Avere ragione non basta

di Daniele Cardetta, coordinatore regionale FGCI Piemonte | da http://ilnuovovento.blogspot.com

 

bandierarossaAbbiamo ragione. Questo direi che è sotto gli occhi di tutti alla luce dei cambiamenti che sono avvenuti nella nostra società negli ultimi venti anni. Ma non basta. Non basta per rilanciarci, almeno nell’Occidente capitalista che vive un edonismo di fine impero tristemente simile alla “Belle Epoque” che fu anticamera della macelleria della Prima Guerra Mondiale. Forse in molti si sono dimenticati che senza la Prima Guerra Mondiale e le contraddizioni da essa innervate all’interno del sistema capitalista, nemmeno Lenin sarebbe riuscito a imporsi in Russia contro lo zarismo. Dove non riuscirono le tesi leniniste e marxiste (il partito bolscevico fu minoritario fino a poco tempo prima della Rivoluzione d’Ottobre), riuscirono le baionette austro-prussiane e la crisi economica.

 

Partendo da questo, non scontato, presupposto, occorre trarne ispirazione per approcciarci con meno pessimismo e maggior pragmatismo ai fatti odierni. Ci troviamo in uno stato avanzato di crisi del capitalismo, non mi dilungherò a elencarne i motivi, ottimamente sviscerati da buone analisi portate avanti da studiosi sicuramente più ferrati di me sull’argomento, tuttavia a me questo stadio del capitalismo ricorda la fase evocata da Lenin nelle sue opere (Imperialismo fase suprema del Capitalismo). Vladimir Ilic Lenin parlava proprio dell’imperialismo come evoluzione del capitalismo, una sorta di sua degenarazione, e oggi direi che per certi versi lo spettacolo cui stiamo assistendo in Afghanistan, Iraq, Libia altro non è che la versione attualizzata nel XXI secolo proprio di quel processo. Sappiamo tutti dove portò l’imperialismo del XX secolo, e si spera che questa volta la storia non si ripeta, per il bene dell’umanità, tuttavia ritengo che sia opportuno prepararsi, almeno come partito politico, a qualsiasi evenienza.

 

Prepararsi a qualsiasi evenienza non vuol dire rinnegare la via democratica o intraprendere le incerte vie della violenza, bensì significa finalmente tornare a essere dei protagonisti attivi e non passivi della storia. L’analisi, importantissima, è una cosa che noi comunisti sappiamo fare molto bene. Da sola però non permette, se non accompagnata anche dalla prassi, di rilanciare un partito in crisi di iscritti e di convinzione, afflitto dall’endemico “pessimismo” della classe dirigente, e soprattutto privo di prospettive che non siano meramente di sopravvivenza. L’analisi è una premessa importante a qualsiasi tipo di lavoro, e direi che dopo vent’anni in cui abbiamo assistito da attori inerti allo sgretolamento del capitalismo e all’emergere di contraddizioni insanabili nel suo seno, sia forse ora di tornare a recitare un ruolo da protagonisti. Come fare?

 

Sicuramente è molto facile invitare alla pratica e al lavoro, meno lo è indicare cosa esattamente fare e dove esattamente intervenire per conseguire dei risultati. Innanzitutto ritengo sia assolutamente necessario snellire le strutture interne di un partito che è stato pensato e costruito per e nel XX secolo. Utilizzando una metafora sarebbe come gareggiare contro i nuovi modelli di una macchina con lo stesso modello che si utilizzava trent’anni prima; a meno di miracoli le macchine più moderne doppieranno per forza di cosa quelle più vecchie. Cosa fare dunque per progettare nuovi motori e nuove carrozzerie in grado di reggere il confronto con i nostri avversari, che da tempo spendono e spandono nel tentativo di vincere la concorrenza?

 

Continuando la metafora è come se noi comunisti fossimo un team che in passato una macchina vincente l’ha progettata, anzi forse per innovazione e prospettive la nostra vettura rappresentava per certi versi la migliore.Adattare e rinnovare dovrebbe essere meno difficile che creare dal nulla un modello, è chiaro se questo fino a oggi non è stato fatto, va fatto oggi, senza più perdere un giorno di tempo. Le idee, per quanto rivoluzionarie possano essere, per quanto giuste e condivisibili, se non vengono divulgate nel modo e nel tempo giusto finiscono per evaporare come neve al sole.Noi abbiamo un GAP da questo punto di vista, un GAP di comprensione delle modalità di diffusione delle idee nel mondo contemporaneo, e questo lo dobbiamo in parte alla nostra forma mentis nutritasi con i valori di una ideologia ormai considerata morta o inutile, nostro malgrado, dalla maggioranza della popolazione (d’Occidente si intente). Ma se i nostri dirigenti NON sono in grado di comprendere come comunicare a questa società globalizzata così diversa dall’epoca in cui costoro diventarono dirigenti, allora la risposta è quasi scontata: occorre cambiarli, i dirigenti. Per metterci chi? obietterà qualcuno, spaventato anche solo dall’idea di incrinare il monolite partitico. Per metterci un giovane, e subito, risponderei. Per quanto un giovane possa essere poco preparato,inesperto, impulsivo, chi meglio di lui potrà comprendere il mondo in cui è nato e cresciuto? il XXI secolo è il mondo di chi ha ricevuto la propria formazione a cavallo tra il XX e il XXI secolo, non di chi ha vissuto e si è formato interamente sotto gli schemi del vecchio mondo e della vecchia politica.

 

Attenzione però. Innovare non significa cedere, nè misconoscere nemmeno una goccia di quella che è stata la storia dei comunisti e del comunismo nel XX secolo. Al contrario, innovare significa attribuire a quella storia e a quei valori un’importanza tale da meritare il tentativo di riportarli ai fasti che meritano. E questo, giocoforza non può che passare dal tentare di attualizzare il comunismo a una società che, se non è cambiata per niente per quanto riguarda le dinamiche del capitalismo e della lotta tra le classi (e anche del rapporto lavoratore-mezzi di produzione), è cambiata completamente come valori dominanti e come struttura sociale.

 

Tutto questo va fatto tenendo conto di alcune cose. Innanzitutto da qui ai prossimi 20 anni ci saranno dei cambiamenti epocali e assolutamente imprevedibili. Questo non lo dico in base a una presunta dote di preveggenza bensì lo sostiene la storia, Magistra Vitae, come dicevano i romani. La storia ci dice che l’Ottocento è stato un secolo differente dal Novecento, e che quindi il XXI secolo sarà giocoforza differente dal XX. Chiaramente non si attende un avvento millenaristico che cambierà la storia come se fosse piovuto dall’alto, bensì si attende che un processo rivoluzionario maturi a compimento per poi giungere a fioritura al momento opportuno. Tutto questo sta già avvenendo, e in qualche misura noi comunisti, anche in Italia, stiamo facendo il nostro compito minimo: sopravvivere e mantenere con la stessa sopravvivenza un’alternativa,anche se debole e frenata.

 

Il XXI secolo è già diverso dal XX, ma i processi che stanno innestando il cambiamento hanno messo i semi negli anni Ottanta del Novecento,e, nel 2011, dopo quasi trent’anni, già iniziamo a vederne i risultati nella vita di tutti i giorni. Il compito dei comunisti del XXI secolo deve essere quello di lavorare per portare a maturazione i cambiamenti e orientarli verso una prospettiva che, pragmaticamente parlando, ci possa consentire di ripartire. Questo non è il tempo della teoria, ma della prassi, verrebbe da dire. E’ il momento in cui bisogna piantare altri semi badando che quelli vecchi non secchino.E per farlo occorre lasciare alle spalle i facili e comprensibili pessimismi, e vestire le vesti dell’ottimismo di chi, nonostante tutto, è convinto di avere ragione. Chi ha ragione tendenzialmente, se non possiede l’acume per convincere con la dialettica gli avversari, o la forza per costringere gli altri a seguirlo, allora non può che armarsi di pazienza e aspettare. A quel punto ha due alternative: la prima, quella che abbiamo percorso negli ultimi vent’anni, fallendo, prevede di lavorare per cercare di cambiare i rapporti di forza in modo da riuscire a convincere le masse; la seconda prevede di sopravvivere, in attesa che la realtà riesca dove noi abbiamo fallito, far capire la nostra ragione. Chiaramente le alternative 1 e 2 non si escludono a vicenda. Sta a noi percorrere entrambe senza sosta.