Appunti del Seminario di Marx XXI di Empoli

Sintesi relazione di Domenico Moro
 

empoli 170312Il recente calo dello spread del debito italiano è dovuto all’erogazione di liquidità da parte della BCE (Banca Centrale Europea), non all’azione di Mario Monti. Bisogna individuare i veri obiettivi strategici del governo, nascosti dietro la riduzione del debito e dello spread. L’obiettivo principale che ha portato alla nomina del governo Monti è la controriforma del mercato del lavoro, che nessun partito o coalizione sarebbe stato in grado di portare avanti. Il Governo Monti è un ottimo esempio per capire come stiano cambiando le istituzioni politiche e sociali europee.
 

Il quadro generale in cui ci muoviamo vede una disaffezione crescente dei lavoratori rispetto al sistema politico. In tutta Europa, e soprattutto in Italia, cresce l’astensionismo e calano le iscrizioni non solo ai partiti di sinistra ma anche ai sindacati, eccezion fatta per i paesi scandinavi, dove i sindacati controllano settori di welfare state.
 

Lo stato muta a seguito dei cambiamenti del modo di produzione capitalistico. E’ necessario capire le trasformazioni economiche per poter valutare appieno le modificazioni politico-istituzionali.

Quando si parla di imperialismo come “fase suprema” si deve intendere l’aggettivo “supremo” non come l’ultimo stadio di sviluppo in senso cronologico del capitalismo, ma come il livello superiore e dominante del modo di produzione capitalistico, quello monopolistico. L’imperialismo si contraddistingue per lo scontro a livello mondiale tra imprese, stati e superstati per il controllo della materie prime, e dei mercati di sbocco delle merci e del capitale. Anche l’imperialismo, come categoria, è mutevole. Pur mantenendo alcuni caratteri costanti, varia a seconda delle fasi storiche.
 

Giovanni Arrighi parla, per il periodo precedente alla Prima Guerra Mondiale, di capitalismo finanziario, dominato dall’alta finanza, che operava nell’investimento nelle colonie e nel debito pubblico. Successivamente arrivano le imprese giganti, sviluppatesi proprio grazie alle enormi commesse statali dovute alla Grande guerra: si parla di capitalismo monopolistico di stato, che si afferma specialmente nell’Italia fascista e nella Germania nazista. Giorgio Amendola parla, a proposito dell’Italia fascista, di integrazione tra capitale di stato e capitale monopolistico privato con dominanza della parte privata. Gli Usa anni ’20 presentano una situazione diversa: continuano ad esportare capitali, almeno fino al 1929, anno in cui, con la Grande Crisi, cambia tutto. Dopo il 1945 proprio gli Usa sviluppano la forma di capitalismo multinazionale, esportando ingenti quantità di capitali in Europa Occidentale attraverso l’ERP (European Recovery Program, conosciuto come Piano Marshall dal nome del Segretario di Stato che lo ideò). Sono i primi a dare avvio al sistema delle multinazionali. Il modello viene mutuato dall’Europa. Si crea, a questo punto, un conflitto di interesse tra stato nazionale e imprese multinazionali che investono all’estero, mantenendo i profitti all’estero (indebolimento della base produttiva e fiscale statale-nazionale). Si crea dunque una situazione intrecciata di debiti commerciali e debiti statali.
 

Inizia così la fase di transnazionalizzazione del capitale.
 

Il debito pubblico è cresciuto negli ultimi trent’anni a seguito del tentativo dello Stato di sostenere il capitalismo in crisi strutturale sia con sussidi, commesse e salvataggi, sia mediante la riduzione delle tasse per le imprese e i ricchi. Inoltre, è difficile finanziare oggi il debito pubblico perché c’è un debito commerciale, da collegarsi alla riduzione della base produttiva causata dalla transnazionalizzazione. Ad esempio, il Giappone, nonostante un debito pubblico al 220% del Pil, paga solo l’1% di interesse sui titoli a dieci anni, mentre l’Italia con un debito al 120% paga tra il 7,2% e ilo 4,8% (da dicembre a marzo) sui decennali. Questo perché il Giappone ha un grande surplus commerciale e di partite correnti (servizi, beni, e capitale) che permette la solvibilità del debito, l’Italia invece presenta un debito commerciale e soprattutto una bilancia negativa delle partite correnti.
 

La transnazionalizzazione, spostando la produzione all’estero, piega la resistenza della classe operaia. Inoltre, attraverso le controriforme del mercato del lavoro (introduzione della precarietà) e l’immissione di nuova forza-lavoro meno pagata (donne e immigrati) si è creato un aumento di domanda di lavoro in una situazione stagnante. Il risultato è una diminuzione del prezzo del lavoro (salario) ed una conseguente diminuzione dell’investimento di capitale fisso. Negli ultimi decenni si è, infatti, ridotta la quota di capitale fisso investito per addetto. La produttività del lavoro è aumentata (grazie ad una maggiore intensità e durata del lavoro), mentre è diminuita la produttività del capitale. Per questo è diminuita la produttività totale e di conseguenza la crescita del Pil, non certo perché c’era poca flessibilità o perché il costo del lavoro fosse troppo alto.
 

Marx sostiene che quando si verifica la caduta tendenziale del saggio di profitto i capitalisti possono fare alcune cose per rallentarla: aumentare i disoccupati (creazione di un esercito industriale di riserva), aumentate l’intensità del lavoro e lo sfruttamento dei lavoratori o esportare i capitali all’estero (dove il saggio di profitto è più alto).
 

Il baricentro della produzione manifatturiera mondiale si è spostato nei paesi periferici. Tale spostamento, e il sostegno all’accumulazione delle imprese private mediante il sostegno artificiale ai mercati (economia a credito, bolla immobiliare, crisi dei subprime) è la causa dell’esplosione del debito pubblico, che è debito privato (delle banche) trasformato in debito pubblico. I paesi centrali oggi soffrono di una crisi del debito che, negli anni ’90, era propria dei paesi periferici (America Latina, Asia sud orientale, Russia).
 

L’abolizione della Cassa integrazione (sostituita con un sussidio di disoccupazione) e le altre misure previste dalla controriforma del mercato del lavoro serve a slegare il lavoratore dall’azienda e a ricostituire l’esercito industriale di riserva, per tenere bassi i salari e aumentare i profitti. Oggi, secondo Arrighi, siamo in una fase nuova. Il potere sociale della classe operaia è notevolmente diminuito. La parte di movimento operaio che si rivolge alla socialdemocrazia beneficia del miglioramento delle condizioni operaie tra 1896 e 1980. Secondo Arrighi, in questo periodo i comunisti non riuscirono a sfondare più di tanto nei Paesi centrali (con parziali e momentanee eccezioni in Italia e Francia), perché qui si attuò solamente l’impoverimento relativo (aumento del divario tra salari e profitti) ipotizzato da Marx, non l’impoverimento assoluto. Non è un caso che i comunisti si affermarono maggiormente nella periferia dell’economia mondiale, dove permaneva l’impoverimento assoluto. Ma la situazione non è più questa. Il “Manifesto” di Marx e Engels potrà essere più attuale nei prossimi cinquant’anni di quanto lo sia stato negli ultimi cento.
 

Le controriforme del mercato del lavoro mirano ad aumentare il plusvalore, comprimendo il salario e rendendo la forza lavoro più modellabile secondo le esigenze del ciclo di accumulazione. In Italia la produttività è stata più alta negli anni ’70 per la maggior forza della classe operaia (Conseguente aumento di investimenti in capitale fisso). Quando, però, si ricrea la povertà di massa e viene meno l’opzione socialdemocratica, si affievolisce anche la lotta di classe “democratica”. E nelle situazioni di crisi, in nome della “salvezza nazionale”, il governo è affidato a rappresentanti della classe dominante in forma “pura”.
 

Lo stato è lo strumento del dominio della classe borghese sul proletariato ma è anche mediatore tra le varie classi sociali, anche tra capitale e lavoro salariato. Quest’ultima funzione di mediazione si è però venuta indebolendo negli ultimi venti anni ed è venuto accrescendosi il potere degli esecutivi sui parlamenti. Con Monti abbiamo l’affermazione dello stato di emergenza e di eccezione eretto a regola di funzionamento politico e istituzionale. Sospendere la democrazia per un governo puro del capitale. Il primo teorizzatore dello stato di eccezione e della dittatura di un “commissario” fu Carl Schmitt, già presidente dei giuristi nazisti.
 

Il ruolo svolta nell’ultimo anno da Napolitano fuoriesce dalle competenze e dai limiti previsti dalla Costituzione per il Capo dello Stato. Di fatto, si tratta di un ruolo fortemente esecutivo e decisionale, invece che di garanzia, come dovrebbe essere. Il governo Monti, infatti, può essere definito come “governo del presidente”. E’ necessario pensare ad una risposta di lungo periodo per aumentare il nostro consenso ed organizzare le masse, affinché non si allontanino dalla lotta politica e non si abbandonino all’astensionismo (la maggior parte di chi ci ha votato nel 2006 si è astenuto nel 2008 e ha continuato a farlo successivamente), alla xenofobia, o a formazioni demagogico-populiste. La realtà è profondamente cambiata e, per questo, è necessario modificare il nostro approccio. Bisogna tenere presenti i rapporti di forza ma nello stesso tempo non considerali immutabili e lavorare per modificarli a nostro favore, mediante un posizionamento politico adeguato alla nuova fase. Soprattutto bisogna lavorare per recuperare gli astensionisti.
 

Il capitalismo è storicamente superato, ma non lo è politicamente. Non è forte come vuol apparire, ha molti punti deboli e su questi va attaccato. La crisi non è inventata ma viene utilizzata per attaccare la classe operaia. E’ necessario unificare tutti i settori di classe (immigrati compresi) per una lotta comune.

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