L’anticomunismo triste di Ezio Mauro

libroMauro 900x445di Luca Cangemi

Con La dannazione. 1921. La sinistra divisa all’alba del fascismo (Feltrinelli editore, 2020), libro dedicato alla scissione di Livorno e alla nascita del Partito Comunista, Ezio Mauro completa la trilogia anticomunista iniziata con L’anno del ferro e del fuoco (a cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre) e proseguita con Anime prigioniere (a trenta anni dalla caduta del Muro di Berlino).

Sono libri che non si segnalano certo per l’accuratezza e le novità della ricerca storica (per le quali, se non altro, manca il tempo: in questi, pochi, anni oltre alla trilogia Mauro ha scritto diversi altri volumi, su argomenti importanti e innumerevoli articoli impegnativi). Eppure sono libri che vanno analizzati attentamente.

Analizzati, innanzitutto, perché parte di una complessa operazione politico-culturale sviluppata con ampi mezzi, di cui i testi sono il centro (anche se a volte sembrano solo il pretesto).

Da ognuno di questi libri si dirama una fitta serie di altri “prodotti”: audiolibri, video, pagine patinate di settimanali, interviste televisive, eventi di varia natura. Una operazione egemonica diretta a vari segmenti di pubblico e, in primo luogo, a costruire una narrazione anticomunista non gridata, normalizzata, fungibile in diversi contesti.

L’analisi dei libri di Mauro è l’analisi di una forma peculiare di anticomunismo, dei suoi caratteri e dei suoi umori, dei suoi obiettivi a medio e lungo termine.

È un anticomunismo che si è lasciato alle spalle l’atteggiamento trionfante successivo alla fine dell’URSS, che è consapevole che la storia non è finita, anzi presenta tornanti imprevedibili.

Un anticomunismo triste per l’evidente impossibilità di indicare le virtù del capitalismo come soluzione ai problemi dell’umanità e inquieto per le nuove sfide che vengono, ancora una volta, da Oriente.

E proprio questa tristezza e questa inquietudine che spiegano toni, contenuti e obiettivi della trilogia e di quest’ultimo volume, particolarmente impegnativo perché affronta questioni cruciali della storia nazionale e anche problemi irrisolti dei percorsi di una intellettualità “progressista” (e anticomunista) di cui lo stesso Mauro fa parte.

L’ideologia liberale (che certo non manca) non è proposta nella sua forma altera ma con toni medi, che danno cittadinanza ai dubbi senza, peraltro, ad essi potere rispondere. Essa non appare più una promessa di libertà e prosperità ma come un orizzonte incerto e imperfetto, accettabile solo in quanto senza alternative. La sinistra è chiamata a inserirsi in questo orizzonte, senza contestarlo ma difendendolo da derive selvagge, di cui non si può spiegare l’origine, perché è origine assai imbarazzante. Come spiegare infatti guerre, massacri, crisi, fondamentalismi e fascismi degli ultimi trenta anni (e dei nostri giorni) senza mettere in radicale discussione il sistema dominante e il suo centro gravitazionale, gli Stati Uniti d’America?

Questa esibita medietà di toni, supportata da una straripante aneddotistica che affoga costantemente le vere questioni storico-politiche, porta in grembo un veleno anticomunista che deve essere individuato con cura. 

Sin dal titolo di quest’ultimo libro l’attacco viene portato su un punto politico   delicatissimo (e di facile quanto impropria attualizzazione): l’aver indirettamente favorito, dividendo la sinistra, l’affermazione del fascismo.

È una tesi tanto poco originale quanto falsa e pericolosa. Essa rimuove le responsabilità inequivocabili di breve e lungo periodo dei circoli più importanti del capitalismo italiano e del ceto politico liberale, e rimuove le mille incertezze dei gruppi dirigenti riformisti politici e sindacali di fronte all’aggressività fascista. Rimuove soprattutto il fatto essenziale: a Livorno nasce la forza, il Partito Comunista appunto, capace di battersi con maggiore continuità e efficacia contro il regime durante tutto il ventennio e poi di rappresentare il fulcro della Resistenza. Certo le coordinate della lotta antifascista (e la stessa compiuta analisi del fascismo) maturarono dopo discussioni non semplici nel Partito (del resto discussioni intrecciate al costituirsi del suo gruppo dirigente) ma maturarono dentro la cultura della rivoluzione d’ottobre, cioè dentro la scelta fondamentale di Livorno, non dentro la nostalgia della comune militanza con D’ Aragona e Turati.

E alla fine è l’Ottobre il cuore del problema, l’alfa e l’omega della “dannazione”.

Il congresso di Livorno appare dominato nella narrazione di Mauro dalla forza malefica e ricattatoria della Rivoluzione Sovietica. Qui la prosa si fa più aspra (“la maschera di ferro del bolscevismo”, “la storia nazionale del socialismo amputata e cortocircuitata” tanto per citare un paio di espressioni). E qui ritroviamo tutto il senso della trilogia, sin dal primo volume, che è forse il più importante ed esplicito. 

Non ha molto senso confutare storicamente questa raffigurazione, coglierne le clamorose ma non innocenti ingenuità, sottolineare che essa non spiega né l’impatto straordinario della Rivoluzione d’Ottobre sulla scena mondiale, né la capacità altrettanto straordinaria delle idee di quella Rivoluzione di radicarsi profondamente in contesti diversissimi. Numerosi storici, pur da ottiche anche molto diverse, ragionano a ben altri livelli, sulle caratteristiche inedite del movimento comunista internazionale.

Non è invece inutile denunciare l’intento politico dei libri di Ezio Mauro, che trova la sua spiegazione nelle questioni di oggi. C’è bisogno di investire in una rinnovata narrazione anticomunista, perché l’ormai lungo percorso di crisi capitalistica mette in discussione gli assetti di potere e quindi bisogna colpire l’idea di un radicale cambio di paradigma e delegittimare ab imis ogni forza che si proponga o anche solo alluda a trasformazioni profonda. Bisogna circoscrivere l’alternativa visibile tra una gestione dell’esistente e forze reazionarie selvagge. E quindi l’attacco alla Rivoluzione diventa terreno necessario, per costruire il paradigma del cambiamento rivoluzionario figlio di irrazionalità e padre di sciagure. In questo l’anticomunismo triste di Ezio Mauro è strettamente connesso con i tentativi, anch’essi necessariamente non molto entusiasmanti, di lanciare Joe Biden e Keir Starmer come riferimenti di un campo mondiale democratico. Infine, ed è forse l’aspetto più rilevante, un rinnovato anticomunismo tende a costruire il campo ideologico ritenuto più favorevole per la contesa con il nuovo antagonista globale, anch’esso figlio particolare (ciascuno dei numerosi figli ebbe le sue particolarità) dell’Ottobre, anch’esso nato nel “dannato” 1921.