La sentenza torinese che spaventa la Fiat

Riteniamo importante spiegare ai lettori quali siano la vera sostanza, gli esiti e le prospettive della controversia fra la Fiom e la Fiat recentemente decisa dal Tribunale di Torino. Si tratta di una controversia di grande rilievo perché investe l’evoluzione, o piuttosto l’involuzione, delle relazioni sindacali nel nostro Paese. Il punto di partenza è costituito dal tentativo del padronato e dei sindacati “collaborazionisti” di strumentalizzare la norma dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori al fine di espellere non solo dalle relazioni industriali, ma addirittura dai luoghi di lavoro i sindacati che ancora manifestano un qualche antagonismo con il capitale. Invero l’articolo 19 prevede allo scopo di garantire la genuinità del sindacato, che i rappresentanti sindacali aziendali e i diritti previsti dal titolo terzo, spettino ai sindacati “veri” e questi sono, o erano, tipicamente quelli che riuscivano a imporre al datore di lavoro un contratto di lavoro o un accordo. Nessuno avrebbe mai pensato che la norma potesse essere usata al contrario, e cioè che ogni datore di lavoro si potesse scegliere un sindacato o sindacatino amico, privilegiarlo nel fare solo con esso un contratto a sé favorevole e in tal modo raggiungere anche lo scopo di escludere i sindacati anche maggioritari dal godimento dei diritti sindacali e della rappresentanza. Sembrava un assurdo, ma è esattamente ciò che è avvenuto in questi anni, in particolare nel settore metalmeccanico, dove alla contrattazione separata avrebbe dovuto far seguito, nelle intenzioni di Federmeccanica e di Film e Uilm, anche l’emarginazione della Fiom. Senonché la Fiom aveva appena firmato, nel 2008, un contratto nazionale e finché esso sarà in vigore – e lo sarà anche dopo la scadenza del dicembre 2011 fino al rinnovo – avrà sempre diritto ad avere una sua rappresentanza e a godere dei diritti del titolo terzo (permessi, assemblee, ecc.), fin quando in un luogo di lavoro operano lavoratori suoi iscritti a cui quel contratto si applica. Quindi con gli accordi separati che hanno messo capo ad un secondo contratto collettivo nazionale di lavoro metalmeccanico del 2009, firmato solo dal Film e Uilm, la Federmeccanica, e con essa la Fiat, avevano fatto in realtà un buco nell’acqua. Perché ai lavoratori Fiom continuava ad applicarsi il contratto del 2008 come molte sentenze hanno già acclarato. Occorreva allora inventare un ulteriore marchingegno. E questo marchingegno la Fiat lo ha ribattezzato Newco. Poiché il contratto collettivo del 2008 continua ad applicarsi ai lavoratori Fiat, la Fiom resta in tutti i posti di lavoro salvo che, e qui sta il punto, i lavoratori vengano invece dimissionati e riassunti con un nuovo rapporto di lavoro da una società costituita allo scopo (appunto la Newco) che applica un contratto tutto suo appena fatto. In tal modo, in questa società – che nel caso sarebbe la Fabbrica italiana Pomigliano – non si applicherebbe più il contratto collettivo del 2008 e la Fiat sarebbe fuori gioco.
Proprio questo marchingegno è stato però dichiarato antisindacale dal tribunale di Torino, perché la risoluzione del rapporto con la vecchia Fiat Group Automobiles, già gestrice dell’impianto di Pomigliano e la nuova fabbrica italiana Pomigliano, ossia la Newco che ora lo gestirà, costituisce un espediente niente affatto necessario, nel senso che i rapporti potrebbero perfettamente proseguire. Interromperli e riaccenderli ha invece proprio quello scopo indiretto e antisindacale di escludere la Fiom. La quale però aveva sostenuto e con pieno fondamento anche qualcosa di più. E cioè che non soltanto era antisindacale interrompere e riattivare i rapporti invece di lasciarli proseguire dall’una all’altra società, ma che addirittura questo era doveroso perché imposto dall’articolo 2112 del codice civile che nel caso di trasferimento di azienda non consente appunto nessuna interruzione, neanche volontaria. Su questo punto e solo su questo punto la domanda della Fiom è stata respinta dal giudice. E, a dirla con franchezza, non è facile dire il perché; ma quel che è sicuro, a giudizio della Fiom e di tutti i suoi legali, è che il trasferimento in realtà vi è stato o comunque è in corso e fatti recentissimi lo hanno comprovato. Basti pensare che in data 6 luglio la Fga che fino adesso ha gestito Pomigliano ha chiesto cassaintegrazione per cessazione di attività con previsione espressa della riassunzione di tutti i 5mila i lavoratori da parte della Newco Fip entro 24 mesi. Ergo, tutto ciò che una volta serviva alla Fga servirà ora alla Fip: beni materiali e immateriali e soprattutto la principale risorsa, quella umana. Per conseguenza la Fiom ha davanti a sè alcune prospettive, tutte positive: la prima è che potrà rientrare a vele spiegate nella fabbrica di Pomigliano ora gestita dalla Fip, formare la sua rappresentanza, godere dei diritti sindacali, senza dover firmare i famosi accordi peggiorativi contenenti anche clausole di limitazione dello sciopero. La seconda prospettiva è che potrà perfettamente recuperare la verità costituita dall’esistenza di un trasferimento di azienda e dall’applicazione dell’articolo 2112 c.c., promuovendo cause dei singoli lavoratori che vorranno vedere affermata l’unicità e continuità dei loro rapporti di lavoro nel passaggio fra Fiat Group Automobiles e Fabbrica italiana Pomigliano. E così tutta la verità sarà ristabilita.
Naturalmente, poiché il passaggio dei lavoratori dalla vecchia alla nuova società sta avvenendo gradualmente, ben potrebbe accadere che la Fiat, per evitare di dover dare concreta attuazione alla sentenza, non faccia passare o, per così dire, lasci indietro i lavoratori scritti alla Fiom, in modo che quest’ultima non possa costituire materialmente la Rsa. Ma questo sarebbe a sua volta un comportamento antisindacale gravissimo e facilmente denunciabile, visto che in materia discriminatoria oggi vale pacificamente anche la cosiddetta prova statistica. Si pensi che i lavoratori tesserati alla Fiom sono circa il 10 per cento dei dipendenti di Pomigliano. Una volta che ne siano passati 500 e non ne fosse incluso alcuno iscritto alla Fiom, l’intento antisindacale sarebbe di per sé dimostrato. Naturalmente, la Fiom non ha mai agito solo per spirito antagonistico, ma per affermare un regime di relazioni industriali libero e democratico, e a questo scopo ha presentato a suo tempo anche un progetto di legge sulla rappresentanza e rappresentatività sindacale certamente molto migliore dei contenuti dell’accordo interconfederale del 28 giugno il quale, pur riconoscendo il principio della rappresentatività ai fini del potere di concludere contratti, resta però deficitario a giudizio di molti e di chi scrive proprio nel punto della verifica democratica diretta da parte degli interessati degli accordi raggiunti da soggetti rappresentativi.