Per non liquidare il nostro patrimonio storico, ideale e politico

di Mao Calliano, PdCI Torino

prospettivepericomunisti bannerNon si può dire che non siamo di fronte a una delle fasi più incerte della storia politica del nostro paese. In questo contesto Rivoluzione Civile non supera i 765000 voti, rimaniamo sotto il dato della sinistra arcobaleno, meno, in termini assoluti, dei voti raccolti dal solo PdCI nel 2006.

Un fallimento il nostro, senza precedenti. Potremmo tentare di approfondire gli errori probabilmente commessi, la predominanza dei temi legati alla giustizia rispetto al lavoro e alla crisi, forse dell’inadeguatezza di Antonio Ingroia come leader politico, della comunicazione noiosa dei “rivoluzionari”,della cosiddetta società civile che in termini politici non ha portato nulla, e di 4 partiti che chi più chi meno sono spariti nella campagna elettorale.


Tuttavia credo che questo approccio risulterebbe riduttivo e non coglierebbe il punto di fondo, ovvero che Rivoluzione Civile è rimasta stritolata tra il centrosinistra o meglio l’opzione di governo, e il voto di protesta ben presentato dal movimento 5 stelle di Grillo. Diciamo che non è accaduto nulla di imprevedibile che non avessimo già analizzato nelle centinaia di riunioni avvenute su tutto il territorio nazionale e in particolar nell’ultimo congresso di Rimini che riportava certamente un fondale dedicato alla ricostruzione del Partito Comunista ma che in realtà discuteva per tre giorni sul tentativo di raggiungere un accordo con il centrosinistra per l’unità delle forze democratiche. E’ difficile dimenticare per me, ma anche credo per il resto del Partito, il grido di Diliberto che affermava tra settecento delegati che applaudivano che su questa questione non erano ammesse interferenze e che lui in prima persona si sarebbe battuto per azzerarle.

Su queste basi, subito dopo l’estate ci fù in qualche modo imposta la rottura della Federazione della Sinistra. Un altro dato su cui riflettere è la “non vittoria del centrosinistra”: PD e SEL sono usciti con un grande consenso alle primarie di cui un pezzettino di Partito su indicazione di Diliberto ha sicuramente dato un contributo. Da quel momento è iniziato l’ammiccamento verso Monti e la tecnocrazia. Un grave errore politico che ha impedito a Italia bene comune di aggredire i temi della crisi allontanandosi inevitabilmente ai problemi del paese reale. Per contro la protesta urlata e senza proposta di Grillo ha incrociato la rabbia e la disperazione delle classi subalterne e dei giovani che senza remore hanno sostenuto il movimento del comico genovese.

Continuare a discutere e a recriminare sul fallimento della trattativa con il PD e sulle circostanze che ci hanno costretto ad aderire a Rivoluzione Civile è oramai un argomento che non dovrebbe più interessarci. Continuare su questo versante corrisponderebbe ad un avvitamento che di fatto negherebbe la possibilità al Partito di proiettarsi in una discussione concreta riguardante il che fare. L’IdV ha lasciato rivoluzione civile portandosi anche via la cassa, e si appresta alla convocazione di un congresso che avrà il compito di riavvicinarsi al centro sinistra. Il PRC vuole fare di Rivoluzione Civile il polo antagonista in Italia e avvia un congresso lungo che, forse, finirà a fine anno. Antonio Ingroia dal canto suo si dichiara disponibile a continuare questa esperienza, purchè “i compagni di viaggio lo facciano da Rivoluzionari e senza le bandiere di Partito”.

Il nostro Partito deve ancora scegliere se e quando andare a Congresso e soprattutto deve ancora stabilire su che linea politica. Confusione nella confusione.

Forse non tutte le compagne e tutti i compagni hanno in qualche modo focalizzato il problema. Noi siamo fuori dal parlamento per la seconda volta consecutiva, condannati all’irrilevanza e alla inutilità politica, accompagnati probabilmente da un ulteriore elemento negativo, ovvero centinaia di migliaia di euro di debiti. Questo passaggio che ci riguarda direttamente non può essere affrontato come se fosse un passaggio di routine, non può essere affrontato come un Partito che ha subito una sconfitta ordinaria. Nel 2006 con l’1,7 nel proporzionale ma con gli eletti nel maggioritario potevamo stare nel dibattito politico e provare un rilancio, oggi le cose stanno diversamente. Per questi motivi io e molti altri compagn* Torinesi non siamo d’accordo ad una semplificazione del problema pensando di ricostruire il Partito Comunista come se nulla fosse successo o in alternativa di scioglierci o se preferite mascherarci dentro Rivoluzione civile 2.0.

Serve a mio pare una scelta di campo e un salto di qualità coraggioso che ci porti ad incidere nelle politiche reali, quella di ricostruire un campo dei progressisti con un chiaro profilo di sinistra, che rompa con l’austerità e produca un uscita da questa crisi dal lato della crescita, del lavoro, della redistribuzione e non dell’austerità e della recessione. Assumere in questa fase questo orizzonte strategico senza una estenuante conta congressuale è a mio modestissimo parere l’unico modo per riagganciare il nostro popolo, che in gran parte ha votato altrove. Si tratta di un campo pieno di contraddizioni, in cui l’esito è incerto: da un lato il tentativo di Bersani e il comportamento sulle presidenze delle camere dimostrano che forse si stanno comprendendo le ragioni della sconfitta, dall’altra l’attivismo Renziano non lascia presagire nulla di buono. Comunque una cosa è chiarissima, al di là della durata della legislatura i giochi per il domani si fanno dentro il perimetro del campo progressista e per provare a rialzarci bisogna accettare subito quel campo di gioco e provare ad evitarne la deriva centrista.

Sono proprio queste le ragioni che spinsero tanti militanti comunisti nel 1998 a chiudere una esperienza che in quel momento viaggiava nei sondaggi oltre la doppia cifra e a dare vita al Partito dei Comunisti Italiani. La situazione odierna è completamente diversa da allora come è diversa la società italiana, come sono diversi i Partiti e forse anche noi, ma ciò nonostante non mi rassegno all’idea che abbiamo mutato così tanto la nostra cultura politica.

Dal dopoguerra in poi a guidare la politica dei comunisti italiani è stato l’interesse nazionale e delle sue classi subalterne,con una attenzione specifica e mai superficiale alle politiche delle alleanze. Vorrei che tornassimo a quelle priorità, a quella cultura politica, così facendo forse, faremmo sopravvivere il PdCI. Se invece continuiamo con la tiritera dei riti superati, ponendoci un obiettivo nobilissimo, quello del rilancio del nostro Partito, ma completamente scollegato dal paese, dai/dalle lavorat*, non saremmo compresi e continueremo verso un declino inarrestabile e già segnato. Sarebbe, insomma per semplificare, la liquidazione del nostro patrimonio storico,ideale e politico. Concludo chiedendomi… e se aveva ragione Armando Cossutta?