La grande scommessa

grande scommessa 8 1000x600di Fabrizio Simoncini per Marx21.it

Se di “grande scommessa” si trattava, dal punto di vista cinematografico possiamo affermare che è stata ampiamente vinta. Il film di Adam McKay rappresenta una vera gemma nel panorama del cinema USA riguardo il saper raccontare in modo suggestivo, quasi appassionante, la devastante crisi finanziaria del 2008. L’enorme bolla cresciuta nel mercato immobiliare americano ha lasciato ferite profonde nel tessuto sociale e ora, come è accaduto per altri avvenimenti destrutturanti per la storia degli Stati Uniti (leggi guerra in Vietnam) alcuni registi di culto provano a raccontarli. Ci avevano già provato altri due film importanti, quali “Margin Call” del 2011 di J.C. Chandor e Oliver Stone con “Wall street – Il denaro non dorme mai” del 2010. Due lungometraggi ben fatti nei quali la crisi è raccontata più sul piano psicologico che nei suoi contenuti economici e tecnici. Infatti la trama si dipana scorrendo le emozioni che ciascun personaggio reca con sé e produce nel momento in cui la slavina del collasso finanziario lo travolge. E’ vero: gli squali della finanza vengono descritti in tutta la loro ferocia e spregiudicatezza, si percepisce che a rimetterci in tutto questo sono le persone cosiddette normali, ma al termine di racconti ben intrecciati fra vicende umane a volte improbabili, resta sempre il sapore acre da bocca asciutta che rimanda alla impertinente domanda: ma che è successo veramente nel 2008? Allora ecco prorompere in questo 2016 con tutta la sua portata teorica, e per certi versi risolutiva, “la grande scommessa”.

In ogni crisi che si rispetti c’è sempre qualcuno che ha il colpo di genio per arrivare a vedere ciò che ad altri, peraltro spacciati per uomini di talento e successo, proprio non riesce. Il film racconta, da quattro punti di vista, il lento progredire di alcuni “lavoratori eccentrici” della finanza che si imbattono in un meccanismo che comincia a mostrare, a chi voglia e sappia vedere, una falla enorme in procinto di manifestarsi. Certo  sarebbe stato molto più facile raccontare le vicende della crisi del 2008 con un documentario in cui spiegare scientificamente passo dopo passo il senso degli accadimenti tecnici, ma l’effetto sul pubblico non sarebbe stato il medesimo. Al cinema sarebbero andati i soliti noti: quella nicchia sparuta che non si da pace e che ha ancora l’ardire di voler comprendere e così cambiare il mondo, ma mai avrebbe raggiunto il grande pubblico. Dunque l’operazione di Brad Pitt, che ha prodotto il film, e anche recitato da protagonista, si può definire proficua e intelligente.

Gran parte del merito per una pellicola così riuscita va indubbiamente al regista. Grazie al taglio avvincente con cui riesce a “cucire” trama scene e situazioni, McKay conduce lo spettatore in uno stato di costante febbrile sospensione emozionale. La cinepresa non resta ferma un momento: contribuendo così, non solo a caricare di pathos gli avvenimenti sciorinati, ma a spingere chi osserva nella ricerca compulsiva della comprensione di ogni passo tecnico e teorico del film. Si è talmente coinvolti e incalzati che si vorrebbe in certi momenti spingere il tasto “pausa” per consultare un manuale di finanza oppure discutere con il vicino di poltrona l’elemento che sfugge alla concatenazione logica degli avvenimenti. E proprio perché non è dato farlo, si esce dalla sala così storditi da arrivare a pronunciare una sorta di urlo cartesiano interiore: “voglio capire dunque debbo studiare!” Sarà utile, appena si renderà disponibile nelle biblioteche, impossessarsi del DVD e rivederlo per apprezzare quei dettagli che sono sfuggiti, causa la forza dell’immedesimazione e il trambusto delle immagini che il film suscita. Un turbinio così intenso che finisce per sovrastare l’indispensabile razionalizzazione delle preziose tessiture del racconto. Varrà sicuramente anche il tempo dedicato all’esercizio di lettura, il comprendere se l’omonimo libro di Michael Lewis, edito in Italia da Rizzoli ispiratore della sceneggiatura, saprà mantenersi all’altezza emozionale del vorticoso film di McKay.

Gustosa e accattivante è l’idea del regista di coinvolger personaggi del segno di Selena Gomez e Margot Robbie, entrambe attrici che, recitando sé stesse e guardando in direzione della cinepresa, si rivolgono al pubblico elargendo spiegazioni da esperti di alta finanza, in un contesto scenico che allude palesemente al lusso e alla ricchezza ostentata: una gustosa parodia che spezza la trama del film facendolo sconfinare in una dimensione paradossalmente ancora più realistica. Da sottolineare anche le ottime interpretazioni di un cast stellare: oltre al già citato Brad Pitt, i sontuosi Christian Bale e Ryan Gosling.

Un film dunque di grande spessore che sa tenere insieme qualità registica e potenza narrativa in un’ottica finalizzata alle esigenze del grande pubblico che vuole comprendere le vere ragioni della crisi finanziaria più che prestare l’esclusiva attenzione alle analisi psicologiche dei personaggi coinvolti. Quasi un segreto omaggio al motto di marxiana memoria “il denaro non crea denaro”.

La grande scommessa

Di Fabrizio Simoncini  per Marx21.it

 

Se di “grande scommessa” si trattava, dal punto di vista cinematografico possiamo affermare che è stata ampiamente vinta. Il film di Adam McKay rappresenta una vera gemma nel panorama del cinema USA riguardo il saper raccontare in modo suggestivo, quasi appassionante, la devastante crisi finanziaria del 2008. L’enorme bolla cresciuta nel mercato immobiliare americano ha lasciato ferite profonde nel tessuto sociale e ora, come è accaduto per altri avvenimenti destrutturanti per la storia degli Stati Uniti (leggi guerra in Vietnam) alcuni registi di culto provano a raccontarli. Ci avevano già provato altri due film importanti, quali “Margin Call” del 2011 di J.C. Chandor e Oliver Stone con “Wall street – Il denaro non dorme mai” del 2010. Due lungometraggi ben fatti nei quali la crisi è raccontata più sul piano psicologico che nei suoi contenuti economici e tecnici. Infatti la trama si dipana scorrendo le emozioni che ciascun personaggio reca con sé e produce nel momento in cui la slavina del collasso finanziario lo travolge. E’ vero: gli squali della finanza vengono descritti in tutta la loro ferocia e spregiudicatezza, si percepisce che a rimetterci in tutto questo sono le persone cosiddette normali, ma al termine di racconti ben intrecciati fra vicende umane a volte improbabili, resta sempre il sapore acre da bocca asciutta che rimanda alla impertinente domanda: ma che è successo veramente nel 2008? Allora ecco prorompere in questo 2016 con tutta la sua portata teorica, e per certi versi risolutiva, “la grande scommessa”.

In ogni crisi che si rispetti c’è sempre qualcuno che ha il colpo di genio per arrivare a vedere ciò che ad altri, peraltro spacciati per uomini di talento e successo, proprio non riesce. Il film racconta, da quattro punti di vista, il lento progredire di alcuni “lavoratori eccentrici” della finanza che si imbattono in un meccanismo che comincia a mostrare, a chi voglia e sappia vedere, una falla enorme in procinto di manifestarsi. Certo  sarebbe stato molto più facile raccontare le vicende della crisi del 2008 con un documentario in cui spiegare scientificamente passo dopo passo il senso degli accadimenti tecnici, ma l’effetto sul pubblico non sarebbe stato il medesimo. Al cinema sarebbero andati i soliti noti: quella nicchia sparuta che non si da pace e che ha ancora l’ardire di voler comprendere e così cambiare il mondo, ma mai avrebbe raggiunto il grande pubblico. Dunque l’operazione di Brad Pitt, che ha prodotto il film, e anche recitato da protagonista, si può definire proficua e intelligente.

Gran parte del merito per una pellicola così riuscita va indubbiamente al regista. Grazie al taglio avvincente con cui riesce a “cucire” trama scene e situazioni, McKay conduce lo spettatore in uno stato di costante febbrile sospensione emozionale. La cinepresa non resta ferma un momento: contribuendo così, non solo a caricare di pathos gli avvenimenti sciorinati, ma a spingere chi osserva nella ricerca compulsiva della comprensione di ogni passo tecnico e teorico del film. Si è talmente coinvolti e incalzati che si vorrebbe in certi momenti spingere il tasto “pausa” per consultare un manuale di finanza oppure discutere con il vicino di poltrona l’elemento che sfugge alla concatenazione logica degli avvenimenti. E proprio perché non è dato farlo, si esce dalla sala così storditi da arrivare a pronunciare una sorta di urlo cartesiano interiore: “voglio capire dunque debbo studiare!” Sarà utile, appena si renderà disponibile nelle biblioteche, impossessarsi del DVD e rivederlo per apprezzare quei dettagli che sono sfuggiti, causa la forza dell’immedesimazione e il trambusto delle immagini che il film suscita. Un turbinio così intenso che finisce per sovrastare l’indispensabile razionalizzazione delle preziose tessiture del racconto. Varrà sicuramente anche il tempo dedicato all’esercizio di lettura, il comprendere se l’omonimo libro di Michael Lewis, edito in Italia da Rizzoli ispiratore della sceneggiatura, saprà mantenersi all’altezza emozionale del vorticoso film di McKay.

Gustosa e accattivante è l’idea del regista di coinvolger personaggi del segno di Selena Gomez e Margot Robbie, entrambe attrici che, recitando sé stesse e guardando in direzione della cinepresa, si rivolgono al pubblico elargendo spiegazioni da esperti di alta finanza, in un contesto scenico che allude palesemente al lusso e alla ricchezza ostentata: una gustosa parodia che spezza la trama del film facendolo sconfinare in una dimensione paradossalmente ancora più realistica. Da sottolineare anche le ottime interpretazioni di un cast stellare: oltre al già citato Brad Pitt, i sontuosi Christian Bale e Ryan Gosling.

Un film dunque di grande spessore che sa tenere insieme qualità registica e potenza narrativa in un’ottica finalizzata alle esigenze del grande pubblico che vuole comprendere le vere ragioni della crisi finanziaria più che prestare l’esclusiva attenzione alle analisi psicologiche dei personaggi coinvolti. Quasi un segreto omaggio al motto di marxiana memoria “il denaro non crea denaro”.