Assediati nelle fortezze

di Manlio Dinucci | da il Manifesto

 

usa soldati_difesaA forza di fare guerre, gli Stati uniti si sono fatti sempre più nemici. Sono quindi preoccupati per la sicurezza delle loro ambasciate, che sono non solo sedi diplomatiche ma centri operativi dei servizi segreti e dei comandi militari. Il Dipartimento di stato, stimando che l’85% delle sue ambasciate è vulnerabile, ha speso 6 miliardi di dollari per rafforzarle con materiali anti-esplosione e invalicabili barriere. Allo stesso tempo ne costruisce di nuove, che sono delle vere e proprie fortezze. La maggiore è quella di Kabul, la più grande del mondo, che ospita anche il quartier generale Nato/Isaf sempre sotto comando Usa. Costata finora oltre 700 milioni di dollari, è stata inaugurata il 14 febbraio, ma all’interno della sua cittadella saranno costruiti entro il 2014 altri edifici, mentre a Herat e Mazar el Sharif vengono realizzati due consolati fortificati. A riprova che gli Usa non intendono allentare la loro presa sull’Afghanistan. All’inaugurazione, il vice-ambasciatore Anthony Wayne assicurò che l’edificio costruito, in attesa di realizzarne tre più grandi a diversi piani, avrebbe fornito intanto «una sistemazione sicura e confortevole per 432 diplomatici e membri dello staff». Sette mesi dopo, il 13 settembre, l’ambasciata è stata però attaccata dagli insorti. E, quel che è peggio, l’ammiraglio Mike Mullen, presidente dei Capi di stato maggiori riuniti (la massima autorità militare), ha dichiarato che dietro questo attacco c’è l’Isi, il servizio segreto pachistano. Uno smacco per la strategia enunciata nel marzo 2009 dal presidente Obama: dopo aver assicurato che gli Usa non sono in Afghanistan per controllarlo e decidere del suo futuro, ma per affrontare un comune nemico, ha dichiarato che il futuro dell’Afghanistan è inestricabilmente legato a quello del Pakistan. Il che significa, nel linguaggio del Premio Nobel per la pace, che gli Usa considerano i due paesi un unico teatro bellico. In Pakistan, però, incontrano crescenti resistenze anche in sede governativa, nonostante che Washington fornisca a Islamabad un aiuto militare annuo di 2 miliardi di dollari. Il governo pachistano ha respinto l’accusa di Mullen e la richiesta di tagliare qualsiasi legame col gruppo presunto autore dell’attacco all’ambasciata. Ha anche rifiutato di far entrare truppe Usa nell’area tribale al confine tra i due paesi, ufficialmente per dare la caccia agli attentatori. Lo stesso giorno in cui ha respinto la richiesta, il 23 settembre, un drone della Cia ha però lanciato due missili contro una casa, in un villaggio pachistano di confine, uccidendo diverse persone. Da quando in maggio i Navy Seals hanno assaltato in Pakistan il presunto rifugio di Bin Laden, il cui presunto cadavere è stato poi gettato in mare, si sono intensificati gli attacchi dei droni. Ciò suscita una crescente indignazione popolare. Tanto che l’ambasciata Usa a Islamabad avverte i suoi cittadini di stare attenti alle «frequenti dimostrazioni anti-americane e anti-occidentali». Mentre quelli che abitano a Kabul sono avvertiti di «evitare i movimenti non necessari e i luoghi frequentati da occidentali». E, alla prima avvisaglia di pericolo, correre a rinchiudersi nell’ambasciata-fortezza. Anche questa, però, non tanto sicura.

 

(il manifesto, 27 settembre 2011)