Le due destre

european union flag 14811131553ztdi Lamberto Lombardi, Segretario PCI Brescia

Riceviamo e pubblichiamo come contributo alla discussione

Sullo sfondo delle prossime elezioni europee si acuisce, tra le numerose convulsioni economiche e politiche, uno scontro, quasi una resa dei conti, tra due schieramenti nel campo dei traballanti vincitori che si contendono la scena da trenta anni.

Tra un europeismo decaduto e corrotto nella sua identità che, dal trattato di Maastricht, per competere a livello globale altro non sceglie che affidare le proprie sorti al libero mercato, e un anti-europeismo che ne deriva e che, nel medesimo contesto socio economico, preferirebbe giocare le proprie carte senza vincoli di vicinato, vincoli spesso odiosi e gretti, magari assecondando il disegno imperialistico di oltreoceano che non vede di buon occhio l’Europa stessa e che affida alla Nato il ruolo di stabilire direttive e assetti.

I primi propongono la cura da cavallo del risanamento continentale, costi quel che costi. Ne sia illuminante esempio la sorte della Germania Est ridotta a regione dormitorio per delle attività produttive tutte spostate ad ovest dopo un fulmineo e fruttuoso processo di rapina.

Non è un mistero che si veda di buon occhio, tra costoro, il medesimo destino per buona parte dell’Italia, dell’Europa meridionale ed orientale, aree dove la disoccupazione e sottoccupazione endemiche, pazientemente costruite con la sottrazione di garanzie e diritti, garantirebbero il buon funzionamento dei processi produttivi e uno smagliante ordine in cui a comandare sono i più forti, sia che si parli di classi padronali o di nazioni come la Germania.

E’ questo lo sciagurato contesto in cui i secondi agitano la bandiera delle sovranità nazionali, transitoriamente in osservanza delle costituzioni adottate nel dopo guerra ma, di fatto, veicolando culture identitarie fasciste tanto care e utili a quella stessa Nato che non vede l’ora, come loro, di affossarle quelle costituzioni. Culture che sarebbero in grado di far saltare il banco di un’Europa unita tramutando però qualsiasi rivendicazione sociale in un’affermazione identitaria contro gli stranieri, non importa se immigrati o confinanti. Si lotta per lo spazio vitale, anche fosse costituito dai mercati della Russia o della Corea del Nord. Prova ne sia che qualsiasi passo avanti di una ‘sovranità’ di tale fatta suscita preoccupazioni e risentimenti nello stesso campo politico revanscista dei paesi limitrofi. Passaggi già visti, parole già sentite.

Il vero scontro sull’Europa è proprio tra queste due destre incontrastate, tra due borghesie, le une europeiste e le altre nazionaliste col solito unico denominatore comune: il mercato e la schiavitù.

Difficile riconoscere venature di ‘sinistra’ in chi, dopo i massacri sociali, dopo aver legalizzato il sopruso sul posto di lavoro non può altro che additare come fascisti gli altri, magari avendo a lungo accarezzato e praticato la pacificazione col fascismo stesso. Oppure in questi altri che difendono i lavoratori italiani contro i ”negri” senza mai citare l’esistenza delle classi sociali e che aderiscono alla direttiva globale di costruire muri.

Difficile, in definitiva, riconoscere un ruolo progressivo ad un europeismo o a un antieuropeismo che vedono nell’Europa o nell’Italia solo mere identità geografico-produttive che ambiscono a porsi sulla ribalta dei mercati e che per farlo devono delegittimare le costituzioni, unica vera base politica comune, proponendo una coesione che troviamo solo nelle caserme.

Si assiste così allo spettacolo costituito dalle due destre che si accusano a vicenda di essere più a destra dell’altra, ultimo residuo di una lontana egemonia di sinistra.

Messa così la scelta ha un sapore antico: quale sarà il padrone più buono o, sul versante opposto della scala sociale, quale l’imperialismo più redditizio?

Col trattato di Maastricht è finito un periodo di pace lungo quasi cinquant’anni e costruito sulle acquisizioni politiche e sociali del dopoguerra e ne inizia uno nuovo che assume come base la cancellazione di quelle stesse premesse. Il primo atto formale ne è stato la guerra in Jugoslavia, approfittando di una crisi strutturale di quel Paese per fomentarne il massacro. Massacro che, per inciso, si è perpetrato in una Europa allora governata da socialdemocrazie.

Da lì nascono questi anni di declino carichi di incognite, di tensione e di una povertà che ancora si riesce a nascondere sotto il tappeto, prossimi ad una resa dei conti interna al mondo del capitalismo la cui solida egemonia si sostanzia nell’accettazione che il campo complessivo della sinistra ha espresso rispetto a queste stesse premesse.

E’questa sinistra, variegatamente e contradditoriamente espressa, l’unica variabile che tenta di rappresentare lo schieramento ampio di una protesta sociale ma che, avendo accettato supinamente il contesto, si qualifica come variabile subordinata e, in definitiva, legittimante l’ordine costituitosi.

E come con certi rompicapi in legno costituiti da cento pezzi, essa cerca di ricostruirli facendo finta di non saper che un pezzo manca perchè gliel’hanno tolto. Il rompicapo, naturalmente, non si risolve mai e si passa il tempo in autocritiche feroci, nuovi tentativi, cambi di nome, formule aggregative fantasiose, nuovi strumenti di comunicazione. Anni fantastici.

Per decretare la fine dell’epoca di Maastricht si potrebbe fare un convegno europeo: ‘Quale è il pezzo mancante?’. Ma sarebbe inutile, la risposta la conoscono tutti e, evidentemente, non è abbastanza divertente.

Lamberto Lombardi
Segretario PCI Brescia