La diplomazia del vaccino: la Cina prepara dosi per tutti

coronavirusanche il corriere della sera deve riconoscere i meriti della Cina nella lotta alla Pandemia, in questo articolo, di cui riportiamo ampi stralci, oltre a sottolineare l’importante lavoro di ricerca svolto si spiega che Pechino aiuterà il resto del mondo, a partire dai paesi in via di sviluppo, nella lotta al Covid-19

di Guido Santevecchi

da corriere della sera 22 ottobre 2020

La chiamano già la «diplomazia del vaccino». La promessa cinese di distribuire un miliardo di dosi al resto del mondo. È la strategia cinese per combattere il virus. Pechino vuole aiutare i Paesi in via di sviluppo, in particolare i vicini Malesia, Thailandia, Cambogia e Laos; ha offerto dosi per l’intera Africa; ha stanziato un miliardo di dollari per l’America Latina. E c’è anche l’Europa.


Quello del vaccino è un campionato del mondo della ricerca sanitaria. E la Cina vuole vincerlo, con le sue risorse scientifiche e umane imponenti. Già da luglio Pechino ha cominciato a somministrare dosi di preparati sperimentali anti Covid-19 a centinaia di migliaia di soggetti sani, anzitutto personale ospedaliero, agenti di confine che lavorano in porti e aeroporti, dipendenti di grandi società statali e ultimamente abitanti volontari di alcune città, che si sono messi fiduciosamente in fila. Stanno facendo test su larga scala anche industrie farmaceutiche internazionali, ma l’operazione di Pechino appare più ampia e propagandata, con la motivazione dell’«impiego per emergenza» che fa bruciare le normali tappe.

I ricercatori cinesi stanno inoculando due prodotti che usano una forma inattiva del coronavirus per suscitare una reazione immunitaria e un altro che contiene un virus indebolito. Martedì il ministero della Scienza ha annunciato che «su 60 mila soggetti che hanno ricevuto il vaccino spevia rimentale non è stato rilevato alcun grave effetto collaterale». Non si sa ancora se oltre a non essere più o meno nocivi i tre vaccini cinesi «candidati» siano anche efficaci, ma già l’azienda farmaceutica Sinopharm si dice in grado di produrre un miliardo di dosi nel 2021. I numeri si accavallano: la Commissione sanitaria di Pechino promette 610 milioni di dosi pronte entro la fine di quest’anno, per il popolo cinese e anche per le richieste di altri Paesi. Il prezzo sarebbe «legato al costo di produzione e non a domanda e capacità di offerta».

Lo sforzo cinese fa discutere i politologi sulla «diplomazia del vaccino», dopo quella delle mascherine. Pechino ha promesso di aiutare i Paesi in di sviluppo, in particolare i vicini Malesia, Thailandia, Cambogia e Laos; ha offerto dosi per l’intera Africa; ha stanziato un miliardo di dollari a favore dell’America Latina per un fondo di approvvigionamento; ha appena stretto un accordo con lo Stato di San Paolo in Brasile per 46 milioni di dosi. La Cina è entrata anche nell’alleanza Covax dell’Oms, che Washington ha snobbato. Tutte mosse che tendono a mettere in risalto la generosità cinese a fronte del principio «America First» del presidente degli Stati Uniti.

Il ministero degli Esteri cinese risponde a chi sospetta che sia tutta un’operazione di propaganda sanitaria per accrescere l’influenza nel mondo che «si tratta solo di cooperazione internazionale da parte di una potenza che vuole comportarsi da attore responsabile sulla scena mondiale». Ha detto Xi Jinping che un vaccino sviluppato in Cina sarebbe considerato «bene comune dell’umanità» e non riservato al popolo cinese. È chiaro il messaggio politico: dopo lo choc e le accuse subite per lo scoppio dell’epidemia a Wuhan, il Partito-Stato vorrebbe presentarsi come salvatore del mondo.

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