Quale patria per il ribelle? Parte V

Pubblichiamo la quinta parte del lavoro di Giambattista Cadoppi

Patriottismo, sovranità nazionale, adattamento nazionale del marxismo e alleanze

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La rigenerazione della patria nei marxisti

La sinistra post sessantotto si è vocata al nichilismo nazionale ma questa tendenza non sembra sia così attestata nel pensiero marxista come si suppone. Nel 1954 Piotr Fedosséiev, uno studioso sovietico del patriottismo, in un testo che ha larga diffusione anche fuori dall’Unione Sovietica, afferma:

«Per secoli, gli uomini hanno vissuto in patrie che si sono formate nel corso della storia e nei limiti delle quali si realizza il loro progresso sociale e culturale. Quindi il patriottismo è diventato uno dei sentimenti umani più profondi, solidi e potenti. Il patriottismo non è una qualità innata e biologica degli uomini: è un sentimento sociale determinato dalla storia, dell’amore per la patria, la sensazione che l’uomo si manifesti al servizio degli interessi della sua patria. Ogni popolo ha interesse per lo sviluppo sociale e culturale della propria terra – cioè, nello sviluppo dell’ambiente in cui vive e lavora; ogni popolo ha determinati interessi comuni, legati alla difesa della madrepatria, della lingua e della cultura, contro ogni prepotenza dei conquistatori stranieri».

Come si è arrivati a questa esaltazione del patriottismo in un movimento che per principio è internazionalista?

Lenin scrive nel 1914: «Il senso d’orgoglio nazionale è qualcosa di alieno per noi, proletari coscienti della Grande Russia [1]? Certamente no! Noi amiamo la nostra lingua e il nostro paese, è noi stiamo facendo del nostro meglio per far innalzare le sue masse che lavorano duramente (ovvero i nove decimi della sua popolazione) a un livello di coscienza democratica e socialista. Per noi è assai più penoso vedere e percepire le violenze, l’oppressione e le umiliazioni che il nostro amato paese soffre per mano dei macellai dello zar, i nobili e i capitalisti. Noi prendiamo orgoglio della resistenza a queste violenze che è scaturita dalle nostre file, dai Grandi-Russi; in quelle file essendo stati prodotti i Radishchev [2], i Decabristi [3] e i rivoluzionari comunardi degli anni settanta [4]; la classe operaia Grande-Russa che ha creato, nel 1905, un potente partito rivoluzionario di massa; e i contadini Grandi-Russi che hanno iniziato a volgersi verso la democrazia per accingersi a rovesciare il clero e i proprietari terrieri» [5].

Lenin, lo faranno in seguito anche Stalin e Mao, si ritiene l’erede di una tradizione rivoluzionaria e progressista russa come del resto Marx metteva assieme, superandolo, tutto il pensiero progressista e rivoluzionario precedente. Lenin, come già Marx ed Engels, vede la rivoluzione come uno strumento di rigenerazione patriottica con espliciti richiami al prototipo giacobino. La rivoluzione proletaria è anche una forza di rigenerazione patriottica. Lenin e Stalin hanno ereditato questa preoccupazione come parte del loro orientamento socialista. Per Lenin, la rivoluzione russa serve non solo alla classe operaia, ma anche per rinvigorire la Russia, per renderla forte economicamente e militarmente. Lenin nel 1916 osserva che se la guerra imperialista fosse finita “con vittorie di tipo napoleonico e con la soggezione di tutta una serie di Stati nazionali capaci di vita autonoma […], allora sarebbe possibile in Europa una grande guerra nazionale!”. Scrive inoltre che occorre puntare sempre sul patriottismo rivoluzionario e ai miracoli del coraggio militare dei francesi negli anni 1792-93. Sull’esempio della Francia, la Russia è in grado di difendersi, per realizzare “miracoli” dell’eroismo di massa. I patrioti marxisti spazzeranno via tutto ciò che è vecchio con la spietatezza “giacobina” per rinnovare la Russia. Il paese rinascerà economicamente, camminando insieme ai paesi avanzati e superandoli anche economicamente, oppure precipiterà (Van Ree). Francois Furet osserva come nell’immaginario collettivo, la rivoluzione bolscevica sia la continuazione della Rivoluzione francese.

Prima della guerra il fondatore del bolscevismo approva l’apparizione in Cina del Kuomintang fondato nel 1909 da Sun Yat-sen. Si tratta di un partito anti-imperialista, repubblicano e a base sociale contadina, che egli include nei movimenti di “democrazia rivoluzionaria” assimilandolo ai populisti russi da cui è nato il Partito socialista-rivoluzionario. Lenin considera quest’ultimo un potenziale alleato dei socialdemocratici nella lotta contro lo zarismo, nell’instaurazione della repubblica, per la riforma agraria e la promulgazione di una legislazione sociale. Lenin, molto attento alle alleanze di classe, chiama questa fase “dittatura democratica degli operai e dei contadini” [6]. Negli anni seguenti e durante la prima guerra mondiale, si diffonde un nazionalismo sciovinista anche nell’elettorato socialista degli stati europei avanzati. Contro questo sciovinismo regressivo si leva la condanna di Lenin.

Il patriottismo, la questione nazionale e il movimento di liberazione nazionale sono stati la vera cifra del movimento comunista e rivoluzionario nel XX secolo. Addirittura l’Opposizione Operaia alla Pace di Brest è fatta in nome del “patriottismo rosso”. La Rivoluzione d’Ottobre diventa immediatamente una lotta di liberazione nazionale dopo l’invasione da parte di numerosi paesi (tra cui l’Italia) a sostegno dei controrivoluzionari “bianchi” [7]. Bisogna ricordarsi che verso la fine della guerra civile l’URSS è addirittura invasa dalla Polonia, che il Giappone se ne va dalla Siberia solo nel 1926 e che dal 1932 al 1939 aggredisce per ben tre volte l’URSS, approfittando delle condizioni di debolezza da cui è uscita dalla guerra civile.

Già durante la guerra civile la budënovka diventa il tratto distintivo dell’Armata Rossa degli Operai e dei Contadini e in particolare della Prima Armata di Cavalleria (la famosa Konarmija: “Armata a cavallo”) di Semën Budënnyj, Kliment Voroschilov e Stalin. La budënovka (da Budënnyj) si rifà al tradizionale copricapo dei bogatyr (originariamente bogatyrka) i leggendari combattenti della tradizione slava. L’immagine che si vuol dare è quella dei “bogatyr rossi” che combattono il sistema russo vecchio e corrotto e l’invasore straniero come aveva fatto il più grande tra i bogatyr, Ilja Muromec.

Lenin scrive, contro i comunisti di sinistra occidentali che ironizzano sulla “difesa della patria” nella Russia sovietica, che «riconoscere la difesa della patria significa riconoscere che una guerra è giusta o ingiusta. Noi siamo difensori della patria dal 25 ottobre del 1917. E’ precisamente per rinforzare il legame con il proletariato internazionale che noi siamo per la difesa della patria socialista. La guerra per difendere il socialismo è legittima e “sacra”». Per non parlare di Trotsky che scrive: «Allorquando il potere è nelle mani dei lavoratori, il patriottismo diviene un dovere rivoluzionario». È lo stesso Trotsky a parlare ancora negli anni Trenta, di un «nuovo patriottismo sovietico», un sentimento «certamente molto profondo, sincero e dinamico».

Il riconoscimento dell’eredità di Vissarion Belinskii [8] e Vladimir Stasov [9] in Unione Sovietica nei primi anni Trenta segna un momento importante in quanto la democrazia rivoluzionaria russa è vicina al “patriottismo” e “anti-cosmopolitismo” di Rousseau e dei Giacobini. Indirettamente, attraverso Lenin e i democratici rivoluzionari, Stalin ha assorbito la nozione giacobine del patriottismo rivoluzionario, l’idea che la patria si libera attraverso il cambiamento rivoluzionario. Stalin condivide l’apprezzamento di Lenin per i giacobini. Condivide la definizione di quest’ultimo del socialdemocratico [10] rivoluzionario come di un giacobino proletario (Van Ree).

Riassumendo, molti elementi del patriottismo stalinista, spesso considerati come la prova di un “tradimento” della tradizione marxista, in effetti, sono rimasti all’interno di quella tradizione che è spesso ignorata nella sua complessità. Per i marxisti vedere la rivoluzione come uno strumento per salvare la patria dal degrado è abbastanza comune come abbiamo visto sia in Marx che in Lenin.

L’analisi delle nazioni come entità scaturite dal funzionamento del capitalismo ha reso i marxisti -dagli austriaci a Lenin – sensibili al fenomeno della cultura e del carattere nazionale. L’idea che le nazioni non scompaiano con l’avvento del socialismo, ma che siano entità culturali abbastanza stabili da sopravvivere nell’era socialista, non è neppure un’invenzione staliniana. Il concetto è stato introdotto dai più illustri teorici socialdemocratici della questione nazionale, gli austro-marxisti. Stalin, anzi, nei suoi primi articoli cerca, in un certo senso, di minimizzare la componente culturalistica.

In tutta Europa si affermano gli stati-nazione durante l’Ottocento. Il movimento marxista è invece particolarmente forte in due stati multinazionali — gli imperi austroungarico e russo. Non è un caso che la questione nazionale nel marxismo abbia i maggiori teorici- Otto Bauer e Karl Renner e dall’altra Stalin e Lenin- in Austria e Russia. In tale contesto, la questione nazionale riguardava i problemi posti dall’esistenza di minoranze nazionali consistenti in questi imperi e in quello ottomano, come del resto la situazione di popoli colonizzati o oppressi, di cui sono esempio in Europa gli irlandesi.

Se Marx e di Engels parlano solo in modo accidentale della questione nazionale, tocca ai loro eredi sviluppare l’argomento. Il diritto piuttosto vago all’autodeterminazione nazionale può valere per le nazionalità dominanti in un determinato territorio (ad esempio i georgiani nell’Impero Russo), ma è chiaramente inadeguato nel caso di gruppi che non siano in netta maggioranza (ad esempio gli ebrei), oppure i cui appartenenti siano disseminati in territori e stati diversi. È questo il caso delle numerose nazionalità presenti nell’impero austroungarico. Il Bund, la maggiore organizzazione socialista degli ebrei europei adotta, in occasione del IV Congresso nel 1901, una posizione di piena autonomia nazionale, indipendentemente dal territorio occupato. Sono gli esponenti del Partito socialdemocratico austriaco, i cosiddetti “austromarxisti” Otto Bauer e Karl Renner, a fornire una fondazione teorica esaustiva per tale posizione in cui fanno rientrare sia il concetto di classe che quello di nazione. Lungi dall’eliminare le differenze nazionali, i progressi avviati dal capitalismo sarebbero continuati sotto il socialismo, portando persino i gruppi nazionali più piccoli a comprendere le differenze reciproche e a identificarsi maggiormente con le proprie lingue e culture. Questo discorso ribalta quello di Engels sulle piccole minoranze destinate a soccombere e dileguarsi.

La soluzione proposta dagli austro-marxisti prevede la creazione di un sistema di autonomia personale di tipo nazional-culturale, nel quale strutture statali centralizzate coesistono con un sistema rappresentativo non territoriale che può provvedere alle esigenze di istruzione e di cultura degli appartenenti a una nazione determinata, indipendentemente dal luogo di residenza. Nel breve periodo, ciò significa la possibilità dei partiti socialisti di riorganizzarsi su base nazionale, come, in effetti, avviene nel Partito socialdemocratico austriaco dal 1897.

Al di fuori dell’impero austroungarico, il Bund è il più potente sostenitore di questo messaggio; ma anche partiti basati su altre minoranze, nell’impero russo come altrove, adottarono posizioni simili, il che ha la sua importanza nell’elaborazione delle politiche delle nazionalità in Russia dopo il 1917. Secondo altri (tra cui Lenin), invece, la posizione austro-marxista costituisce una profonda distorsione del pensiero marxista sulla questione nazionale, che rischia di dividere la classe operaia e indebolire il movimento rivoluzionario.

NOTE

1 Per grande Russia si intende la Russia propriamente detta, distinta dalla Piccola Russia o Ucraina.

2 Radishchev, A. N. (1749-1802), scrittore e rivoluzionario russo. Nel suo lavoro Un viaggio da San Pietroburgo a Mosca, egli lancia il primo pubblico attacco contro la schiavitù in Russia. Per ordine di Caterina è condannato a morte, ma la pena è poi commutata in dieci anni d’esilio in Siberia. Ritornato dall’esilio grazie ad un’amnistia, si toglie la vita quando si profila una nuova persecuzione. Lenin considera Radishchev un insigne rappresentante del popolo russo.

3 Decabristi, nobiluomini rivoluzionari russi che nel dicembre 1825 si rivoltarono contro l’autocrazia e il sistema della servitù della gleba.

4 Comunardi (raznoehintsi in Russo), intellettuali russi, facenti parte della piccola borghesia cittadina, del clero, delle classi mercantili e contadine.

5 Sull’orgoglio nazionale dei Grandi-Russi (1914)

6 Fino all’attentato della Fanja Kaplan contro Lenin, i bolscevichi costituiscono un governo di coalizione con i social-rivoluzionari di sinistra.

7 Generalmente si indica la fine della guerra civile con la presa di Vladivostock nell’ottobre del 1922.

8 Vissarion Grigor’evič Belinskii, critico letterario e fliosofo. Seguace della Sinistra hegleiana e teorico dell’estetica rivoluzionaria fondata sul realismo.

9 Critico d’arte e critico musicale russo di idee progressite e sostenitore di un’arte con radici nazionali.

10 Il partito bolscevico mantiene il nome di Partito Operaio Socialdemocratico Russo fino al VII congresso, nel marzo 1918, quando lo cambia in Partito Comunista Pan-Russo.