La fabbrica del falso

1. Retorica antica e menzogne moderne
Questa rivista ha denunciato più volte la sistematica opera di
deformazione della realtà posta in essere in modo sempre più
smaccato dallinformazione ufficiale.
Tra tutti i metodi utilizzati per distorcere e addomesticare la
verità, ce nè uno oggi particolarmente in voga. Possiamo
definirlo il metodo della sineddoche indebita. La sineddoche è
una figura retorica ben nota già ai maestri di eloquenza
dellantichità. Nella sua variante più usata, essa consiste
nelladoperare la parte di una cosa per designare la cosa nella
sua interezza (pars pro toto). Così, nellespressione accolse
sotto il suo tetto, il termine tetto indica la casa nel suo
insieme. Si tratta di un modo di esprimersi che può essere
letterariamente efficace, e che comunque nel caso specifico non
è improprio: infatti il tetto è una parte essenziale della
casa.
Spostiamoci adesso dal mondo delle belle lettere e passiamo a
quello della cattiva informazione. È qui che ci imbattiamo
nella sineddoche indebita. Che consiste nel trascegliere,
allinterno di un fenomeno complesso, un elemento irrilevante (e
comunque non caratterizzante) ed utilizzarlo quale elemento
qualificante per descrivere e definire quel fenomeno. Sembra
una cosa un po astrusa, invece è concretissima. È il metodo che
la stampa italiana, nella sua quasi totalità, ha adoperato a
proposito di almeno tre diverse recenti manifestazioni di
protesta.
2. La realtà inventata: 3 episodi significativi
Primo episodio. Manifestazione del 20 marzo 2004: 1 milione di
persone in piazza a Roma contro la guerra in una grande
manifestazione pacifica. Al termine della manifestazione, un
piccolo gruppo di manifestanti (10 persone? 20 persone?)
inveisce contro il segretario dei DS Fassino, colpevole ai loro
occhi (e a dire il vero anche ai nostri) di aver aderito due
giorni prima ad una pagliaccesca manifestazione unitaria contro
il terrorismo assieme agli Schifani e ai Cicchitto
manifestazione non a caso andata completamente deserta. La
Quercia, dopo qualche esitazione iniziale, decide di cavalcare
la vicenda. Il risultato è visibile sui quotidiani di domenica
21, e soprattutto (a causa appunto dellesitazione) su quelli di
lunedì 22 marzo. Emblematica la Repubblica del 22 marzo: tutti,
ma proprio tutti, gli articoli dedicati alla manifestazione si
limitano a chiosare-commentare-condannare la contestazione a
Fassino.
Secondo episodio. Venerdì 4 giugno 2004, in una Roma
spettralmente blindata, si svolge la visita di Bush jr. Altra
manifestazione contro la guerra, questa volta esplicitamente
sabotata da gran parte del centro sinistra (eccetto
Rifondazione, PdCI e Verdi). In questo caso il casus belli è
rappresentato dallo slogan dieci, cento, mille Nassiriya che a
quanto afferma Mario Reggio sulla Repubblica viene scandito un
paio di volte nei pressi della Piramide Cestia, proprio
allinizio del corteo, da un gruppetto di imbecilli (o peggio),
stranamente non più rintracciabili durante il corteo.
Ovviamente tutti i quotidiani inclusa la Repubblica dedicano
allepisodio la maggior parte dello spazio dedicato alla
manifestazione, con relativi titoli scandalizzati.
Terzo episodio. Sabato 18 febbraio 2006. Manifestazione per la
creazione di uno Stato palestinese. La manifestazione,
organizzata dal Forum Palestina, viene sostenuta da molte
associazioni e dai sindacati di base, ma boicottata da quasi
tutto il centrosinistra: soltanto il PdCI aderisce come
partito; vi sono poi alcuni parlamentari dei Verdi, e una
rappresentanza delle minoranze di Rifondazione. La segreteria
di questultimo partito boicotta attivamente la manifestazione,
facendo ritirare ladesione anche a gruppi e singoli che in un
primo momento avevano aderito: così ad esempio Alì Rashid e
Luisa Morgantini scoprono allimprovviso di non aver sulle prime
letto bene il manifesto di convocazione della manifestazione, e
di trovarsi in disaccordo con esso. Disaccordo ben strano, se
si pensa che la manifestazione propone nientemeno che il
rispetto delle risoluzioni dellONU sullo Stato di Palestina con
capitale a Gerusalemme Est e sulla necessità che gli israeliani
si ritirino dai Territori occupati nel 1967. Comunque sia, la
manifestazione si svolge normalmente, e si conclude con diversi
interventi interessanti. In essi viene tra laltro rivendicata
limportanza della resistenza nei confronti degli aggressori e
degli occupanti, in Palestina come in Irak. Uno degli
organizzatori ricorda dal palco come il termine di resistenza
non dovrebbe destare scandalo in un Paese come il nostro, che
sino a prova contraria è una Repubblica sia fondata sulla
Resistenza. Niente di tutto questo finisce sui TG e sui
giornali del giorno dopo (uniche eccezioni: TG3 e Liberazione).
Ci finiscono invece 4 o 5 idioti che, sul finire della
manifestazione, danno fuoco a una bandiera Usa e a una banidera
israeliana e inneggiano a Nassiriya (evidentemente, repetita
iuvant). Tra i titoli più garbati quello di Repubblica: Al rogo
le bandiere di Israele e USA; sottotitolo: Un gruppuscolo, che
inneggia a Nassiriya, irrompe al corteo pro Palestina. Ecco
fatto: episodi assolutamente marginali, talmente marginali che
la gran parte dei manifestanti ne ha appreso lesistenza
soltanto dai mezzi di (dis)informazione, diventano la notizia.
Che oltretutto viene riportata incompletamente: ossia evitando
accuratamente di aggiungere che gli autori delle bravate di cui
sopra (un tempo si definivano provocazioni) sono stati
allontanati in malo modo dalla manifestazione. Da questa
non-notizia che diventa titolo sono ovviamente sorte le solite
polemiche mediatico-politiche (ormai è impossibile separare i
due termini: la società dello spettacolo ha letteralmente
inghiottito la politica politicante). Con fiumi di inchiostro
indignato versato da politologi, opinionisti e politici. Tutta
gente che quindi come Max Stirner ha fondato la sua causa sul
nulla (ma, a differenza di Stirner, senza esserne consapevole).
3. Qualche motivo di riflessione
Gli esempi citati sopra ci offrono diversi motivi di
riflessione. Proviamo a metterli in fila.
1) Sempre più spesso accade che la realtà non sia nientaltro
che la rifrazione della sua immagine sui media. Detto in altri
termini: la costruzione della realtà operata dalla informazione
ormai sostituisce la realtà stessa. In concreto, per i lettori
dei giornali del 19 febbraio, ad eccezione di coloro che vi
avevano partecipato, la manifestazione del 18 febbraio è stata
una manifestazione in cui roghi rituali di bandiere si
alternavano a slogan pro-Nassiriya. Punto e basta. La realtà è
la sua rappresentazione. E nei casi di cui ci siamo occupati,
questo meccanismo ha determinato un completo capovolgimento
della realtà e della verità dei fatti.
2) Chi prenda in esame le tre manifestazioni citate può
facilmente accorgersi di un fatto incontrovertibile: la portata
del sostegno partitico-istituzionale alle manifestazioni sulle
guerre del Medio Oriente nel corso del tempo si è drasticamente
ridotta. Prima hanno cominciato a sfilarsi Ds e Margherita, poi
i Verdi e la maggioranza di Rifondazione. Ovviamente, questo
ridursi della solidarietà istituzionale non è estraneo
allampiezza dei cori giornalistici (non è un caso che uno dei
peggiori articoli sulla manifestazione del 18 febbraio si sia
potuto leggere sul manifesto, a firma di Sara Menafra). Ma
perché il sostegno politico-istituzionale si riduce? La
risposta prevalente nei commenti politici e giornalistici è: la
colpa è di chi manifesta. Le parole dordine devono essere
ragionevoli, non bisogna parlare di resistenza ma di terrorismo
(Fassino e Rutelli), alla guerra bisogna rispondere con la
non-violenza (Bertinotti e Pecoraro Scanio), bisogna valutare
il rapporto delle forze (Rossanda), ecc. ecc. ecc. Ma le cose
stanno veramente così?
3) No. Il discorso va in qualche modo rovesciato. Il problema
non è che le manifestazioni siano irragionevoli. Il problema è
che il concetto di ragionevolezza fatto proprio
dallestablishment si è progressivamente ampliato a spese della
ragione (e del buon senso). Oggi è estremismo dire che le
risoluzioni ONU sulla Palestina vanno rispettate; è estremismo
dire che Bush e Blair sono criminali di guerra (lo sono in
senso letterale: secondo il Tribunale di Norimberga il massimo
crimine è rappresentato dalla guerra di aggressione); è
estremismo dire che in Irak non è stata esportata alcuna
democrazia, ma disgregazione statuale e guerra civile
permanente; è estremismo dire che le armi di distruzione di
massa gli Usa in Irak non soltanto non ce le hanno trovate, ma
le hanno portate e le hanno usate (Falluja docet). Perché
accade questo?
4) Rispondere a questa domanda non è semplice. Una cosa però è
certa: non è la prima volta che il concetto di ragione vede
drasticamente limitati i suoi diritti e il suo stesso
significato. Pensiamo soltanto, per restare a quanto accaduto
nel Novecento, alle ondate ricorrenti di nazionalismo,
sciovinismo e razzismo, che hanno preceduto e accompagnato i
massacri coloniali prima, la grande carneficina della prima
guerra mondiale poi, e infine fascismo e nazismo. È il capitale
che, per avere più libertà di movimento, ha bisogno di mettere
la ragione agli arresti domiciliari. Tornando ai nostri anni, è
evidente il piano inclinato su cui sta scivolando da almeno un
quindicennio la tanto mitizzata civiltà occidentale (concetto
ideologico per eccellenza, che ha tra laltro il vantaggio di
cancellare la realtà dei conflitti interimperialistici). Guarda
caso, è proprio con la sconfitta del Nemico per antonomasia, il
comunismo sovietico, che hanno ripreso a correre scatenati i
cani della guerra: prima Irak 1, poi Bosnia, poi Kosovo, poi
Irak 2; e presto sarà il turno dellIran. Questo sul piano
internazionale. Contemporaneamente si sono colpiti e si
colpiscono in ogni Paese i diritti dei lavoratori e il salario
nelle sue diverse forme (diretto, indiretto, differito).
Allestero come allinterno, trionfa insomma la ragione del più
forte. È a questa ragione che si piega la ragionevolezza degli
imperialisti rosé di casa nostra, dei gandhiani dellultimora,
dei fautori di una Realpolitik che significa – sempre più
spesso e sempre più chiaramente piegarsi semplicemente e senza
batter ciglio al diritto delle armi, alla logica della
violenza, della sopraffazione e della morte. In una parola:
alla logica della guerra.
4. Restituire le parole alle cose
È essenziale avere la consapevolezza della posta in gioco. È
essenziale capire che a questa deriva, costi quello che costi,
non bisogna piegarsi. La ragione dimezzata, la ragionevolezza
dei però e dei tuttosommato è da sempre la migliore alleata del
dominio e della sua barbarie. E allora bisogna resistere. Si
può farlo in diversi modi.
In primo luogo, chiamando le cose con il loro nome. Qui il
motto potrebbe essere: la tautologia è rivoluzionaria. Qualche
esempio. Un muro è un muro, soprattutto se è alto 8 metri e
lungo 730 km: non è un recinto di protezione. Non è un recinto
perché è un muro; e non è di protezione perché anziché essere
costruito sui confini (già illegali) del 1967 confisca il 43%
dei residui territori palestinesi. Un criminale di guerra è un
criminale di guerra: non è uno statista e tantomeno un uomo di
pace. Chi resiste a unoccupazione militare straniera è un
resistente e non un terrorista. Una bugia è una bugia e non un
errore. Le torture sono torture e non abusi. E così via.
In secondo luogo, denunciando e combattendo i cliché dominanti.
Che non sono semplici parole, ma schemi di pensiero. E che, in
quanto tali, sono più insidiosi e pervasivi delle singole
menzogne e dello stravolgimento di singoli fatti. Questi cliché
hanno contribuito alla scarsa incisività del cosiddetto
movimento no-war dopo lo scoppio della guerra, anche nei
confronti di eventi di estrema gravità quali le torture di Abu
Ghraib e luso del fosforo bianco a Falluja. I cliché pesso
esistono in due versioni: quella hard (quella urlata dai Pera e
dai Ferrara, tanto per capirsi) e quella soft (quella dei
pen[s]osi leader del centro-sinistra: Rutelli e Fassino, tanto
per non far nomi). Le due versioni vanno combattute con la
medesima energia. Anche qui, qualche esempio:
Cliché n. 1: LOccidente è portatore di una civiltà superiore
– Versione hard: È quella contenuta nei testi della Fallaci e
nei discorsi di Calderoli.
– Versione soft: LOccidente è superiore in quanto non è
integralista ed è tollerante. Ovviamente, rispetto a tale dato
di fondo è del tutto irrilevante il fatto che negli ultimi anni
eserciti e armi dellOccidente abbiano ammazzato decine di
migliaia di civili in Afghanistan e in Irak.
Cliché n. 2: LOccidente è portatore di un sistema politico
superiore (democrazia).
Si tratta di una variante del cliché precedente. È di
importanza fondamentale nel dispositivo del discorso ideologico
contemporaneo. LOccidente è portatore della democrazia e nemico
delle dittature e dei totalitarismi.
Questo cliché ha consentito a Blair addirittura di fare un uso
apologetico della scoperta delle torture praticate in Irak dai
soldati inglesi: La differenza tra democrazia e tirannia non è
che in una democrazia non accadono cose brutte, ma che quando
accadono se ne chiede conto ai responsabili. In sintesi: se le
porcherie che facciamo non vengono scoperte, il nostro è un
sistema politico superiore perché non cè nulla che dimostri il
contrario; se vengono scoperte, il fatto stesso che vengano
scoperte dimostra che il nostro è un sistema politico
superiore. Lo schema può essere variato allinfinito: così, si
può argomentare che la scoperta delle menzogne di guerra
dimostra la buona fede degli Usa e la trasparenza del sistema
ecc.
Da questo luogo comune discende poi il
Cliché n. 3: è legittimo (ed anzi opportuno e necessario)
esportare la democrazia.
Se si accetta questo presupposto si è indotti ad accettarne
molti altri. Qualche esempio, applicato alla guerra irachena:
Cliché n. 4. La resistenza irachena è terrorismo (o comunque un
fenomeno tribale pre-moderno).
Cliché n. 5. In Irak il problema è il terrorismo e non
linvasione angloamericana (e italiana).
Per avere unidea di come questultimo cliché possa orientare
linformazione, si può prendere un articolo uscito su la
Repubblica del 27 gennaio 2005, alla vigilia delle elezioni in
Irak. È di Bernardo Valli, ed è abbastanza equilibrato. Nel
testo larticolista si chiede tra laltro: è possibile esprimersi
in un paese in stato dassedio, occupato da truppe di una
superpotenza straniera e di trenta potenze minori, da ausiliari
armati come in un Far West mediorientale? In un paese
minacciato da una guerriglia disperata e spietata?. Questo
ragionamento nellocchiello diventa: resta la questione: è
possibile esprimersi liberamente in un paese assediato?.
Linformazione viene selezionata sulla base del cliché secondo
cui il problema è il terrorismo, ed il gioco è fatto: gli
invasori sono spariti, e i resistenti sono diventati
assedianti.
Va notato che sul presupposto della legittimità di esportare la
democrazia è stata costruita una volta venute meno quelle
originarie una giustificazione posticcia dellinvasione
dellIrak: che sarebbe avvenuta, appunto, allo scopo di
esportare la democrazia. È assai singolare che buona parte del
centrosinistra italiano si sia bevuta questa ennesima menzogna,
perdipiù a scoppio ritardato: il tema dellexport della
democrazia infatti non era neppure tra le (false) motivazioni a
suo tempo addotte per aggredire lIrak. In ogni caso, chiunque
conosca la storia del colonialismo non avrà difficoltà a
rinvenire i precedenti di questa giustificazione.
Ma in terzo luogo, oltre a combattere i cliché dominanti,
bisognerà offrire uninterpretazione alternativa degli eventi.
Rifiutando i cliché sia nella versione hard che in quella soft
e contrapponendo ad essi unaltra interpretazione generale di
ciò che è avvenuto. Così, linvasione dellIrak non è né una
tappa della guerra contro il terrorismo, né un errore. Cosè,
allora? Harold Pinter lha definita così: un atto di banditismo,
di puro terrorismo di stato, che dimostra un disprezzo assoluto
per il concetto stesso di legge internazionale. Linvasione è
stata unazione militare arbitraria che si è nutrita di bugie su
bugie e di una volgare manipolazione dei media e quindi
dellopinione pubblica; un atto che aveva lobiettivo di
consolidare il controllo militare ed economico degli Usa sul
Medio Oriente, camuffandolo una volta manifestatesi infondate
tutte le altre giustificazioni da liberazione. Un formidabile
dispiegamento di forza militare che ha la responsabilità della
morte e della mutilazione di migliaia e migliaia di persone
innocenti. Abbiamo portato tortura, cluster bombs, uranio
impoverito, innumerevoli atti di assassinio indiscriminato,
miseria, degradazione e morte al popolo iracheno e labbiamo
chiamato portare libertà e democrazia al Medio Oriente.
Sono parole tratte dal discorso pronunciato dal drammaturgo
britannico per il conferimento del Nobel, il 7 dicembre dello
scorso anno. Sfortunatamente, nessun giornale italiano ha
ritenuto opportuno riproporle ai suoi lettori.

* l’articolo pubblicato è uscito sul nr.113 della rivista La
Contraddizione