A 50 anni dai fatti di Praga del 21 agosto 1968

JosefSkalaUna intervista del Guardian a Josef Skala, leader dell’ala leninista del KSCM

English version

Josef Skala, esponente di primo piano del Partito comunista di Boemia e Moravia, ci invia il testo di una sua intervista al quotidiano londinese The Guardian, che ne ha pubblicato solo pochissimi estratti. Lo pubblichiamo volentieri come contributo ad una discussione assai problematica, che resta aperta nel movimento comunista internazionale.

Josef Skala, nato nel 1952 nella Cecoslovacchia socialista, laureatosi nel 1975 alla facoltà di giornalismo, autore di numerosi libri e saggi di carattere storico-politico, iscritto al Partito comunista cecoslovacco (KSC) dal 1970, membro della presidenza del Consiglio mondiale della pace, e presidente dell’Unione mondiale degli studenti negli anni 1987-1990, dopo la separazione della Cecoslovacchia in due Stati, è stato vice-presidente del Partito comunista di Boemia e Moravia (KSCM) negli anni 2009-2011 e 2016-2018.

Nel 9° congresso del KSCM (2016) è stato candidato alla leadership del partito dall’ala leninista del partito in alternativa al presidente uscente Vojtěch Filip (sostenitore di una linea più vicina alla Sinistra europea) . Quest’ultimo ha prevalso, nella votazione dei delegati, con 203 voti a 155. Skala è stato riconfermato vice-presidente.

Analogo scenario si è riproposto al 10° congresso (straordinario) dell’aprile 2018 che si è svolto dopo la batosta delle ultime elezioni parlamentari (2017), dove il partito è calato al 7,8%: un minimo storico rispetto ad una consistenza precedente che oscillava tra il 10-15% nelle elezioni politiche (con punte del 20% nelle regionali).

In questo congresso la candidatura Filip ha prevalso con un margine ancora più esiguo (165 a 143). Ma nonostante le perduranti divisioni interne e il clamoroso crollo elettorale del partito, la nuova presidenza Filip ha escluso ogni accordo unitario interno e Skala è stato escluso da ogni incarico di partito. La discussione continua.

Come vede gli eventi del 21 agosto 1968: come un’invasione o come una sconfitta della controrivoluzione che era essenziale in quel momento?

L’obiettivo chiave era di natura militare, per controbilanciare l’aumento del potenziale militare della NATO a Ovest dal nostro territorio. Mosca ha ripetutamente chiesto a Praga di consentire una presenza militare sovietica in Cecoslovacchia fin dall’inizio degli anni ’60. Antonin Novotny, allora presidente della Cecoslovacchia e primo segretario del partito, resistette alla richiesta e spiegò prima a Chrushchev e poi a Brezhnev che una tale presenza avrebbe vanificato il capitale politico accumulato grazie alla nostra liberazione da parte dell’Armata Rossa nel 1945. La sostituzione di Novotny con Dubcek fu voluta da Mosca. Novotny, al contrario, fu sacrificato come “capro-espiatorio”.

Quando a Gorbachev fu chiesto da un giornalista nel 1988, che cosa c’era di diverso tra lui e Dubcek, egli rispose: “Solo quei vent’anni di mezzo”. La primavera di Praga avrebbe dunque potuto condurre, alla fine, a un disastro simile a quello della “perestrojka”? Chi può dare oggi una risposta netta, che non sia condizionata dai propri desideri? La Cecoslovacchia, il paese più industrialmente avanzato del blocco orientale – e quasi l’unico con una tradizione democratica liberale (anche se solo nei due decenni prima della seconda guerra mondiale) – stava affrontando le sfide di un’ulteriore modernizzazione ed in modo più acuto rispetto alla maggior parte dei suoi alleati. Tale cambiamento, di forma e di sostanza, sia politico che economico, richiedeva tuttavia uno scenario e un potere sufficientemente forti da evitare sbocchi non voluti. Quando a Zdeněk Mlynář – forse il più istruito “uomo della Primavera di Praga” (e compagno di scuola di Gorbachev all’Università Statale di Mosca all’inizio degli anni ’50) – fu chiesto, dopo il suo ritorno in Cecoslovacchia negli anni ’90, se il Partito e la leadership statale nel 1968 sarebbero stati in grado di impedire la restaurazione del capitalismo, egli rispose più volte: “non lo so”.

Il 21 agosto 1968 appartiene alla fase di un mondo bipolare, quando il potere militare veniva usato per promuovere gli interessi di entrambi i poli. Per la morte di 71 persone connessa all’invasione degli eserciti del Patto di Varsavia, un cordoglio sincero è stato espresso più volte negli anni successivi. La maggior parte di loro morì a causa di incidenti e non di atrocità intenzionali. 

Durante l’aggressione degli Stati Uniti in Indocina, nello stesso periodo, un tale numero di vittime si era avuto ogni due ore per un intero decennio. La maggior parte di queste persone è stata uccisa intenzionalmente, con incursioni aeree a tappeto col napalm, con l’Agent Orange. A My Lai vi furono quasi 500 vittime in una volta sola. E le persone morte nell’ultima risposta israeliana alla resistenza palestinese sono due volte più numerose dei caduti dell’agosto1968 in Cecoslovacchia. L’aggressione degli Stati Uniti e di altri paesi della NATO per i “cambiamenti di regime” hanno ucciso milioni di esseri umani solo nel XXI secolo. Avete mai sentito una sola parola di scuse?

Pensa che i comunisti abbiano qualcosa di cui vergognarsi o di cui chiedere scusa per quel periodo?

Prima di tutto per due incapacità dimostrate: promuovere politiche di modernizzazione, sapendo prevenire l’esito del 21 agosto; e al tempo stesso saper guidare il Paese in modo da evitare il ripristino del capitalismo.

Il movimento di Dubcek (“socialismo dal volto umano”) ha dato origine alla Primavera di Praga come uno sviluppo positivo o, al contrario, come credevano molti leader di partito dei paesi alleati, è stato un’eresia pericolosa che ha messo in pericolo il sistema?

Il suo programma, come ho già sottolineato, era legittimo. Chi lancia, però, un simile cambiamento dovrebbe essere in grado di mantenere l’iniziativa politica, bloccando i tentativi di ripristinare il sistema dell’ingiustizia sociale. Date un’occhiata ai media occidentali “mainstream” dell’estate 1968. Non sono forse pieni di speranze di poter raggiungere nel mio paese gli obbiettivi che non erano raggiungibili tramite le pressioni militari, il blocco economico e le manovre infide della guerra fredda contro il socialismo? Perché non trovate un atteggiamento simile in relazione alle riforme promosse da Kadar in Ungheria o dalla leadership della DDR del periodo di Walter Ulbricht?

Come valuta lei Dubcek: un sognatore ingenuo o un traditore di classe della causa e degli ideali del partito?

Tra i leader della Primavera di Praga c’erano senza dubbio anche persone capaci e istruite. Il potere decisivo, tuttavia, era nelle mani di chi non corrispondeva alle esigenze fondamentali della causa socialista. Alcuni giorni fa è stata pubblicata un’intervista a un colonnello in pensione dell’esercito, appartenente alle migliori strutture militari nel 1968, che è stato licenziato un anno dopo. Insisteva, in tale nell’intervista, sul fatto che per quasi tutti i membri del Partito e della leadership statuale, l’invasione del 21 agosto non fu una sorpresa, ma un’opzione di cui erano già a conoscenza; mentre Dubcek rappresentava un’ingenua eccezione. 

Come dobbiamo valutare dei leader politici pronti a proseguire fino provocare determinati sbocchi? E cioè alimentare speranze in milioni di persone e poi bruciarle causando enormi frustrazioni? Se il leader di quella fase fosse stato un vero statista – un uomo ad esempio come Gustav Husak – avrebbe gestito sia le riforme che le relazioni con gli alleati di Mosca e del Patto di Varsavia in un certo modo, evitando l’invasione militare.

Ma Dubcek e il suo entourage meritavano l’umiliazione di essere arrestati con le armi in pugno, imbarcati su un aereo militare e condotti con la forza a Mosca?

L’estate del 1968 ha prodotto una reazione a catena, che ha causato – al socialismo e ad altre forze anti-capitaliste – un inferno di guai e di perdite politiche. Un giovane ceco ucciso da un giovane autista sovietico di un camion o di un carro armato che non era riuscito a frenare in tempo, è per me una tragedia molto più grande del “martirio” di Dubcek e del suo “entourage” nelle ville del governo di Mosca. Dei veri statisti avrebbero preso la necessaria iniziativa almeno in quel momento; o si sarebbero dimessi chiedendo scusa. La maggior parte dei leader della primavera di Praga invece stavano, in un certo senso, giocando a fare i “martiri”, illudendo il popolo anche nei mesi successivi.

Dubcek (e molti altri) vennero in seguito espulsi dal partito. È stato giusto? E il trattamento di Dubcek – prima inviato come ambasciatore in Turchia e poi ridotto a funzionario forestale (cosa di cui si lamentava) – fu giusto?

Forse che Dubcek difese migliaia di membri del suo stesso partito, che subirono una vera e propria “caccia alle streghe” fin dall’inizio della primavera del 1968? Forse che egli espresse pubblicamente il suo dolore per i suicidi a cui tale pressione condusse alcuni di loro? I drammi e le perdite personali hanno avuto due fasi. Le purghe dalla metà del 1969 furono la seconda e non la prima fase. La lezione chiave consiste in quello che ho discusso amichevolmente anche con alcuni di coloro che più tardi firmarono l’appello di Charta 77, coi quali facciamo parte ora di un comune “dissenso” di fronte alle aggressioni militari degli Stati Uniti e della NATO, che fabbricano “immagini nemiche” e altre manovre infide del Partito di Guerra. Le persone la cui attività politica non ricerca carriere e denaro ad ogni costo, non devono permettere che i loro scontri politici raggiungano quella reciproca ostilità come avvenne nel 1968 o nel 1989. Ogni volta che ciò accade, entrambi i poli vengono facilmente sconfitti dai “pragmatici”, che si preoccupano solo dei loro benefici personali. Proprio tali “personaggi” giocarono un ruolo importante in entrambe le purghe che segnarono la primavera di Praga. Molti sono riusciti a trarre vantaggio sia dalle prime che dalle seconde epurazioni. E queste furono le implicazioni più disgustose che si manifestarono.

Ha qualche particolare ricordo personale degli eventi che circondarono l’invasione e di quello che fece allora? (Mi rendo conto che all’epoca lei era molto giovane).

La primavera di Praga è iniziata durante il mio primo anno della scuola secondaria. La lezione chiave, che mi ha arricchito, è stata quella di giudicare le persone sulla base delle loro azioni, e non di parole altisonanti. Molto spesso esse conducono a risultati piuttosto tristi, anche durante i successivi sviluppi della nostra storia. La cosa che più mi rende felice e che ogni volta che ci incontriamo con i compagni di classe del liceo manteniamo una sincera amicizia e il rispetto genuino delle diverse visioni del mondo di ognuno di noi, che ci era ben chiaro già 50 anni fa.

Qual è il suo messaggio ai cechi di oggi sull’invasione e sul controverso periodo di “normalizzazione” che l’ha seguita? Come dovrebbero considerarli?

La storia è interpretata dai vincitori: così recita un detto famoso. Chi tra loro si è astenuto da un approccio personalistico, subordinato ai propri obbiettivi? “La “riscrittura della storia”, tuttavia, non ha mai raggiunto la portata e le forme che vediamo in questa fase, che cerca di ingannarci con la divertente retorica sulla “Fine della Storia”. L’impero austroungarico, che oppresse la nostra libertà per tre secoli, è colpevole della morte di centinaia di migliaia di cechi. In quale “libro di testo comunista” troverete la sua demonizzazione come “criminale” e “assassino di massa”? I 40 anni del nostro periodo socialista sono stati calpestati con un vocabolario isterico, che perdura anche tre decenni dopo che lasciammo la scena in modo pacifico e civile.

Noi comunisti siamo l’unica forza politica influente capace di rivedere in modo autocritico tutti questi elementi della nostra storia, ma non abbiamo motivo per non essere orgogliosi. Potete trovare anche solo l’uno per cento di una tale onesta auto-riflessione da parte dei conservatori, dei liberali, dei clericali o dei socialisti “riformatori”? Chi tra loro è in grado di scusarsi per i fiumi di sangue innocente ed i disastri umanitari causati dalle loro politiche più o meno recenti?

Chi si sente abbastanza forte, in termini di sostegno popolare, non dovrebbe perderebbe tempo e sforzi demonizzando il sistema precedente. Oggi, tuttavia, i “voti di protesta” hanno ripetutamente vinto le elezioni. Questa è la ragione principale degli orrori in cui si è convertito il dopoguerra della nostra storia. Il capitalismo restaurato ha reintrodotto tensioni esistenziali e patologie sociali che erano state completamente sradicate già durante i primi decenni di trasformazione socialista. Il periodo compreso tra la seconda metà degli anni ’40 e la fine degli anni ’80 è stato l’epoca di maggior successo della nostra storia, in termini di crescita economica ed emancipazione sociale, di sviluppo sovrano del nostro potere economico e del suo ruolo indipendente sui mercati internazionali, con la produzione, la vendita e il rimpatrio di un alto valore aggiunto da parte delle mani e dei cervelli cechi e la sua distribuzione per i benefici di tutta la nostra popolazione. Ciò può essere dimostrato da fatti concreti e dati statistici, che la politica attuale e i mezzi di comunicazione tengono sotto una vile censura . Il PIL ceco della fine degli anni ’80 è stato nuovamente raggiunto solo intorno al 2003. Il consumo annuo di carne pro-capite è ancora di 20 kg inferiore rispetto a prima del Big Bang di “velluto”. Quanti fatti analoghi lei sarebbe disposto a trasmettere al pubblico britannico?

Tornando al 1968 e ai vent’anni successivi, due conclusioni sono più che evidenti. Se la primavera di Praga fosse stata guidata da statisti che avessero rispettato alcuni requisiti oggettivi, il socialismo sarebbe diventato ancora più forte, e non solo in Cecoslovacchia. Quanto meno essi sono stati dei veri statisti, tanto più l’intero pacchetto di cambiamenti e di modernizzazione è stato rallentato se non addirittura bloccato. Se Andropov avesse avuto una salute che gli avesse permesso di guidare il PCUS e l’URSS per almeno un decennio – o se fosse stato ad esempio Romanov, e non Gorbachev, il cui turno arrivò a metà degli anni ’80 – l’idea del “post-comunismo” sarebbe rimasta la prova di una ridicola malattia mentale. Noi, cechi, non saremmo stati messi in ginocchio come una colonia straniera, ma avremmo vissuto in un paese più ricco e più giusto. Il Grande Fratello e i suoi satelliti non avrebbero osato attaccare la Jugoslavia e tutti i successivi obiettivi con le agitazioni “post-comuniste”. L’Europa non si troverebbe ad affrontare lo tsunami migratorio e l’esplosione del terrorismo. E chi avesse osato esprimere l’attuale mantra dominante del darwinismo sociale, sarebbe stato messo a tacere e isolato dalle “élite politiche” delle stesse potenze occidentali. Ciò, tra l’altro, avrebbe impedito anche il ritorno ad una grande recessione. Oggi il secondo e ancor più distruttivo turno del “post-comunismo” rappresenta una drammatica realtà.

A mezzo secolo di distanza, il comunismo ha ancora un futuro nella Repubblica ceca, e al di là di essa?

“Il “post-comunismo” è un campione di tutte le illusioni politiche registrate in tutta la storia dell’umanità. L’elenco dei problemi che il capitalismo si dimostra incapace di risolvere è in rapida crescita. Ci muoviamo verso un crocevia di civiltà senza precedenti. Le sue sfide chiave hanno una soluzione praticabile, civile e sostenibile solo oltre l’orizzonte del sistema di sfruttamento del lavoro di una maggioranza sempre più ampia della comunità globale. È per questo che le forze che muovono verso un futuro migliore, vengono calunniate e inebriate da concetti che mirano al loro disarmo e alla loro conversione in “utili idioti”. Resistere a questa pressione e rigenerare il nostro potenziale di emancipazione è un obiettivo, meritevole di tutti gli sforzi e dell’inventiva di chi non è disposto a rinunciare. 

Ci troviamo di nuovo di fronte a una frenetica “corsa contro il tempo”. Dopo le amare lezioni del passato non ci si deve arrendere ai personaggi la cui mente e la cui etica non corrispondono ai bisogni più acuti.