Il quadro internazionale e le prospettive del movimento operaio e democratico

bandiera rossadi Fausto Sorini

Intervento al Forum «Cina e Ue. I nodi politici ed economici nell’orizzonte della “nuova via della seta” e di una “nuova mondializzazione”», Roma, 13 ottobre 2017

Ricorre tra pochi giorni il 100° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre.

Si possono trarre i bilanci più diversi sui risultati raggiunti, in questi 100 anni, dalle diverse esperienze di costruzione del socialismo.

Ma mi sembrerebbe assai bizzarro sposare la tesi della “fine del comunismo”, proprio in questi giorni, in cui non solo si celebra il 100° dell’Ottobre, ma anche il 19° congresso del Partito Comunista Cinese, che con una leadership dinamica, governa un Paese che ha già superato gli Stati Uniti in termini di PIL (a parità di potere d’acquisto) collocandosi al primo posto della classifica mondiale (un evento storico nella competizione tra capitalismo e socialismo, del tutto sconosciuto alla storia del ‘900);

-un Paese e un partito comunista che attribuiscono esplicitamente alla propria scelta di costruzione del socialismo – con sue proprie caratteristiche – il merito di tali successi (apprendendo dagli errori propri e delle altre esperienze socialiste);

-un partito che in questi giorni riconferma la prospettiva storica del socialismo e del comunismo.

A 100 anni dall’Ottobre la crescita della Cina socialista si conferma come l’evento più importante della nostra epoca: altro che “fine del comunismo” o “fine della storia”.

Tutto ciò non può essere indifferente per le prospettive del movimento operaio e democratico in Europa. A condizione che esso, e i suoi gruppi dirigenti, sappiano cogliere e diffondere la consapevolezza del valore dell’esperienza cinese, la sua natura socialista e soprattutto la convenienza che la cooperazione pacifica dell’Italia e dell’Europa con questo grande Paese e con l’insieme del continente euro-asiatico avrebbe non solo per il nostro sviluppo nazionale, ma anche per la riconquista di una coscienza socialista nel movimento operaio. Una coscienza che è andata perduta in questi ultimi decenni: in primo luogo per la capitolazione dei suoi gruppi dirigenti.

Ma di quale mondo parliamo?

Già nel 2003 uno studio della banca statunitense Goldman Sachs prevedeva uno sviluppo dell’economia mondiale al 2050, delineando un declino del capitalismo occidentale e l’affermarsi in posizione dominante di nuove potenze emergenti, in primis Cina e India.

Nel 2014 il FMI calcolava che i Paesi del G7 esprimevano il 38% del Pil mondiale (PPP), mentre i Brics il 30%. E poiché i Brics mostravano nel loro insieme un ritmo di crescita più elevato del G7, prevedevano entro pochi anni il sorpasso.

Così è stato, prima del previsto.

Nel 2016 il PIL del G7 è sceso al 31% (rispetto al 38% del 2014), quello dei BRICS è salito al 32%.

Le previsioni al 2020 vedono tutte un netto sorpasso dei BRICS, con un PIL (ppp) complessivo di 52.000 miliardi di $, rispetto ai 42.000 del G7.

Le proiezioni al 2050, ovviamente assumibili solo come tendenza, vedono i BRICS a 108.000 miliardi $ rispetto agli 82.000 del G7, con un distacco in valore assoluto e in percentuale sul PIL mondiale ancora più marcato. E delineano un quadro in cui Cina, Usa e India (in questo ordine gerarchico) emergono come le tre maggiori potenze economiche, pari alla metà del PIL mondiale:

la Cina col 22-23% ;
gli Usa col 17-18% ;
l’India col 13-14% .

In un quadro in cui il rapporto strategico tra Russia e Cina si va sempre più consolidando, si capisce bene l’importanza che sempre più avrà la collocazione dell’India nei futuri assetti mondiali. E si conferma la lungimiranza di quell’Evgenij Primakov, che già negli anni ’90 del secolo scorso suggeriva al suo entourage e a Putin di puntare strategicamente sulla triade Russia-Cina-India come architrave della costruzione di un nuovo assetto multipolare del mondo.

Dunque:

-il mondo evolve oggettivamente verso il multipolarismo e non è certo pensabile che un gruppo di Paesi capitalistici sviluppati (G7) – dove pure per molti decenni ancora il PIL pro-capite e il livello medio di vita della popolazione rimarrà più alto che nel resto del mondo – possano pensare di dominare il pianeta con una incidenza sul PIL globale del 30%, a meno di pensare di rovesciare le tendenze in atto con una guerra mondiale catastrofica, dagli esiti peraltro imprevedibili;

-gli Stati Uniti stanno perdendo la leadership mondiale, il dollaro la sua funzione di unica moneta di riferimento negli scambi internazionali;

-la profondità della crisi del capitalismo, dopo il 2007-08, impone un governo dell’economia e della finanza mondiale che non può più essere delegata al solo Occidente. Ciò richiede nuovi protagonisti del governo responsabile degli assetti mondiali, e qui emerge il ruolo dei principali Paesi emergenti: in particolare della loro essenziale componente euro-asiatica, capaci ormai di rappresentare un interlocutore affidabile per l’Africa, l’America Latina, il Medio Oriente e per l’insieme dell’Asia e dell’Europa.

Il valore strategico e dirompente della nuova via della seta emerge qui in tutta la sua portata: fare del continente euroasiatico, dal Portogallo al Giappone, con una forte proiezione in Africa e in Medio Oriente, un grande spazio di cooperazione economica, di pace, sicurezza reciproca, e di valorizzazione della sovranità di tutte le nazioni partecipanti.

Esso si incontra con una serie di istanze che in questi anni sono maturate in sede BRICS, ma anche nell’ambito della SCO (l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai) di cui fanno parte, in veste di membri a pieno titolo Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan; e come osservatori India, Pakistan, Iran, Mongolia. E che si intreccia in modo assolutamente complementare con quella Comunità Economica Euroasiatica in costruzione, promossa da Putin e imperniata su una stretta cooperazione tra Russia, Bielorussia e Kazakistan, volta a rafforzare le relazioni tra i Paesi dello spazio ex sovietico.

Sono le componenti di un mosaico che è venuto costruendosi negli anni, a cui l’enorme investimento connesso al progetto della viadella seta può dare grande impulso e basi materiali solide, strutturali e durature.

Le nazioni europee, l’Italia, hanno tutto l’interesse a integrarsi in tali processi di cooperazione, che possono aprire la porta a mercati in espansione, contribuire ad una propria ripresa economica, oggi stagnante; e da cui lo stesso movimento operaio dei nostri Paesi può trarre margini più ampi di sviluppo, crescita economica, redistribuzione del reddito e nuove opportunità di lavoro.

Ciò richiede che i Paesi europei recuperino la volontà di un protagonismo nazionale, emancipandosi da quei vincoli di NATO, di sudditanza agli Stati Uniti, o da quei condizionamenti posti dall’appartenenza all’Unione europea, che possano rappresentare un impedimento ad una politica economica e ad una politica estera e di sicurezza pienamente sovrana.

Queste dinamiche rafforzano la preoccupazione degli Usa per una egemonia euro-asiatica sul futuro del pianeta. 

Il pericolo di una terza guerra mondiale non era mai emerso in modo così acuto come oggi: una fase in cui si intrecciano tre elementi fortemente destabilizzanti: la crisi internazionale del capitalismo, il declino degli Stati Uniti e dell’Occidente capitalistico, lo spostamento del centro geo-politico ed economico del mondo da Occidente a Oriente.

Prende corpo nella classe dirigente Usa, l’idea che solo con l’affermazione di una superiorità militare schiacciante sul resto del mondo, e con la guerra, è possibile per gli Usa conservare un primato mondiale.

I settori più oltranzisti di questa classe dirigente non escludono scenari di guerra aperta con grandi potenze nucleari come Russia e Cina (considerati il nemico principale).

Su questi temi è in atto nella classe dirigente Usa uno scontro politico feroce di linea, che va ben oltre la tradizionale dialettica tra Repubblicani e Democratici. Uno scontro che si è incarnato nella competizione elettorale tra Clinton-Trump, e che oggi continua sia all’interno dell’amministrazione Trump che dall’esterno contro di essa, e che attraversa anche i settori più delicati del cosiddetto “Stato profondo”, come le forze armate, i servizi segreti, i grandi poteri economici e finanziari.

Non si era mai visto nella storia americana un tentativo così forte e duraturo di delegittimazione di una Presidenza, appena dopo il suo insediamento.

E’ uno scontro durissimo (dagli esiti incerti) tra diverse fazioni; dove la componente di cui è espressione Trump (una parte almeno della sua amministrazione) sembra essere portatrice di una linea volta a trovare con la Russia – ma forse anche con la Cina (sia pure cercando di dividerle tra loro, secondo l’antica dottrina Kissinger..) – un compromesso che riduca, almeno nel breve periodo, i rischi di precipitazione verso un nuovo conflitto mondiale. 

Questa linea sembra volta a perseguire il primato mondiale degli Stati Uniti puntando più sulla crescita della propria potenza economica e militare (da cui trattare da posizioni di forza col resto del mondo), più che su un interventismo militare destabilizzante fuori dai propri confini, come sarebbe stato con la linea incarnata da Hillary Clinton.

E’ presto per capire dove approderà questo scontro feroce dentro la classe dirigente Usa, che ha fino ad ora impedito una stabilizzazione e un effettivo chiarimento di linea da parte di Trump; e che rappresenta oggi il fattore di maggiore instabilità nella situazione mondiale e di ulteriore crisi della leadership mondiale degli Stati Uniti.

La crisi coreana è sicuramente un importante banco di prova di una situazione generale.

Esistono le condizioni per un accordo che porti ad una normalizzazione delle relazioni tra Corea del Nord e del Sud, con la mediazione di Usa, Russia e Cina. Sarebbe un segnale forte per il mondo, ed un successo indiscutibile per le leadership di questi 5 Paesi.

Credo che nella classe dirigente Usa esistano componenti che lavorino per impedire che a questo accordo si giunga, e che sul suo fallimento si propongano di far saltare la presidenza Trump oppure di trascinarla, suo malgrado, in una pericolosa escalation militare, volta anche a sabotare le possibilità di accordi più generali che possano facilitare la normalizzazione delle relazioni tra Usa, Russia e Cina, a cui l’Europa dovrebbe dare il suo contributo attivo.

Registriamo su questo terreno, salvo rare eccezioni, una totale assenza di proposta, di iniziativa, di consapevolezza, da parte dei movimenti operai e democratici europei, politici e sindacali, la cui responsabilità ricade sui loro gruppi dirigenti.

Iniziative come quella di oggi, che vanno moltiplicate, possono contribuire ad accendere un piccolo fascio di luce e di consapevolezza di cui siamo grati ai nostri ospiti.