Per un’analisi del rapporto tra reti sociali-informatiche e coscienza

di Francesco Valeriodella Croce per Marx21.it

mondovirtualeI più “profetici” commentatori spingono a considerare seriamente un lento ma inesorabile avanzamento del mondo virtuale tendente alla sovrapposizione con quello reale. Ma cosa vuol dire esattamente “sovrapposizione”? E, soprattutto, cosa si intende per “mondo virtuale” e “reale”? Sono interrogativi fondamentali: non si tratta di disputare del sesso degli angeli o di un esercizio ozioso e iperuranico. Alla luce delle forme nuove del relazionarsi umano, del comunicare, dell’informare e dell’informarsi per i comunisti non è certo aspetto secondario inserirsi in queste nuove dinamiche.

Un rigoroso metodo materialista non può sviare chi s’interroghi su tale questione dal considerare il parallelismo emergente tra nuovi metodi di comunicazione virtuale e contesto storico: il ventennio scorso è stato il periodo storico del neoliberismo rampante ed imperante, della globalizzazione dei mercati e delle economie. Queste nuove e più articolate dinamiche economiche hanno direttamente creato necessità nuove: una comunicazione più rapida, utile a tessere relazioni a distanze considerevoli, persino la necessità di aggiornare gli stessi strumenti tradizionali su cui si fondano scambi commerciali e con cui si alimenta il mercato (pensiamo, ad esempio, all’ampio utilizzo di contratti stipulati a distanza, attraverso l’impiego di tecnologie informatiche nuove come la firma digitale).

D’altro canto, nemmeno la cosiddetta economia reale è rimasta immune da questa “smaterializzazione”: più volte, l’analisi marxista, oramai ampiamente accettata, con colpevole ritardo, anche da altri ambiti del pensiero progressista, keynesiano e socialdemocratico, ha disvelato la mole gigantesca d’economia finanziaria (una quantità ormai superiore al 350% del PIL reale mondiale) formatasi nel corso degli anni. Si tratta del segno di una natura sempre più invasiva e sinuosa dei modi di creazione del profitto, sempre più rapidi e sempre più privi di confini, reali e normativi. Un processo moltiplicativo che è stato alimentato anche grazie all’amplificarsi di sistemi di interazione umana sempre più efficaci, un processo possibile grazie all’aumentare degli agenti interessati: se fino agli anni ’90 circa, infatti, le transazioni commerciali con Paesi esteri erano fenomeni riconducibili a professionisti o comunque a soggetti operanti nel mondo del mercato e del profitto, oggi qualsiasi interessato può, sia pur nei limiti dell’uso personale e non a fini di mercato , autonomamente servirsi e commerciare. Un piccolo esempio dell’ingigantirsi contestuale di mercato e relazioni individuali.

Premesso questo, i due interrogativi iniziali, dunque, appaiono sufficientemente stringenti e di grande interesse per una riflessione sul mondo in mutamento. E’ bene cominciare a fornire risposte a partire dalla seconda questione: per “mondo virtuale” è da intendere quell’universo relazionale oramai esistente, non circoscrivibile ad un ambito particolare dell’esistenza dell’uomo, ma onnicomprensivo, in cui convivono serio e frivolo, bugia e verità, essenziale e superfluo. Lo strumento per antonomasia identificativo di questo “mondo” è la rete sociale, oramai simboleggiata da facebook, un esemplare degnamente rappresentativo di quanto anzidetto. Si tratta di un luogo pubblico, liberamente accessibile e “affascinante” per la sua illimitatezza. In virtù della premessa fatta, facebook appare lo strumento magico di soddisfazione di una delle necessità più grandi per l’uomo che ha come vicino di casa il globo intero ai giorni d’oggi: quella di informazione. A ben vedere, se c’è un punto di contatto più che reale tra i “due mondi” e che in essi, ciascuno di noi tende a compiere una comune e ripetitiva attività: ricercare informazioni. Dirò in seguito che naturalmente, l’esito della ricerca può essere assai diverso, a seconda dell’oggetto ma anche della fonte. Nel “mondo reale” la ricerca dell’informazione, dell’informazione di qualità e specifica, è un’attività faticosa, dispendiosa di energie e di tempo ma che attinge a fonti conoscitive accreditabili con ampi margini di sicurezza (biblioteche, archivi, musei, luoghi di studio) fisicamente e logicamente ben separata da luoghi d’altro tipo di ricerca di informazione come il bar, il circolo sportivo o culturale, cioè luoghi prevalentemente caratterizzati per socialità e ludicità.

Si potrebbe facilmente obiettare che molte di quelle fonti “istituzionali” sono presenti in forze sulla rete. Si tratterebbe di una corretta osservazione, che però porta alla luce il vero carattere qualificante delle reti sociali: in esse la ricerca di informazioni è legata indissolubilmente alla ricerca di relazioni sociali con l’altro, l’altro stesso o il suo pensiero, il suo scrivere, diviene, il più delle volte, fonte di documentazione. Questo aspetto manifesta due dei più grossi pericoli che l’ampia diffusione di strumenti come facebook può produrre. In primis, la non attendibilità dell’informazione e quindi la falsità. Una singola errata notizia può produrre anche conseguenze notevolissime, tali da lambire le soglie del “senso comune”: basterebbe per un attimo immaginare, in un clima politico caratterizzato da risentimento e persino da astio nei confronti della figura del “politico”, la diffusione di una notizia artificiale, magari tesa a rappresentare un abuso della funzione istituzionale di un parlamentare. Essa troverebbe un sottobosco fitto di pregiudizio tale da poter attecchire e prosperare egemonicamente. Riflettere sulla degenerazione di un simile andamento dovrebbe far rabbrividire.

Il secondo rischio è quello dell’accentuarsi del carattere individualistico della nostra società. Il rischio reale dell’estinzione della capacità di rapportarsi con l’altro, ben diverso dal mero comunicare: significa disabituarsi alla tonalità, al gesticolare, alla gradazione, all’adattarsi al contesto, in favore, da un lato, di una comunicazione striminzita, racchiusa in poche parole, in frasi brevi, proprio come accade con facebook. Perdere il gusto e l’abitudine al logico ponderare in favore del mero sfogo. La rete sociale si tramuta in uno sfogatoio di solitudine, e l’invettiva sterile, la banale denuncia possono a mala pena ambire al ruolo di “testimoni dei fatti”, ma in nessun modo, se non condivisi e argomentati, possono mutarli. Non a caso il proliferare di movimenti di cosiddetta “democrazia virtuale” avidamente si nutrono di queste singole individualità e del loro lato più emotivo.

E’ proprio su questo secondo aspetto, sull’individualismo che si basa la suddetta “sovrapposizione”. La perdita di strumenti e filtri critici non potrà che alla lunga portare ad una tabula rasa di ogni sistematicità, organicità di pensiero, un fosco scenario in cui l’accettazione indistinta diviene normale e scontata. Si tratta di una deriva sempre più accentuata dalla facilità di accesso e da un sempre più indistinto uso di tecnologie applicate alla vita quotidiana come l’uso di Iphon o Ipad. Per i comunisti il problema dell’individualismo è di rilevanza primaria. Affermare che non esiste comunismo senza movimento rivoluzionario organizzato e quindi senza massa non è una forzatura ma la lezione più grande che ci ha tramandato il filosofo della Prassi del Novecento, cioè Lenin.

Si è dimostrato, dunque, quanto l’implementazione dell’uso del virtuale possa incidere anche nella formazione della coscienza, da un lato sul versante dell’attendibilità delle fonti da cui attingere e dalla funzione egemonica, e, dall’altro, dal temperamento della coscienza stessa così ottenuta degenerata in una natura “civica” a discapito di quella “di classe”. Per i comunisti è necessario riaffermare l’imprescindibilità della coscienza di classe come premessa rivoluzionaria, una consapevolezza che nasce naturalmente nel luogo di lavoro, il luogo del conflitto. E’ necessario affermare il valore del lavoro come ontologia dell’essere sociale, per usare parole di Lukacs. A tal fine bisogna riflettere in maniera approfondita sulla nuove modalità d’interazione che il progresso tecnico-scientifico porta, non limitandosi ad anatemi o censure: sta, infatti, alla diligenza della pratica “saper fare”, cioè utilizzare gli strumenti di oggi per arrivare là dove, coi vecchi, non era possibile. Ma è altrettanto importante cogliere gli andamenti generale dei processi e ricondurli ad una seria analisi materialista. Se lo sviluppo di una rete sociale come facebook può giovare alla strategie comunista, nella diffusione delle idee, delle notizie sottaciute dai media tradizionali, nel proselitismo politico, non possono sfuggirci i caratteri prettamente capitalistici di questo strumento: un esempio generale è la quotazione in borsa di facebook avvenuta nel 2011, cioè la mercificazione del pensiero, delle idee scambiate, della persona umana; il vero volto del sistema di accumulazione capitalistica.

Avere coscienza di questi meccanismi e del massimo pericolo, quello della disabitudine a pensare organicamente e criticamente, che per i comunisti significa agire controcorrente, è il miglior deterrente per poterlo evitare.

Ancora una volta ai comunisti spetta il compito di saper utilizzare i frutti avvelenati del capitalismo a proprio vantaggio, come ci insegna Lenin.