Il caso del calciatore Özil mescola lo sport con la geopolitica

ozil germaniadi Fabio Massimo Parenti*

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Articolo pubblicato sul Global Times il 26 luglio 2018

Di origine turca, nato e cresciuto in Germania, Mesut Özil ha giocato in molte squadre importanti, come il Real Madrid e l’Arsenal. Ha fatto parte della squadra nazionale tedesca dal 2009. È un calciatore che ha trovato fama nazionale e internazionale, come durante la Coppa del Mondo nel 2014. Ora ha deciso di ritirarsi dal calcio internazionale. Altri possono speculare sul suo ruolo e valore come calciatore internazionale, mentre a me interessano gli aspetti politici sottostanti la diatriba sul caso di Özil, che ha sollevato interrogativi sull’interazione tra interessi calcistici, identità nazionali-culturali, razzismo, politiche migratorie e geopolitica.

La storia è iniziata a maggio, quando Özil è apparso in una foto scattata con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Le controversie politiche del presidente turco – accusato negli ultimi anni di violazioni dei diritti umani e di promuovere una svolta autoritaria nel paese – hanno innescato critiche dure verso il calciatore. Gli attacchi contro di lui sono aumentati dopo che la Germania è uscita dalla Coppa del Mondo. Özil ha risposto accusando le autorità calcistiche ufficiali e alcuni fan in Germania di razzismo: “Sono tedesco quando vinciamo, ma un immigrato quando perdiamo”.

Ci sono due punti di vista. I sostenitori di Özil dicono che i suoi sentimenti per il paese di origine dovrebbero essere rispettati e che gli attacchi contro di lui sono stati ingiusti. Altri dicono che ha screditato la Germania sostenendo il governo turco.

Cosa implica questa sequenza di eventi? Penso che la radice degli eventi risalga all’identità umana, alla sua fragilità e dinamismo e al ruolo politico delle celebrità – non importa che provengano dal calcio, dal cinema o da altri campi.

Nel primo caso, l’antropologia ci ricorda che ogni essere umano ha bisogno di creare un’identità, per riconoscersi nel pubblico dominio. Inoltre, il processo di formazione di tale identità è evolutivo e multiplo (come ben spiegato nelle opere di Clifford Geertz e Edgar Morin). Nel mio lavoro sugli spazi della globalizzazione (2004), ho usato il pensiero di Geertz per analizzare le contraddizioni della globalizzazione tra omogeneizzazione ed effetti opposti. L’esistenza di identità e diversità culturali è un fatto che non possiamo ignorare, sia a livello individuale che sociale. Allo stesso tempo, non possiamo trascurare l’evoluzione di questo mosaico interrelato di diversità culturali, a causa di una maggiore interazione tra civiltà. Alla luce di ciò, la pratica politica dovrebbe iniziare – secondo l’analisi di Geertz – dalla forza dei fatti e da una migliore interpretazione di ciò che dà senso alle credenze dell’umanità.

Abbiamo bisogno di un potere politico, continua Geertz, che di fronte “all’autoaffermazione etnica, religiosa, razziale, linguistica o regionale non veda una mancanza di ragionevolezza arcaica o innata, da reprimere o superare”. Abbiamo bisogno di un potere politico che “non tratti questo tipo di espressioni collettive come una pazzia spregevole o un oscuro abisso, ma sappia come affrontarle, come fa con la disuguaglianza, l’abuso di potere e altri problemi sociali”.

Divergenza, varietà e disaccordo sono ciò che bisogna affrontare. I paesi del Terzo Mondo hanno lottato per liberare i loro popoli dal colonialismo, sottolineando la natura composita della cultura e rifiutando di emulare il nazionalismo europeo che quelle culture ha negato.

Pertanto, le parole e i sentimenti di Özil dovrebbero essere rispettati e non politicizzati dai nazionalisti tedeschi o turchi. Qui passiamo al secondo punto: il ruolo politico delle celebrità. È noto che quest’ultime sono spesso utilizzate e sfruttate a fini politici od economici. Lo considero un abuso, una forma di commercializzazione politica delle celebrità. Potrei fornire migliaia di esempi, ma è sufficiente menzionare il ruolo dei professionisti di Hollywood nell’orchestrare una strumentale interferenza negli affari interni della Cina in Tibet.

Essere democratici non significa sfruttare la notorietà delle stelle per scopi politici; non implica avviare inutili dibattiti sui punti di vista di una celebrità su questioni delicate. Dovremmo rispettare i sentimenti degli individui, essere in grado di discernere tra l’analisi di esperti e l’opinione di un cittadino, come Özil, senza ruolo politico, né esperienza politica.

Fare sforzi per avviare seri dibattiti è una buona pratica mediatica e politica. Le cosiddette società democratiche e multietniche spesso confondono la politica con le pratiche di mercato, le politiche e gli affari, come dimostra il caso di Özil.

* L’autore è professore associato di studi internazionali presso l’Istituto Lorenzo de’ Medici di Firenze, membro del think tank CCERRI di Zhengzhou, nonché membro dell’EURISPES, Laboratorio BRICS, Roma.