Una nuova lotta per l’egemonia

di Alexander Höbel

 

Pubblichiamo, con l’autorizzazione dell’autore, l’intervento di Alexander Höbel, Coordinatore del Comitato Scientifico di Marx XXI, per la tribuna congressuale del PdCI | L’ARTICOLO ORIGINALE SUL SITO DEL PdCI

 

tessera congressoCi accingiamo a tenere questo congresso in quello che si presenta come un punto di svolta della nostra storia recente. La gravissima crisi economica in atto, che rimanda a una vera e propria crisi sistemica del capitalismo; la fine dell’ubriacatura neoliberistica degli anni scorsi, il venir meno della cieca fede nel mercato che ha animato la gran parte delle forze politiche e culturali dopo il 1989-91; in Italia la disgregazione del blocco sociale berlusconiano: questi e altri elementi segnalano che una fase nuova si sta aprendo.

 

Il paradosso di questa situazione, che apre spazi immensi all’iniziativa dei comunisti, è che mai come in questo momento ci troviamo in una condizione di difficoltà e di lontananza dai nostri stessi referenti sociali (sui quali peraltro occorrerebbe un’analisi attenta). È proprio in queste fasi, affermano giustamente le Tesi, che va messa in pratica “la capacità dei comunisti di indicare le soluzioni migliori alle grandi contraddizioni”, nel nostro paese e “su scala mondiale”. È giunta l’ora, cioè, non solo di ribadire la insostenibilità del capitalismo, il prevalere al suo interno delle tendenze distruttive, cosa che inizia a diventare senso comune; ma anche di rilanciare la nostra proposta alternativa e i passaggi intermedi per praticarla. E se è vero che sul piano internazionale “la formazione di poli pubblici produttivi, tecnologici e finanziari” inizia a creare un contesto nuovo, allora anche in Italia e in Europa è forse possibile riparlare di programmazione democratica dell’economia, nel quale un nuovo protagonismo degli Stati nell’economia (in termini di ampliamento della proprietà pubblica, ma anche di una presenza incisiva nel mercato finanziario) si affianchi a un nuovo controllo sociale sulla spesa pubblica e sulle amministrazioni locali (rendendo concreto il tema della “democrazia partecipata”), a forme di partecipazione popolare nella gestione dei servizi. È questa, peraltro, una strada a suo tempo percorsa dal PCI, che nell’intreccio tra ruolo dello Stato nell’economia e ampliamento della partecipazione di massa declinò quella democrazia progressiva che è ancora inscritta nella nostra Costituzione.

Certo, per fare questo, occorre avviare su scala continentale la battaglia proposta dalle Tesi “per restituire alla sovranità popolare tutti i poteri e le decisioni che in Europa sfuggono a ogni controllo democratico”, il che richiede un rilancio dell’internazionalismo e un maggiore coordinamento tra le forze comuniste. Ma dobbiamo agire anche su scala locale, qualificando la presenza dei comunisti nelle amministrazioni locali con forme di consultazione periodica dell’elettorato, di informazione reciproca tra eletti ed elettori, in modo da contribuire a ridurre quella distanza che oggi dà fiato all’“anti-politica”, domani magari a “governi tecnici”.

 

Bisogna però dare le gambe a questi progetti, e qui c’è il grande tema della ricostruzione del Partito comunista. In questo quadro penso che dovremmo far uscire dal nostro congresso anche delle indicazioni concrete. Bisogna cioè affrontare il problema del come fare politica oggi, in realtà lavorative frammentate dove lo sfruttamento è aumentato a dismisura, nella selva dei lavori precari senza orari e festività, in territori sempre più atomizzati, commercializzati e degradati. Su tutto questo occorre una riflessione, ma anche una formazione dei quadri, che andrebbe organizzata in modo capillare: una formazione concreta, che parta anche dal come costituire una cellula, promuovere una lotta, gestire un sito internet; che chiarisca a noi stessi come organizzare il coinvolgimento e la responsabilizzazione di tutti, come gestire le strutture del partito in modo collegiale, valorizzando tutte le energie.

Ma poiché il confronto si gioca anche sul terreno della battaglia delle idee, occorre un lavoro organizzato anche sul piano della formazione teorica e un rinnovato impegno dei comunisti sul terreno dell’elaborazione, della politica culturale, del dibattito pubblico, dei nuovi media; tutti terreni e strumenti di una nuova lotta per l’egemonia. Dobbiamo smetterla però di rincorrere il contingente, ridarci una elaborazione strategica su tempi medio-lunghi; e infine uscire dal chiuso della nostra cerchia, interloquire con gli altri e convincerli.

 

Credo che se faremo questo, se riusciremo a delineare e rilanciare una piattaforma alternativa, fondata sulla difesa del lavoro (superamento delle leggi sulla precarietà, tutela dei lavoratori intermittenti, nuovo stato sociale) e dell’ambiente, e su una proposta politico-economica generale (un nuovo modello di sviluppo), potremo affrontare nel modo migliore anche il problema delle alleanze. Potremmo scoprire cioè che sul piano sociale le nostre proposte sono popolari, rispondono a esigenze diffuse, alla necessità di un fronte vasto contro il grande capitale; potremmo scoprire che i comunisti possono tornare a fare egemonia. E affrontare con questa forza, con la nostra autonomia culturale e programmatica, il confronto con le altre forze politiche.