La crisi del capitalismo, l’offensiva imperialista e la lotta dei popoli

pcp bandiera closeupdi Ângelo Alves, Commissione Politica del Partito Comunista Portoghese (PCP)

da “O Militante”, rivista teorica del Partito Comunista Portoghese, n° 356 settembre-ottobre 2018

Traduzione di Mauro Gemma per Marx21.it

Ovunque ci volgiamo nello studio della situazione internazionale, lo scenario si presenta di grande instabilità, incertezza, profusione di conflitti e vari pericoli.

I popoli devono affrontare enormi sfide nella lotta per i loro diritti e aspirazioni. Nel contesto dell’approfondimento della crisi strutturale del capitalismo, la lotta per la trasformazione si svolge in un mondo in rapida evoluzione, in condizioni molto complesse e difficili, ma rivela anche reali possibilità di resistenza e persino di progresso.

In un contesto in cui gli eventi si svolgono con un ritmo estremamente rapido e in cui le relazioni internazionali, in particolare tra gli stati, assumono geometrie variabili, a volte contraddittorie e sempre più complesse, è fondamentale, nell’analisi dei comunisti, utilizzare gli “strumenti” teorici a nostra disposizione, individuare le tendenze e chiarire quali sono la realtà concreta esistente e le prospettive di sviluppo.

Il punto di partenza è, necessariamente, l’analisi dell’attuale stadio di sviluppo del sistema dominante: il capitalismo; dell’insieme dei rapporti di produzione, economici, sociali e politici che sotto il suo dominio si sviluppano; e delle contraddizioni associate allo sviluppo del capitalismo nella sua fase imperialista.

Gli eventi confermano la persistenza di vari elementi di approfondimento della crisi strutturale del capitalismo: lo sfondo su cui si sviluppano le varie tendenze dell’evoluzione mondiale.

L’accentuazione di tutte le contraddizioni insite nella natura sfruttatrice, aggressiva, predatoria e opprimente del capitalismo è incessante. Le diseguaglianze sociali, l’accumulazione di capitali e lo sviluppo iniquo del capitalismo si approfondiscono. Il mondo è guidato da vari processi di riaggregazione delle forze, sia all’interno che all’esterno del campo imperialista. L’offensiva dell’imperialismo assume contorni sempre più violenti e criminali. Le contraddizioni nel sistema delle istituzioni internazionali che assicurano il dominio imperialista riflettono l’instabilità del sistema e l’approfondimento delle rivalità inter-imperialiste.

La base materiale – la questione economica

La questione economica continua a determinare molti dei grandi eventi che segnano lo sviluppo della situazione internazionale.

Dopo quasi dieci anni di un picco molto pronunciato della crisi economica e finanziaria del capitalismo, l’ideologia dominante insiste, fino ai limiti delle possibilità, sull’idea della “ripresa” e del ritorno alla “normalità”, specialmente nei principali centri imperialisti.

Ma dietro la cortina ideologica che sostiene questa “analisi”, la realtà è diversa. È già molto difficile nascondere che i tassi di crescita economica negli Stati Uniti e in alcune delle principali economie europee hanno avuto origine da fattori ciclici come il forte calo del prezzo del petrolio che ora sembra essere in fase di ripresa o le massiccie iniezioni di capitale nel sistema finanziario, come è evidente negli Stati Uniti ed è ancora evidente nell’Unione europea, dove la BCE continuerà fino ad ottobre ad acquistare 30 miliardi di euro di attivi al mese, e di 15 miliardi al mese fino alla fine dell’anno, data annunciata (e il futuro dirà se verrà confermata) per la fine del programma di acquisto del debito.

Allo stesso tempo, per vari motivi, la situazione economica nel 2008 è cambiata in modo significativo. Ci sono cambiamenti significativi nella divisione internazionale del lavoro, con relativa perdita di peso delle principali potenze imperialiste. Le relazioni commerciali stanno attraversando una trasformazione molto profonda, con profondi riflessi a vari livelli, soprattutto nel sistema monetario internazionale, con il predominio del dollaro sempre più in discussione.

Contemporaneamente, la situazione sociale continua a deteriorarsi. C’è un’accentuazione delle disuguaglianze, che si manifesta nel fatto che l’1% della popolazione mondiale possiede attualmente l’80% della ricchezza. A livello globale, negli ultimi otto anni, la ricchezza dei miliardari è cresciuta in media del 13% all’anno, mentre in termini reali i salari sono rimasti stagnanti o hanno perso potere d’acquisto.

Si accentuano gravissimi problemi demografici e sociali. L’impoverimento relativo è una realtà non solo determinata dalla perdita di peso del reddito da lavoro, ma dall’aumento dell’orario di lavoro, dall’esplosione della precarietà e dal cosiddetto “lavoro non formale”. Ad esempio, secondo uno studio Gallup basato sui dati dell’OIL, circa il 33% della forza lavoro mondiale è disoccupato o in una situazione lavorativa che può essere considerata come disoccupazione. Solo questo fattore, considerato separatamente, sarebbe, insieme alla crescente concentrazione di capitale e al livello di finanziarizzazione dell’economia, un elemento che ci porterebbe a concludere che siano possibili nuovi episodi di crisi di sovrapproduzione.

Ma c’è molto di più. Il modo in cui le principali potenze capitaliste hanno tentato di affrontare la crisi economica e finanziaria del 2008 – massiccia iniezione di capitali nel sistema finanziario, massiccia accumulazione e centralizzazione del capitale, stimoli fiscali ai grandi capitali, tassi di interesse storicamente bassi – rappresenta in un contesto di sfruttamento e disuguaglianze una vera e propria bomba ad orologeria di fattori di volatilità e di nuove bolle finanziarie in vari settori che possono portare a nuovi e più violenti picchi di crisi.

È stato il FMI stesso a procedere a luglio a revisioni al ribasso nella crescita di quasi tutte le principali economie mondiali e a parlare di un’espansione economica meno bilanciata, fragile e minacciata. Allo stesso modo, la Commissione europea, nelle sue proiezioni estive a medio termine, ha rivisto al ribesso la crescita economica in 18 dei 27 paesi dell’Unione Europea (a volte in forte calo, come nel caso delle economie tedesca, francese e italiana).

Il fatto che la BCE abbia mantenuto la politica degli “stimoli finanziari” e dei tassi a interesse zero immutati per anni, e che economie come quella tedesca abbiano registrato un’evoluzione negativa della produzione industriale, dimostra la reale gravità della situazione ed è plausibile l’ipotesi avanzata da alcuni economisti che l’economia dell’Unione europea si stia incamminando verso un nuovo crollo, che potrebbe iniziare a manifestarsi a partire dal 2019 o dal 2020, dopo le elezioni europee e quando cominceranno a farsi sentire gli effetti della fine annunciata degli insostenibili programmi di iniezione finanziaria della BCE.

Analogamente, il “ciclo di crescita” dell’economia statunitense, sostenuto da un vasto insieme di “stimoli” interni (di cui gli stimoli fiscali di Trump sono l’ultima modalità) e di indebitamento esterno, è già stato messo in discussione, e si ipotizza che l’economia statunitense – che mantiene un livello gigantesco di indebitamento – potrebbe entrare in recessione nel 2020. Questo fatto, unito ai fattori derivanti dalle crescenti tensioni nelle relazioni commerciali degli Stati Uniti, alla perdita di peso del dollaro come valuta di riserva internazionale e alla persistenza di problemi sociali e disuguaglianze molto gravi in quel paese, rappresenta una combinazione esplosiva per l’economia della più grande potenza imperialista del mondo.

La combinazione di queste prospettive con il fatto che il debito globale (aziende private, finanziarie e non finanziarie e stati) ha raggiunto un record di $ 247 miliardi nel primo trimestre del 2018, circa il 318% del PIL mondiale (nel 2008 era stato di $ 177 miliardi), e con il grado ancora maggiore di finanziarizzazione dell’economia derivante dalle misure di iniezione finanziaria e risultante dall’inflazione di bolle speculative, dice molto sui pericoli che gravano sull’economia mondiale e in particolare sulle economie della triade, che sono assediate dal maggiore e persistente dinamismo economico e commerciale delle cosiddette economie emergenti.

Un grande e complesso processo di riaggregazione delle forze

È in questo quadro di incessante approfondimento delle contraddizioni, che oggettivamente mette in discussione la “stabilità” del sistema capitalista, che si sviluppa un grande e complesso processo di riaggregazione delle forze a livello internazionale. La realtà economica, l’evoluzione della divisione internazionale del lavoro e delle relazioni commerciali, hanno un forte impatto sulle relazioni tra Stati, istituzioni internazionali e nello sviluppo di importanti questioni geostrategiche.

Spiccano due fattori centrali: il relativo declino delle principali potenze imperialiste – nonostante il mantenimento di un forte dominio economico e ideologico e nelle istituzioni internazionali – e il peso crescente delle grandi economie e dei paesi nelle relazioni internazionali, come la Repubblica Popolare di Cina. Questo paese, che avrà un’importanza crescente nelle relazioni internazionali nel suo complesso, e non solo nelle relazioni commerciali, si trova in una nuova fase del suo potente sviluppo, sia economico, tecnologico, della formazione dei quadri, nella risoluzione delle principali questioni sociali e nelle relazioni internazionali.

La Cina, che potrebbe presto diventare la più grande economia del mondo, è fortemente impegnata nello sviluppo di vasti progetti sul piano dei rapporti economici, politici e strategici. È il caso del nuovo progetto Nuova Via della Seta- un progetto ambizioso che si estende dalla Cina all’Europa occidentale – o della Organizzazione della Cooperazione di Shanghai, che coinvolge una vasta gamma di paesi, in primo luogo in Eurasia e nell’Estremo Oriente, dove le relazioni con la Federazione Russa assumono un carattere strategico, nel continente africano, in particolare con i suoi grandi paesi come il Sud Africa o l’Angola, e, seppure su un livello diverso, con l’America Latina e persino con alcuni paesi Paesi europei.

In un contesto di grande interdipendenza economica tra le economie cinese e statunitense, gli Stati Uniti tentano, in vari modi, e sfruttando la propria supremazia in vari campi di contrastare la tendenza di fondo al loro relativo declino e all’affermazione delle cosiddette “economie emergenti”. Questo è la ragione principale dell’attuale politica dell’amministrazione Trump, erroneamente chiamata “protezionistica” perché mira soprattutto a mantenere il dominio sulle altre economie. Una delle sue manifestazione è, insieme all’offensiva militarista, lo sviluppo della guerra commerciale che ha come principale obiettivo la Cina, e alcuni dei paesi con cui la Cina sviluppa relazioni e cooperazione economica.

Le offensive contro paesi come l’Iran e il Venezuela, il colpo di stato in Brasile e una serie di manovre nel continente asiatico sono inseparabili da questa realtà, così come la crescente tensione con la Federazione russa che la recente riunione Putin-Trump non ha eliminato .

Inoltre, data l’ampiezza di questo confronto, che afferma – e indipendentemente dalle peculiarità del processo cinese – relazioni economiche, strategiche e diplomatiche diverse e persino opposte, gli Stati Uniti cercano a tutti i costi, anche con il ricatto economico, di trascinare i loro alleati in una sorta di fronte unito contro la Cina che difenda gli interessi degli Stati Uniti.

È in questo quadro che vanno comprese le dispute commerciali tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea, e più recentemente con la Turchia, in una complessa evoluzione del binomio conflitto / rivalità inter-imperialista, in cui l’elemento della rivalità aumenta di peso, come è stato chiaramente visibile nei problemi e nei disaccordi al vertice del G7 lo scorso giugno in Canada, ma mentre ancora si sta svolgendo la concertazione, sia in ambito militare (come dimostrato dal Vertice della NATO dello scorso giugno), sia, in modo contraddittorio, nella continuazione di accordi di libero scambio come quello che l’Unione Europea si prepara a firmare con il Giappone.

E ‘significativo che, in coincidenza con le reali contraddizioni nel G7 lo scorso giugno, l’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai, riunita in Cina quasi nelle stesse date, sia stata estesa a India e Pakistan, diventando così la più grande organizzazione di cooperazione regionale di tutto il mondo. Organizzazione che nel suo recente vertice, e nonostante le riserve dell’India, ha concluso accordi importanti in settori quali il commercio, lo sviluppo e la sicurezza, tra gli altri, e ha avuto come paese osservatore, l’Iran.

Come il PCP ha dichiarato nel suo ventesimo Congresso, questo processo di riaggregazione delle forze è estremamente complesso, presenta aspetti che mettono in opposizione le principali potenze imperialiste e una serie di paesi che oggettivamente mettono in discussione la dominazione egemonica dell’imperialismo, ma ha anche manifestazioni nei grandi paesi capitalisti, come nel caso della Federazione Russa, o anche tra potenze imperialiste. Il risultato che ne conseguirà sarà determinato in gran parte della lotta dei lavoratori e dei popoli, e, naturalmente, dal percorso che i vari processi assumeranno.

L’offensiva aggressiva dell’imperialismo

È in questo contesto che l’imperialismo tenta, con ogni mezzo, di contrastare le tendenze fondamentali che abbiamo descritto. Parallelamente alla guerra economica, le principali potenze imperialiste, in particolare gli Stati Uniti, cercano di usare la loro schiacciante supremazia militare, il dominio delle reti mondiali dei “social media” e le istituzioni internazionali che continuano a controllare per mantenere il loro dominio.

Allo stesso modo, anche l’Unione Europea reagisce come un blocco. In uno scenario di chiare contraddizioni e di crisi del processo di integrazione, l’asse franco-tedesco rimane impegnato ad approfondire, da un lato, la centralizzazione e la concentrazione del potere economico e politico e, dall’altro, con grande rapidità, a sviluppare e centralizzare la componente militarista e interventista dell’UE.

L’approfondimento del militarismo e della guerra costituisce ora uno degli elementi principali della strategia imperialista, che presenta grandi pericoli per tutta l’umanità. L’offensiva, che si estende quasi all’intero globo, è diretta contro tutti i popoli e i paesi che difendono e affermano i loro diritti, sovranità, sviluppo e indipendenza, e in particolare contro tutti coloro che rappresentano ostacoli al dominio egemonico dell’imperialismo e ai tentativi delle maggiori potenze di cercare, attraverso tale dominio, di “risolvere” i gravissimi problemi economici che, come abbiamo visto, persistono.

L’offensiva è globale. Ma se c’è una regione in cui ciò è particolarmente visibile, questa è il Medio Oriente, regione chiave per le questioni energetiche, strategiche e la proiezione del dominio economico e politico.

La questione siriana è una delle questioni chiave che si gioca in uno scacchiere molto complesso. Le importanti vittorie militari dell’esercito siriano non hanno significato la fine della strategia di divisione della Siria, né delle aggressioni imperialiste e sioniste a quel paese. Le azioni di aggressione diretta degli Stati Uniti e di Israele contro la Siria e il loro sfacciato appoggio alle organizzazioni e ai gruppi terroristici nel paese hanno cercato, e continuano a cercare, di prolungare il conflitto e impedire la stabilizzazione della Siria e della regione. E inoltre: mirano a cercare di recuperare il terreno perduto e a impedire con ogni mezzo possibile il ruolo della Federazione Russa e dell’Iran in questa stabilizzazione. La Turchia, una potenza regionale, cerca, in un doppio gioco, di guadagnare posizioni e affermarsi nella regione.

Stati Uniti, Israele e le dittature del Golfo, con il sostegno più o meno esplicito dell’Unione Europea, stanno perseguendo varie azioni di destabilizzazione e di guerra in tutta la regione del Medio Oriente. La moltiplicazione delle provocazioni contro l’Iran: dirette e indirette; il tentativo in corso di creare una “NATO del Medio Oriente”; l’intensificazione dell’aggressione saudita contro lo Yemen, i tentativi di destabilizzare il Libano; l’abbandono dell’accordo nucleare con l’Iran e le sanzioni statunitensi contro di essa sono alcuni degli elementi di una strategia che include anche la provocazione statunitense del trasferimento della sua ambasciata a Gerusalemme e l’intera ondata di aggressione e repressione israeliana contro il popolo palestinese, in particolare contro la striscia di Gaza, con una sempre più inquietante minimizzazione della barbarie israeliana in Palestina, con il complice silenzio da parte dell’ONU.

Le recenti decisioni statunitensi di “stringere il cappio” attorno all’Iran aumentano in proporzione diretta con il susseguirsi delle sconfitte militari e politiche, sia in Siria che in Iraq, e anche nel Libano. La strategia, a cui Israele dà una voce amplificata, è quella della provocazione quasi totale. Le conseguenze possono essere devastanti. L’Iran potrebbe, in un contesto di maggiori difficoltà, essere spinta a qualche reazione, i cui sviluppi sono già enfaticamente indicati, in particolare con la minaccia della chiusura dello Stretto di Hormuz, un punto strategico di commercio e trasporto di petrolio.

Un altro vettore dell’offensiva imperialista è il cosiddetto “assedio della Russia”, nel quale gli Stati Uniti e l’Unione Europea convergono all’interno della NATO. La concentrazione di enormi mezzi e risorse militari della NATO nell’Europa orientale, il colpo di Stato in Ucraina e la sua trasformazione, in pratica, in un altro membro della NATO, e i progetti di espansione dell’organizzazione nei Balcani e in Georgia, insieme con le “partnership” nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, in un accerchiamento sempre più serrato ed esplosivo.

Questo è il disegno del vertice della NATO tenutosi lo scorso luglio. È stato un vertice in cui sono stati fatti tentativi per attenuare le contraddizioni, che ha avuto come obiettivi principali l’ulteriore aumento delle spese militari, l’approfondimento della militarizzazione dell’UE come “pilastro europeo” della NATO, successivamente confermato dal Consiglio europeo, e il già ditato rafforzamento della presenza militare della NATO nell’Europa dell’Est, in una linea di provocazione verso est che presenta grandi pericoli.

Il militarismo e la guerra si estendono anche all’Estremo Oriente, dove gli Stati Uniti continuano a concentrare forze e mezzi militari e a cercare di mantenere posizioni mirate al dominio del Pacifico e all’assedio geostrategico della Cina.

È in questo quadro che si devono leggere gli sviluppi nella penisola coreana. L’allentamento della tensione nella prima metà dell’anno è stato positiva. Ma sarebbe ingenuo pensare che gli obiettivi strategici dell’imperialismo per la regione vengano abbandonati. Di fronte a sviluppi positivi, in particolare nel rapporto tra le due Coree, e nel ruolo della Cina nella difesa del processo di pace, la realtà e le pressioni che nel frattempo sono riprese dimostrano che possono essere messe da parte le ipotesi che li Stati Uniti, attraverso provocazioni e manipolazioni, impongano battute d’arresto e attuino nuove manipolazioni per giustificare azioni di interferenza, ricatti e persino aggressioni contro la Repubblica Popolare Democratica di Corea.

Il carattere reazionario del potere politico

Accanto all’accentuazione del carattere violento dell’offensiva imperialista, si registra, un po’ in tutto il mondo, un’accentuazione del carattere reazionario del potere politico, con un crescente ricorso all’estrema destra e al fascismo, e contemporaneamente con il tentativo di distruzione e svuotamento del diritto internazionale.

Questo è evidente negli Stati Uniti, con l’amministrazione Trump. È anche palese in Europa, come dimostrano il contenuto politico delle decisioni delle istituzioni dell’Unione Europea e i processi elettorali. È ancora più visibile in America Latina, dove l’estrema destra gioca un ruolo centrale nell’offensiva imperialista contro paesi come Brasile e Venezuela, tra gli altri.

Molto è stato detto sull’estrema destra a proposito dei flussi migratori. Ma è proprio la politica dell’imperialismo all’origine di questi movimenti, ed è proprio il modo in cui il potere politico dominante affronta la questione della migrazione che, insieme allo sfruttamento e alle crescenti disuguaglianze nei paesi capitalisti sviluppati, costituisce uno dei fattori di crescita delle forze di estrema destra e fasciste.

Inoltre, come dimostra la realtà nei principali centri imperialisti, è dai centri di potere che si compiono passi gravissimi nell’istituzionalizzazione dell’agenda e delle politiche dell’estrema destra, basti prestare attenzione alle politiche dell’amministrazione americana, o alle decisioni, ad esempio , dell’ultimo Consiglio europeo.

E in questa materia è importante sottolineare qualcosa di fondamentale. L’estrema destra e il fascismo non sono correnti al di fuori delle dinamiche del sistema capitalista. Sono, al contrario, un altro elemento del binomio evoluzione/reazione del sistema capitalista nel contesto della sua profonda crisi. Proprio come negli Stati Uniti la politica di Trump non mette in discussione ma, al contrario, cerca di preservare e difendere gli interessi del grande capitale e di mantenere il dominio imperialista, anche in Europa è molto evidente oggi che l’estrema destra non si oppone ai pilastri dell’Unione Europea. Al contrario, le sue azioni e posizioni sono usate come una sorta di schermo per andare oltre e giustificare l’approfondimento della natura reazionaria delle politiche dell’UE.

La lotta dei popoli, fattore determinante

La situazione internazionale è estremamente complessa. In questo quadro molto impegnativo, è necessario sottolineare e valorizzare la capacità di resistenza e di lotta dei lavoratori, dei popoli e degli stati bersaglio di interferenze e aggressioni. Lotte che, pur essendo al di sotto di quanto sia necessario e richiesto, svolgono un ruolo decisivo, influenzando il processo in corso di riorganizzazione delle forze e di contenimento dell’offensiva imperialista.

È quindi importante valorizzare la capacità di resistenza dei lavoratori e dei popoli in tutto il mondo. Nel Medio Oriente, dove è doveroso citare la lunga ed eroica lotta del popolo palestinese, questa capacità è stata determinante per sbarrare il passo dell’imperialismo, come risulta evidente nell’evoluzione della situazione siriana.

Allo stesso modo, e in condizioni molto difficili, continua la resistenza dei popoli dell’America Latina, dove si accentua l’offensiva imperialista e del grande capitale in diversi paesi di cui gli esempi più recenti sono l’arresto di Lula e l’offensiva violenta dello sfruttamento neoliberista in corso in quel paese; le continue manovre e sabotaggi contro il Venezuela, ora anche attraverso il terrorismo; il tentativo dell’imperialismo e della destra in Colombia di distruggere il processo di pace e annientare le forze progressiste e rivoluzionarie colombiane, e i recenti eventi in Nicaragua.

In questo contesto, è necessario valorizzare tutte le vittorie che dimostrano nella pratica l’esistenza di reali potenzialità, come quelle registrate in Venezuela nelle elezioni presidenziali, o anche il modo come Cuba socialista prosegue, in condizioni di enorme difficoltà, lo storico processo rivoluzionario della costruzione del socialismo, mentre resiste al blocco degli Stati Uniti e alle pesanti conseguenze economiche dell’offensiva imperialista in Brasile e Venezuela.

La questione della lotta dei lavoratori e dei popoli è decisiva in questa situazione di grande instabilità. Spetta alle forze rivoluzionarie e progressiste sapere identificare in qualsiasi momento il nemico principale, essere in grado di costruire le più ampie alleanze, in particolare in difesa della pace, contro lo sfruttamento e contro i crescenti attacchi ai diritti democratici e ai più elementari diritti umani.

Rafforzare il legame con le masse, avere una maggiore capacità organizzativa e di intervento, articolare la lotta per l’obiettivo della costruzione dell’alternativa di fondo a un capitalismo sempre più pericoloso con la lotta per obiettivi intermedi e per i diritti dei lavoratori e dei popoli, è insieme al rafforzamento del fronte antimperialista, il grande compito dei comunisti e delle altre forze rivoluzionarie.