Lo Xinjiang, gli Uiguri e la storica polemica sui Diritti Umani

Xinjiangdi Maria Morigi
da opinione-pubblica.com

La visita del Presidente cinese Xi Jinping in Europa ha sollevato nuove polemiche sui diritti umani in Cina e nello Xinjiang in particolare. Ma, a guardar bene, quanto c’è di realistico nelle loro argomentazioni?

Per la recente visita in Europa del Presidente Xi Jingping (come se non fossero bastate le parole di Tajani, il disappunto dell’Europa sugli svantaggi dell’apertura verso le “opportunità cinesi” e le dichiarazioni di coloro che sono diffidenti per “vocazione genetica”…), ecco che puntuali si son fatti sentire anche i “mistici” difensori dei Diritti Umani e Civili assoluti, quei diritti che a loro dire sarebbero negati dal “regime” cinese.

European grassroots antiracist movement e altre associazioni (tra cui si distinguono l’ormai storica e nota Associazione Free Tibet, la setta religiosa del Falun Gong e una svariata serie di realtà fin troppo tolleranti verso i gruppi terroristi che hanno insanguinato le terre degli Uiguri) hanno lanciato un appello alla comunità internazionale, con la partecipazione sentita dei Radicali italiani.

Repubblica del 22 marzo 2019 nell’articolo intitolato “Libertà per gli uiguri in Cina: l’appello internazionale nel giorno di Xi a Roma”” ci informa che: “Oltre undici milioni di persone di lingua turca e prevalentemente di religione islamica vivono nella regione dello Xinjiang, nella Cina nord-occidentale. I loro rapporti con il governo centrale cinese, che nega loro l’autonomia richiesta [richiesta da chi? N.d.r], sono da tempo caratterizzati da tensioni e discriminazioni. Secondo le Nazioni Unite, oltre un milione di uiguri e di persone appartenenti ad altre minoranze turcofone sono detenute arbitrariamente nei centri dello Xinjiang… Le “persecuzioni” nei confronti degli uiguri sono “senza precedenti in conseguenza del rafforzamento del regime di Xi Jinping, che sta dispiegando il suo progetto totalitario a livello nazionale e internazionale, usando la crescente brutalità contro gli individui e le comunità che si oppongono al suo potere, come i tibetani o membri del Falun Gong”.

Con grande soddisfazione poi vediamo che il Foglio.it del 14 Luglio 2019 pubblica l’articolo “L’Italia condanna la Cina sui diritti umani, guai in vista sulla Via della Seta. Guerra di propaganda al Consiglio per i Diritti umani dell’Onu appena concluso. Una lettera dell’occidente compatto (senza l’America) contro le detenzioni di massa nello Xinjiang”. Nessun rilievo viene dato, però, al fatto che non solo c’è una risposta di Pechino, ma anche una lettera di replica (non inserita ufficialmente tra gli atti della riunione plenaria, perché non tutti i paesi sono membri del Consiglio per i diritti umani) firmata dagli ambasciatori di 37 paesi dall’Asia (tra cui Russia, Corea del Nord e i paesi confinanti con la Cina) che, attenti alla loro sicurezza e alle misure antiterrorismo, lodano le attività cinesi nello Xinjiang e il “contributo della Cina alla causa internazionale dei diritti umani”.

Da tutta questa storia emerge un solo dato significativo: la totale ignoranza dei fatti e della legislazione cinese. Perché lo Xinjiang-Uyghur gode di status di Regione Autonoma dal 1° ottobre 1955 dopo essere stato parte integrante della Cina fin dal 1884 come Provincia Amministrativa, inoltre le prerogative concesse alle regioni autonome sono contenute nella Carta Costituzionale (approvata dal Congresso Nazionale del Popolo il 4 dicembre 1982 e ufficialmente aggiornata da revisioni) esattamente al Capitolo 3, sezione “Organi dell’autogoverno nelle regioni autonome nazionali”.

Stiamo parlando di una regione dove particolarmente accesi furono gli interessi sovietici (vedansi le due Repubbliche del Turkestan Orientale 1933-34 e 1944-49). Insanguinato da terrorismo e attentati, pretese indipendentiste e ideologie pan-turche o pan-islamiche, lo Xinjiang è ancora sorvegliato da forze di polizia e controlli che riescono a garantire vita normale ai comuni cittadini, servizi, attività economiche e turismo in forte espansione. Va poi aggiunto che nel solo Xinjiang è riconosciuta (e ben tutelata) la presenza di ben 47 gruppi etnici, di cui 13 sono quelli principali per numeri demografici. Inoltre sono praticate politiche di “discriminazione positiva” nell’istruzione (per le minoranze etniche: borse di studio e accesso all’università con voti di ammissione più bassi) e l’Islam è in piena fioritura con ingrandimenti di moschee e attività culturali, sostenuto dall’Associazione Islamica di Cina (AIC).

E poi non dovremmo nemmeno dimenticare che molte delle varie organizzazioni pan-islamiche o pan-turche operative in Xinjiang e colluse con Al Qaeda e Isis (Eastern Turkestan Islamic Movement, Eastern Turkestan Liberation Organization, United Revolutionary Front of East Turkestan, Uyghur Liberation Organization,Turkestan Islamic Party) non hanno avuto difficoltà a farsi riconoscere come colpevoli dei più gravi attentati dagli Anni ’90 in poi. Il Partito Islamico del Turkestan, solo per fare un esempio, è stato infatti designato “organizzazione terroristica” da Unione Europea, Kirghizistan, Kazakistan, Pakistan, Russia, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito, USA e messo fuori legge dalla Repubblica Popolare Cinese.

Maria Morigi