Se la lotta inizia ci saremo tutti

Questa mattina – lunedi 5 settembre – il più diffuso giornale borghese italiano (“ La Repubblica”) esce con un titolo fortemente significativo: “Manovra, più facile licenziare”. Cosa è accaduto, di più, nell’ormai lunga teoria di incontrastati attacchi all’intero mondo del lavoro?
E’ accaduto che ieri ( domenica 4 settembre, due giorni prima dello sciopero generale indetto dalla Cgil, a proposito dell’ascolto che il governo presta alle forze del lavoro e anche a proposito di quanto oggi le organizzazioni sindacali si fanno temere dal governo e dal capitale) la maggioranza berlusconiana alla Commissione Bilancio del Senato ha approvato un emendamento all’articolo 8 del decreto sulla manovra economica attraverso il quale si attacca duramente, smantellandolo, lo Statuto dei lavoratori, abolendone gli articoli in difesa dell’orario di lavoro, delle mansioni e del diritto stesso al lavoro. Introducendo, cioè, la piena liceità e libertà, da parte delle aziende, dei padroni, di licenziare, allungare gli orari e decidere arbitrariamente sulle mansioni.
L’emendamento proviene da una delle Commissioni più importanti e concretamente decisive del Senato, dal cuore dello Stato e si prefigura dunque – tale socialmente drammatico emendamento- come un “colpo di stato”.
La misura della gravità dell’atto è data dalle stesse reazioni politiche e sociali. Se è un dirigente come Stefano Fassina, responsabile Lavoro del PD e certo non sospettabile di improvvise simpatie comuniste, ad affermare che “ in questo modo il diritto del lavoro torna indietro di 60 anni ” si capisce la portata strategica dell’attacco antioperaio. E se è la stessa Susanna Camusso, segretaria generale Cgil e certo non sospettabile di derive massimaliste, a dire che “ mai nella storia della Repubblica ci sono stati un governo ed un Ministro del Lavoro che avessero come scopo quello di abolire il contratto nazionale, lo Statuto dei lavoratori, i diritti dei lavoratori ”, e che questa “ è una vicenda senza precedenti che contrasteremo con tutti i mezzi”, si comprende tutta la drammaticità della fase politica e sociale e i profondi pericoli del consolidamento di una politica sfacciatamente antipopolare e reazionaria a largo raggio. Una politica, un governo – quello di Berlusconi – che anche il PD, anche la Cgil dovrebbero impegnarsi a far cadere attraverso una vasta mobilitazione di massa, non sostituendolo con un governo tecnico come ancora, a volte, vagheggia Bersani, ma preparando nelle lotte l’alternativa.
Se la normativa approvata alla Commissione Bilancio dovesse essere ratificata nell’aula del Senato le aziende avrebbero la strada spianata. L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non esisterebbe più; ci troveremmo di fronte al crollo di una diga sociale e i padroni – piccoli o grandi – avrebbero la libertà quasi assoluta di decidere un licenziamento o licenziamenti a grappoli, a prescindere dalla giusta causa. I diritti minimi conquistati dai lavoratori in decenni di dure lotte scomparirebbero d’improvviso: tu perdi il lavoro perché sei un improvviso esubero, “un antipatico”, un sindacalista, un comunista, una donna, un giovane che non piega tutti i giorni la testa, perché magari chiedi la mensa, il giusto orario, il giusto salario. Si tornerebbe nei pressi delle fabbriche di Manchester descritte da Engels.
Certo la Cgil ha motivi seri per riflettere: l’accordo dello scorso 28 giugno con Cisl, Uil e Confindustria non prevedeva meccanicamente questa dura deriva antioperaia inscritta nell’emendamento passato in Commissione Bilancio al Senato. Ma sicuramente ne evocava la possibilità. E poiché l’ accordo del 28 giugno non è stato ancora siglato definitivamente dalla Cgil sarebbe bene che, alla luce di ciò che sta avvenendo e che si poteva facilmente supporre, si deve prendere atto che tale firma non deve essere posta. E cioè che l’accordo del 28 giugno ( non a caso richiamato dagli estensori berlusconiani che hanno concepito l’emendamento in Commissione Bilancio) non deve offrirsi come base materiale dello svuotamento sia dell’articolo 18 che di tutto lo Statuto dei lavoratori. Gli iscritti, i militanti e i quadri della Cgil – assieme all’intero movimento dei lavoratori che scenderà domani nelle piazze, per lo sciopero generale – dovranno avere ( assieme alle parole d’ordine contrarie alla manovra e al governo Berlusconi ) una nuova e determinata parola d’ordine : “ la Cgil ritiri il suo consenso dall’accordo del 28 giugno; non firmi l’accordo!
L’emendamento della Commissione Bilancio è, naturalmente, una orrenda, velenosa e gigantesca ciliegia sulla già amara torta della manovra economica. Quarta o quinta che essa sia, la manovra punta ormai chiaramente ad innalzare per tutti le pensioni ( a cominciare da quell’innalzamento particolarmente odioso per le donne); a introdurre nuove tasse locali ( IMU), con l’inevitabile e ulteriore attacco alle condizioni di vita reali dei cittadini nei territori; ad innalzare l’IVA, col fatto conseguente che le merci di prima necessità popolare subiranno nuovi rialzi; ad attaccare particolarmente i lavoratori del pubblico impiego e l’intero stato sociale; a congelare tutti i salari e gli stipendi, facendo saltare i contratti di lavoro; a estendere la linea Marchionne dalle fabbriche all’intero mondo del lavoro; ad accrescere la pressione fiscale su chi vive con le buste paga, attraverso la diminuzione delle detrazioni,; attraverso nuovi processi di destrutturazione dei comparti sociali decisivi ( scuola, sanità, trasporti) e infine, di salvare le grandi fortune da una, seppur transeunte, tassazione. Cosicché anche la patrimoniale, benché richiesta persino da parti della borghesia, scompare.

E’ del tutto evidente che non abbiamo alternative: lo sciopero generale di domani non potrà che essere l’inizio di un lungo e determinato ciclo di lotte volto alla caduta del governo, alla cancellazione dal basso di questo ormai ultraventennale e cupo potere berlusconiano. E’ tempo davvero che si costituisca sul campo, nelle piazze, attraverso la consapevolezza del pericolo antidemocratico e antipopolare, una vasta alleanza democratica, popolare , di sinistra e comunista avente l’obiettivo di aprire finalmente le finestre su questa stanza ormai ammorbata che è l’Italia. Si sente nell’aria, dalla rabbia dei lavoratori, dal disagio sociale, dalla sempre più vasta consapevolezza di che cosa è Berlusconi e il suo governo; si sente nell’aria, e non solo dal crollo di consensi al centro destra di cui ci parlano i sondaggi, che la sconfitta del regime potrebbe essere vicina, che “ il cambio” potrebbe avvenire.
Sta alle forze democratiche, di sinistra, comuniste, alle forze sindacali avanzate “sentire” il vento che tira, il nuovo senso comune popolare nascente.
Il cambio è nell’aria. Rispetto a ciò occorre essere sponde consapevoli della volontà popolare. Battersi ora, dare la spallata finale attraverso l’onda sociale, non intraprendere scorciatoie nefaste come “il governo tecnico”. Che dallo sciopero generale di domani, 6 settembre, inizi la lotta e i giorni di una nuova Liberazione.

Se la lotta inizia ci saremo tutti.