatori sanitari ​​ e i pazienti con sintomi lievi sono stati curati in centri di trattamento temporaneo, mentre negli ospedali sono stati portati i malati più gravi.

Dispositivi di protezione individuale, test, ventilatori e altre forniture sono stati subito inviati nella città e negli ospedali. “Il tasso di mortalità è stato notevolmente ridotto“, ha detto la dottoressa Li Lanjuan. “In soli due mesi, l’epidemia a Wuhan era sostanzialmente sotto controllo.”

Da ogni parte della Cina arrivarono 1.800 squadre epidemiologiche – con cinque persone in ciascuna squadra – per fare sondaggi alla popolazione. Wang Bo, capo di una delle squadre della provincia di Jilin, ha affermato che la sua squadra ha condotto delle indagini epidemiologiche porta a porta che sono state “faticose e pericolose”.

Yao Laishun, membro di una delle squadre di Jilin, ha affermato che nel giro di poche settimane la sua squadra ha effettuato dei sondaggi sull’infezione su 374 persone e rintracciato e monitorato 1.383 contatti stretti delle persone intervistate; questo è stato un lavoro essenziale per localizzare chi si era infettato e aveva bisogno di essere curato e chi, invece, doveva essere isolato perché non aveva ancora presentato sintomi o era risultato negativo.

Fino al 9 febbraio, le autorità sanitarie hanno controllato 4,2 milioni di famiglie (10,59 milioni di persone) a Wuhan; ciò significa che hanno ispezionato il 99 percento della popolazione, un lavoro enorme.

La velocità di produzione delle attrezzature mediche, specialmente dei dispositivi di protezione per gli operatori sanitari, è stata mozzafiato. Il 28 gennaio, la Cina produceva meno di 10.000 set di dispositivi di protezione individuale (DPI) al giorno ma, entro il 24 febbraio, la sua capacità produttiva superava i 200.000 al giorno.

Il 1 ° febbraio, il governo ha prodotto 773.000 kit per il test al giorno; entro il 25 febbraio produceva 1,7 milioni di kit al giorno; a partire dal 31 marzo si producevano al giorno 4,26 milioni di kit per i test. Sotto la direzione delle autorità gli impianti industriali sono stati convertiti per produrre dispositivi di protezione, ambulanze, ventilatori, monitor per gli elettrocardiografi, respiratori, macchine per analizzare i gas del sangue, macchinari per la disinfezione dell’aria e macchine per l’emodialisi. Il governo si è concentrato sull’evitare che ci fossero mancanze di dispositivi medici.

Chen Wei, uno dei principali virologi cinesi che lavorò sull’epidemia di SARS del 2003 ed andò in Sierra Leone nel 2015 per sviluppare il primo vaccino contro l’Ebola al mondo, si è precipitato a Wuhan con la sua squadra. Insieme hanno istituito un laboratorio mobile per fare i test già dal 30 gennaio; il 16 marzo, la sua squadra ha prodotto il primo nuovo vaccino contro il coronavirus ed è stato sottoposto a studi clinici, Chen stesso è stato uno dei primi a essere vaccinato come parte dello studio.

Miglioramento

Chiudere una provincia con 60 milioni di abitanti per più di due mesi e chiudere praticamente un paese di 1,4 miliardi di abitanti non è facile. Comunque, l’impatto sociale ed economico sarebbe sempre stato enorme.

Ma il governo cinese – fin dalle sue prime decisioni- ha ribadito che il contraccolpo economico subito dal Paese non avrebbe limitato la risposta contro il virus; il benessere del popolo sarebbe stato prevalente nella formulazione di qualsiasi strategia politica.

Il 22 gennaio, prima della costituzione della task force, il governo aveva emesso una circolare in cui si statuiva che le cure mediche per i pazienti con COVID 19 sarebbero state garantite per tutti e gratuite.

È stata quindi decisa una politica per il rimborso dell’assicurazione medica: le spese per i medicinali e i servizi medici necessari per il trattamento del COVID 19 sarebbero completamente coperte da un fondo assicurativo, nessun paziente avrebbe dovuto pagare nulla.

Durante il blocco, il governo ha creato un meccanismo per garantire costanti rifornimenti di cibo e carburante a prezzi normali. Le imprese statali come la China Oil and la Foodstuffs Corporation, la China Grain Reserves Group e la China National Salt Industry Group hanno aumentato le loro forniture di riso, farina, olio, carne e sale. La Federazione Cinese delle Cooperative di Approvvigionamento e di Marketing ha aiutato le imprese ad avere un canale diretto con le cooperative di agricoltori; altre organizzazioni, come la Camera di Commercio dell’Industria Agricola Cinese, si sono impegnate a mantenere i rifornimenti e la stabilità dei prezzi.

Il Ministero della Sicurezza Pubblica si è riunito il 3 febbraio per reprimere tentativi di speculazione sui prezzi e l’incetta di rifornimenti; fino all’8 aprile, in Cina gli organi giudiziari hanno indagato su 3.158 casi di reati connessi all’epidemia.

Lo Stato ha offerto sostegno finanziario alle piccole e medie imprese; in cambio, le aziende hanno cambiato le loro abitudini per garantire un ambiente di lavoro sicuro (la Guangzhou Lingnan Cable Company, ad esempio, ha provveduto a creare pause pranzo scaglionate, controllava la temperatura dei lavoratori, si è impegnata a disinfettare periodicamente l’area di lavoro, si è assicurata che i ventilatori funzionassero e ha fornito al personale dispositivi di protezione individuale quali: maschere, occhiali, crema per le mani e disinfettanti a base di alcol).

Lockdown

Uno studio su “The Lancet” di quattro epidemiologi di Hong Kong mostra che il blocco di Wuhan a fine gennaio ha impedito la diffusione dell’infezione fuori dalla provincia di Hubei; “le principali città, Pechino, Shanghai, Shenzhen e Wenzhou” scrivono, ”hanno visto un crollo del numero di infezioni entro due settimane dal blocco parziale”.

Tuttavia, secondo gli studiosi, a causa della virulenza di COVID 19 e dell’assenza di immunità da gregge, il virus potrebbe avere una seconda ondata. Questo preoccupa il governo cinese, che rimane vigile contro il coronavirus.

Nondimeno, luci di festa sono brillate in tutta Wuhan quando il blocco è stato tolto. Il personale medico e i volontari hanno tirato un sospiro di sollievo. La Cina è stata in grado di utilizzare le sue notevoli risorse – la sua cultura e le sue istituzioni socialiste – per spezzare rapidamente la catena.

https://mronline.org/2020/04/19/how-china-broke-the-chain-of-infection/