Belt and Road e Zhuangzi

beltandroadforumdi Alessandra Cappelletti

da cscc.it

Il Belt and Road Forum che si è svolto a Pechino il 15 maggio scorso (alla presenza, assieme ad altri 27 capi di Stato, del premier italiano Gentiloni e del presidente russo Putin) è stato un’occasione per comunicare al mondo l’importanza che la Cina attribuisce al “progetto del secolo” – come è stato definito dal presidente cinese Xi Jinping -, all’iniziativa che dovrebbe rendere il Paese “ricco e potente”, e far sì che, nell’intero mondo, “quattro miliardi e mezzo di persone beneficino di questa nuova ricchezza”.

Integrata con i progetti “Made in China 2025”, “Made in China 2035” e “Made in China 2045”, con la BRI la Repubblica Popolare intende porsi nuovamente al centro del Pianeta, grazie a quel concetto di “connettività” che prevede snodi logistici, hub globali, corridoi economici e nuove infrastrutture portuali.

Il governo di Pechino sta dunque ottenendo dal mondo ciò che voleva, visibilità e attenzione per le sue proposte. Si sta infatti scrivendo molto di Belt and Road Initiative (BRI), iniziativa di politica estera di Pechino a volte  ancora chiamata con la vecchia denominazione One Belt One Road (OBOR), nonché con l’espressione Nuova Via della Seta. La proposta cinese fa intravedere delle opportunità, delle vie d’uscita dalle tante situazioni di crisi, occasioni d’oro per aziende, consulenze, ambienti business. Non è un caso che il noto politologo Joseph Nye, in un recente commento apparso su Project Syndicate, abbia parlato di “Marco Polo Strategy”, notando il focus cinese sui territori dell’Asia Centrale, il cui controllo potrebbe facilitare l’ascesa della Cina a potenza globale. I percorsi marittimi sono anch’essi ritenuti importanti, ma, secondo le considerazioni di Nye, sarebbero più soggetti a rivalità e conflitti.

Per analizzare in profondità la Belt and Road Initiative bisogna allargare il campo di osservazione e dirigere lo sguardo verso il modus operandi che la Cina sta seguendo nel dipanarsi della BRI, caratterizzato da un approccio politico e alle relazioni tra paesi che sta facendo emergere linee di condotta che hanno l’ambizione di porsi come sfida a ciò che conosciamo, cambiando e aggiungendo qualcosa a ciò cui siamo abituati, nelle relazioni tra paesi, bilaterali, multilaterali e, più in generale, globali. Ciò che è certo è che, nel un momento in cui gli Stati Uniti di Donald Trump stanno perdendo credibilità, la Cina ha campo libero per le sue sperimentazioni, uno spazio di cui sta facendo ampiamente uso.

Il tema del “metodo” è stato analizzato dai pensatori di ogni civiltà, Cartesio e Feyerabend sono solo due tra i tanti occidentali che lo hanno affrontato esplicitamente, e il governo cinese ha pensato di recuperarne i significati dai testi risalenti alla Cina pre-imperiale, a prima del 221 a.C. Sia i testi confuciani che quelli taoisti, questi ultimi considerati letture off-limits in epoca maoista e fino a tutti gli anni Novanta, soprattutto per l’enfasi sul concetto di “individualismo” e per l’incoraggiamento ad adottare atteggiamenti creativi e anti-sistema, sono un importante asset culturale da cui studiosi e leadership cinesi possono attingere.

Un nuovo metodo: il concetto di “inutilità” 

L’espressione biblica Nihil sub sole novum ha una serie di corrispettivi modi dire in cinese, tra cui xin ping jiu ji, “vino vecchio in una botte nuova” e huan ting bu huan yao, “cambia il brodo ma non la medicina” (per indicare un cambiamento di facciata ma non di sostanza), mentre tui chen chu xin, “liberarsi di ciò che è obsoleto per far emergere il nuovo” si utilizza per dire il contrario, per evidenziare che si è di fronte a qualcosa di nuovo. Nel caso della BRI, stiamo parlando di un ombrello che copre progetti già iniziati e conosciuti, di un semplice cambiamento di nome ma non di sostanza, oppure di una novità nel panorama delle relazioni internazionali? Forse è ancora presto per poter rispondere, ma si possono già fare delle considerazioni sul perché il modus operandi che il governo cinese e i suoi funzionari stanno adottando venga presentato come nuovo. L’aggettivo “nuovo” compare spesso quando si parla di BRI: “nuova via della Seta”, “nuovo ordine globale”, “nuovo approccio alle relazioni internazionali”, “nuovi paesi emergenti”, “nuove connessioni logistiche e intermodali”, e associare la BRI al concetto di “novità” ha sicuramente una sua importanza a livello di immagine e di marketing. Il presunto elemento di novità dell’Iniziativa è parte integrante del discorso utilizzato dal governo cinese per promuoverla, è un leit motiv scelto per far immaginare orizzonti e potenzialità di un sistema, finora sconosciuti e dunque non ancora sfruttati. Investimenti, connessioni, sviluppo, crescita… un nuovo mondo ci si apre davanti, e il soft power cinese ce lo fa apparire come meraviglioso e pieno di potenzialità per tutti, per coloro che non hanno ancora conosciuto il benessere, ma anche per chi, come ad esempio l’Europa, ha un’economia che arranca.

economic corridor beltroad

Un nuovo metodo dunque, un approccio diverso alle relazioni internazionali, la BRI non come piano – progetto elaborato a tavolino in base alle necessità di Pechino, con destinatari e obiettivi predefiniti -, ma piuttosto come insieme di idee e concetti lanciati come sassolini in uno specchio d’acqua fermo, che producano una serie di cerchi concentrici, che rappresenterebbero gli effetti benefici di politiche costruite insieme, dai soggetti promotori nonché dai destinatari dell’iniziativa.

Nel “Zhuangzi”, testo che raccoglie gli insegnamenti dell’omonimo pensatore taoista del V secolo a.C., una certa importanza viene posta sul concetto di “inutilità”, ciò che è inutile viene definito molto più pregno di potenzialità di ciò che è “utile” (cap.4). Il porto di Gwadar, nel sud-ovest del Pakistan, vicino al confine iraniano e allo scalo di Chabahar, era un porticciolo abbandonato, prima di essere reinterpretato come uno snodo globale dagli investimenti cinesi nel China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), uno dei primi e dei più importanti progetti della BRI, mirato a dare accesso all’Oceano Indiano a Pechino evitando il passaggio delle merci cinesi per lo Stretto di Malacca, e nello stesso tempo a dotare il Pakistan di una rete energetica e infrastrutturale che dovrebbe renderlo un’economia sviluppata in pochi anni.

Il concetto di “vuoto” ricorre in molti aneddoti del Zhuangzi: “vuoto” come luogo – o non luogo – di potenzialità rispetto a ciò che è pieno, il “vuoto” come concetto spazio-temporale in attesa di essere riempito, qualcosa che è ricco in nuce, sempre e per definizione. Colmare ciò che è vuoto è una delle linee guida seguite dai policy maker cinesi nello sviluppo della BRI, aggirando gli spazi di influenza già occupati da altre potenze, cercando di elaborare entry strategies negoziando con i paesi in via di sviluppo, su cui ancora nessuno ha investito massicciamente. Valorizzare il vuoto ed aggirare il pieno, evitando scontri e conflitti.

Il Pakistan come la metamorfosi della farfalla

Il “non agire”, o meglio l’agire in armonia con ciò che ci circonda, altro principio taoista che viene sviluppato nel “Laozi”, testo precedente al Zhuangzi e dai contenuti più esoterici, lo possiamo intravedere nella comunicazione dell’iniziativa da parte cinese: non vengono lanciate idee definite, ma suggestioni e proposte, a volte slogan, vaghi e indicativi, indirizzati a interlocutori e partner che dovrebbero svilupparli e definirli a livello locale, in un costante adattamento delle politiche ai contesti micro.

Il concetto di metamorfosi lo ritroviamo nell’aneddoto, molto noto, di Zhuangzi che sogna di essere una farfalla, e quando si sveglia non sa se sia veramente Zhuangzi oppure se sia la farfalla a sognare di essere Zhuangzi. Il caso del Pakistan torna ad essere emblematico, così come quelli di paesi dell’Europa orientale, come l’Ungheria e la Grecia, dove la Cina promette trasformazioni radicali del contesto economico, con benefici importanti per l’occupazione e la crescita. Inoltre, è la Cina che sogna di essere il nuovo leader globale, oppure è il leader globale – ancora gli USA – a sognare di essere Cina?

Il concetto di gerarchia socio-politica che troviamo nel pensiero confuciano è invece riscontrabile nella volontà di porre la Cina al centro, con i paesi partner trattati sì alla pari, ma intorno al centro.

Il metodo seguito dai cinesi può essere così sintetizzato:

– lanciare idee che vanno sì a beneficio dei proponenti ma che risultino favorevoli anche per i partner e i soggetti beneficiari

– parlando dell’iniziativa senza avere un’idea chiara di come formularla e renderla operativa, la Cina acquisisce informazioni e suggerimenti importanti dai paesi partner con cui si confronta, arricchendo gradualmente l’idea, ancora generica, originaria

– in questo modo da un’idea generica scaturiscono veri e propri progetti, da definire gradualmente in base ai diversi contesti in modo da renderli fattibili

Questa diffusione e raccolta di informazioni genera un circolo virtuoso che porta la Cina a formulare, insieme ai partner, progetti potenzialmente favorevoli per tutte le parte coinvolte, proprio per il fatto di essere state pensati insieme. Non ci sono dunque direttive e linee guida, ma un concetto vago e pertanto flessibile, adattabile ad ogni circostanza, da utilizzare nel modo più pragmatico possibile per stringere partnership economiche e accordi, unendo le progettualità cinesi con quelle degli altri paesi e cercando i relativi punti di incontro. Se questo sia nuovo oppure già visto, sarà la storia a valutarlo.