Le fake news sono sempre quelle degli altri

repub fakenewscoreadelnordRiceviamo da Cosimo Fiori e volentieri pubblichiamo

Giorni fa la stampa italiana ha riportato solerte la notizia secondo cui i negoziatori nordcoreani ai colloqui con gli Usa sono stati giustiziati per ordine di Kim, con la notevole eccezione di tale Kim Yong-Chol, che se la sarebbe cavata col campo di lavoro. Qualche contraddizione l’ha però creata l’articolo di Repubblica, secondo cui Kim Yong-Chol, sia pure in due paragrafi diversi, è sia morto (giustiziato), sia vivo (ai lavori forzati).

(Si potrebbe anche ipotizzare che un soggetto condannato ai lavori forzati in un primo paragrafo, sia stato già giustiziato al sopraggiungere del paragrafo successivo; non già però il contrario, perché Kim ha fama di una certa scaltrezza, e contraddice a tale fama pensare che abbia cercato di far lavorare un morto.

Estrema ipotesi è che Kim si sia divertito a dare ordini contraddittori, riservandosi, alternativamente, di giustiziare anche i poveretti impossibilitati a eseguirli, oppure di intimare il “contrordine, compagni!”, come Guareschi).

A onor del vero, però, a generare il dubbio è stata la prima versione dell’articolo di Repubblica, poi modificata. Chi ha letto la prima versione, però, sarà ancora in pensiero per la sorte di Kim Yong-Chol, (ma niente paura: si sa che i giustiziati, in Corea del Nord, a volte risorgono, come è toccato alla ex fidanzata di Kim Jong-un). Va da sé che è già difficile distinguere i nomi dei Kim succedutisi al potere; ci manca solo di raccapezzarsi tra i vari Kim-Kim Jong e Jong-Jong-Il, oscuri dirigenti o diplomatici. Possibile che i personaggi si confondano e, come il gatto di Schrödinger, siano indifferentemente morti o vivi (per quel poco che si sa quaggiù della Corea del Nord, è anche possibile). Tuttavia, se si scrive pubblicamente che il cane di Kim ha mangiato il gatto di Schrödinger, qualche verifica bisogna pur farla, altrimenti si corre il rischio di scrivere che i 120 cani di Kim hanno mangiato lo zio di Kim e i suoi collaboratori: cosa che tutti i giornali hanno scritto tempo fa, con tanto di particolari (i cani erano stati lasciati a digiuno per giorni). Peccato fosse falso.

Anche stavolta, nel caso dei negoziatori, la Cnn smentisce le esecuzioni. Forse si dovrebbe avere qualche prudenza nel pubblicare notizie da fonti incerte, sudcoreane o di Hong Kong. In questo caso, tuttavia, già la fonte sudcoreana parlava di “rumors” (le prime notizie risalgono addirittura ad aprile). E se è vero che alcuni giornali hanno riportato la notizia usando il condizionale, ciò non emergeva dai titoli, che invece grondavano certezza: ma si sa, il clickbaiting lo fanno solo i disinformatori di professione, magari al soldo di Putin.

Ora, questo importa poco per la Corea del Nord, che ha tutti i tratti della causa indifendibile. Però si omette di dire che, da un lato, molti problemi derivano dal perdurare del formale stato di guerra tra le due Coree e dalla presenza militare americana in Corea del Sud (analogamente, nel criticare la Russia si dimentica dell’avanzata della Nato, che oggi ha basi in territori ex Urss); e, dall’altro, che il produrre la bomba atomica finisce per essere, per Stati deboli, quasi l’unico modo per essere rispettati sul piano internazionale. E quanto conti l’atomica per avere un ruolo internazionalmente riconosciuto lo dimostra la determinazione che ebbe la Francia a farsela da sé, anche se era già protetta dal cappello della Nato. Insomma, si omette di dire che le azioni della dirigenza nordcoreana, con tutto quel che si può pensare su quello Stato, appartengono non al dominio della psicopatologia, ma della politica (per analogo errore, si veda alla voce nazismo).

Tuttavia, poiché la politica è complessa, ed è più facile spiegare il mondo in modo ideologico sulla base di facili dicotomie (buoni/cattivi, sani/matti); poiché, ancora, Kim appartiene sia ai cattivi, sia ai matti; allora è chiaro che qualsiasi notizia, anche falsa, sulle sue malefatte è già in principio credibile, perché conferma un’idea già esistente. Anche se non ha fatto sbranare lo zio dai cani, resta quel che è. Ovviamente l’affastellarsi di notizie di deliranti uccisioni rafforza il quadro, ma non ce n’era nemmeno bisogno.

Pertanto – ed è questo il punto – il problema non è tanto la veridicità o la falsità delle notizie in sé. Si dirà che il giornalista riporta meri fatti, ed è quindi oggettivo: se afferma esistenti cose esistenti, e inesistenti cose inesistenti, fa il suo lavoro; più oggettivo è, meglio è. Ma, primo: è l’interprete a decidere cosa siano i fatti. Nel mare magnum del fluire dell’esperienza quotidiana, si isolano elementi che diventano fatti da narrare, se ne rinviene il posto nel complessivo ordito spazio-temporale, se ne individuano i collegamenti causali. Secondo: se si deve scrivere che Maduro ha fatto una certa cosa, si può dire “il presidente Maduro”, oppure “il dittatore Maduro”, etc. Cosa si vede nel mondo, cosa si dice, e come lo si dice, fa tutto parte di un processo di interpretazione della realtà. Se, come accade, diverse visioni del mondo si fronteggiano, quali notizie dare, e come presentarle, fa parte di una lotta ideologica, né più né meno, anche quando coloro che danno le notizie non ne abbiano precisa contezza (vi sono pur sempre soggetti attori e soggetti agiti).

La lotta non è tra stampa “di qualità” che verifica le notizie, e una che invece non lo fa; tra mondo libero e mattacchioni analfabeti o furbacchioni al servizio dell’influenza sino-russa (come se non ci fossero da decenni un’influenza americana o, più di recente, una ordoliberale). La lotta è tra diverse visioni del mondo. In tal senso, la notizia è parte di una strategia. Se anche fosse tutto verissimo, ove tutti i giorni la stampa facesse titoloni sui furti commessi dai Rom, ciò non sarebbe “falso”, ma sarebbe una linea ideologica. Parlare ossessivamente di certi casi di cronaca (realmente accaduti, s’intende) non è produrre “falso”, ma è una linea. Parlare ossessivamente di sbarchi di migranti è una linea. Dedicare pochissimo spazio a idee sull’economia diverse dall’asfittica opposizione “evviva l’euro” / “abbasso l’euro” è una linea. Qualsiasi notizia assume senso a partire da un’idea della realtà già presente. Che la notizia sia vera o no, non è nemmeno il più grande dei problemi.

Per esempio, anche se le case farmaceutiche fanno ovviamente affari, è la logica prima della scienza a far dubitare delle polemiche contro i vaccini. Nondimeno, il punto non è tanto se l’antivaccinismo si fondi su ragioni scientifiche vere o false, bensì l’idea di realtà che mercé tali notizie si porta avanti. Perché, si badi, è la stessa cosa quando si scrive che gli Usa mandano una portaerei nel Golfo per reagire alle minacce dell’Iran (quali minacce?). Ed è la stessa cosa quando, presentando Guaidò come un campione della libertà, non si segnala debitamente, ad esempio, la violazione, commessa dagli Usa, dell’immunità della sede diplomatica venezuelana a Washington (violazione piuttosto grave del diritto internazionale); o ancora quando si omette di sottolineare che il rifiuto della Banca d’Inghilterra di dare al Venezuela il suo oro colà depositato sia non un modo per toglierlo alla “cricca” di Maduro, bensì una violazione sia del diritto, sia della delicata fiducia che regge i sistemi internazionali di pagamento e i rapporti tra banche centrali. Che dire se, arrogandosi il diritto di giudicare della legittimità del governo italiano, la Banca d’Inghilterra bloccasse le 141 tonnellate d’oro della Banca d’Italia depositate a Londra?

In definitiva, i problemi sono due. Per prima cosa, se “fact checking” deve essere, non si capisce perché debba valere solo per gli “altri”. Non si capisce perché il problema siano solo le pseudonotizie generate dalle quinte colonne russe, e non anche la stampa “di qualità”, secondo cui Trump è cattivo – e ha un ciuffo balordo, anche se forse ha cambiato acconciatura – ma sotto sotto sull’Iran e sul Venezuela non ha tutti i torti (distinguere è importante, perché chi crede alla prima categoria di notizie è un analfabeta funzionale, mentre chi crede alla seconda categoria è una persona istruita). In secondo luogo, la generale lamentazione contro le fake news poggia su presupposti sbagliati. Il problema non è mettere in piedi un colossale sistema di “fact checking”, assegnando magari il compito a sua maestà Algoritmo (scritto da chi?), ma proprio l’idea stessa di “fact checking”. Al fondo, il problema è l’idea di oggettività; l’idea che da un lato ci sono i fatti, dall’altro le opinioni; l’idea che il fatto venga prima delle idee. Problema eminentemente filosofico: la verità non si risolve in un insieme di asserzioni vere, così come il tutto non si risolve nella somma delle parti. Occorre pertanto riconoscere che la notizia falsa è uno strumento, magari inelegante – come quando nello sport si simula o si accentua un fallo – ma pur sempre uno strumento; uno strumento che, in gradi semmai diversi, usano tutti. Ma le notizie in quanto tali, anche se “vere”, sono strumenti e non fini in sé stesse.

La conclusione è che il campo della circolazione delle informazioni non può essere valutato su una scala che va da “tenebre” a “luce”; esso è, appunto, un campo, un terreno di lotta tra idee diverse della realtà. In un certo senso, persino la condivisione “virale” dei video dei gattini, cui – da prima di Salvini – ricorrono anche le home page dei più prestigiosi quotidiani, diffonde un’idea della realtà. Nessuno mette in dubbio che il gatto salti quando vede il cetriolo (non è una fake news), ma perché parlarne? Come in altri campi, occorre passare da una considerazione prescrittiva a una più schiettamente politica. Come non c’è un Tribunale universale che possa dirimere i conflitti tra valori e idee del mondo, allo stesso modo non c’è Tribunale (o Algoritmo, o simile) che possa dare infallibilmente il bollino blu della veridicità. Ma soprattutto, se anche se ci fosse, non avremmo risolto alcun problema.