La svolta radicale nel corso della seconda guerra mondiale

stalingrado soldati avanzataAccademia delle Scienze dell’URSS | Storia Universale, vol X, Cap. 7, pag. 205, Teti editore

All’inizio dell’inverno 1942-1943 si apriva sulle rive del Volga e del Don una nuova tappa della lotta mortale contro il nazifascismo, entrata nella storia come il periodo della svolta radi­cale nel corso di tutta la seconda guerra mondiale.

Il merito principale della realizzazione di questa svolta a favore della coalizione antifascista appartiene all’Unione Sovietica.

Nelle acca­nite battaglie del 1942-1943 sul fronte sovietico-tedesco si decisero i destini storici non solo del popolo sovietico, ma dell’intera umanità.

1. La disfatta delle truppe fasciste sul Volga. L’inizio della svolta radicale nella guerra

La situazione all’inizio della controffensiva delle truppe sovietiche sul fronte meridionale

Nell’autunno 1942 il fronte sovietico-tedesco, a eccezione di alcuni settori, si stabilizzò su tutta la linea dal mare di Barents alle pendici del Caucaso.

Tuttavia la situazione continuò a essere estremamente grave per l’Unione Sovietica.

Leningrado era assediata, grandi for­ze nemiche continuavano a operare sulle lon­tane vie di accesso a Mosca, gli incessanti aspri combattimenti a Stalingrado assorbivano sempre nuove forze, le vie principali di co­municazione con il Caucaso erano interrotte.

Sfavorevole per le forze armate sovietiche era anche la situazione sui mari.

La flotta del Bal­tico era bloccata nella parte orientale del gol­fo di Finlandia. La flotta del mar Nero, dopo la perdita della penisola di Crimea e di Novorossijsk, era costretta a far capo a porti inadeguati come quelli di Poti, Gelendžik e Tuapse, e ciò ostacolava le sue azioni.

In condizioni più favorevoli si trovava la flotta del nord. Rinforzata con navi fatte giungere dall’oceano Pacifico, essa difendeva le comunicazioni set­tentrionali e prestava un valido aiuto alle trup­pe terrestri nella difesa del litorale.

Nell’au­tunno 1942 divenne chiaro che i piani della campagna estiva-autunnale del comando nazi­sta erano falliti.

Benché le truppe tedesche e dei loro alleati fossero giunte sul Volga e si trovassero sulle pendici del Caucaso, esse non avevano raggiunto il loro obiettivo principale.

L’avanzata dell’estate era costata alla Germa­nia nazista circa un milione di uomini tra uc­cisi, feriti e prigionieri nonché la perdita di u­na enorme quantità di mezzi e armamenti.

Il gruppo di armate tedesche “A”, avendo in­contrato una accanita resistenza da parte delle truppe sovietiche sulle pendici del Cau­caso, venne impegnato in lunghi e logoranti combattimenti.

Il gruppo di armate “B” do­vette disporsi su un fronte ad arco della lun­ghezza di 1.300 km.

Al centro dell’arco, di fronte a Stalingrado, si trovavano la VI ar­mata di von Paulus e la IV armata corazzata di Hoth, che combattevano per la conqui­sta della città. Alle loro ali erano schierate la III e la IV armate romene e la VIII ar­mata italiana, passate alla difensiva. Le trup­pe satelliti erano più deboli dal punto di vi­sta militare e morale di quelle tedesche.

La situazione delle truppe degli aggressori fasci­sti che si trovavano sotto Stalingrado e nel Caucaso del nord era aggravata dal fatto che le loro riserve strategiche erano quasi completamente esaurite. Sullo sconfinato fronte orientale, che si estendeva per oltre 6.000 km, vi erano nella riserva del comando centrale delle truppe terrestri tedesche solo tre divi­sioni corazzate, una divisione di scorta e due brigate di fanteria; nella riserva dei gruppi di armate vi erano otto divisioni e una brigata.

Nell’ottobre 1942 il comando tedesco, con­siderando compromessa la situazione, prese la decisione di passare alla difensiva. Nell’ordi­ne n. 1 del 14 ottobre 1942 si disponeva: “Dobbiamo affrontare la campagna invernale. Compito del fronte orientale – oltre alle ope­razioni offensive in corso oppure progettate – è di mantenere a ogni costo le posizioni rag­giunte, respingere ogni tentativo del nemico di sfondarle e creare in tal modo i presuppo­sti per continuare la nostra offensiva nel 1943 allo scopo di sconfiggere definitivamente il no­stro più pericoloso nemico”.

Sulla base di queste disposizioni le forze armate tedesche iniziarono i preparativi per l’inverno. Su tut­ta la lunghezza del fronte vennero costruite o rafforzate le fortificazioni. Una particolare at­tenzione venne rivolta al settore centrale del fronte, dove il comando della Wehrmacht si attendeva azioni offensive dell’armata rossa. Qui vennero concentrati i rinforzi principali a detrimento dei raggruppamenti delle altre zone.

All’inizio della campagna invernale, nel gruppo di armate centrale era concentrata circa la metà delle unità corazzate e motoriz­zate di cui i tedeschi disponevano sul fronte orientale. Lo stato maggiore di Hitler ritene­va che l’offensiva dell’armata rossa contro il gruppo di armate centrale sarebbe stata lan­ciata agli inizi di novembre.

Dal canto suo il comando supremo sovietico, nel perfezionare i piani dell’offensiva invernale, aveva deciso di sferrare il colpo principale nel settore me­ridionale con le forze del fronte sud-ovest (comandate dal tenente-generale Vatutin), del fronte del Don (comandate dal tenente-genera­le Rokossovski) e del fronte di Stalingrado (comandate dal colonnello-generale Eremenko) partendo dalla zona di Stalingrado con unica direzione verso il bacino del Don.

Per prepa­rare la controffensiva e coordinare le azioni dei fronti vennero inviati nella zona di Stalingra­do il generale d’armata Zukov e il colonnello­generale Vassilevski.

L’opportunità di iniziare l’attacco proprio in questo settore era dettata da un insieme di fat­tori politici, economici e militari.

La disfatta decisiva del nemico nel sud doveva portare al crollo definitivo dei suoi piani che puntavano sull’arrivo delle truppe tedesche nel Caucaso e sull’entrata della Turchia nella guerra contro l’Unione Sovietica. Ottenendo deci­sivi risultati militari nel sud, si sarebbero li­berate le ricchissime zone cerealicole del Don e del Kuban, sarebbero stati creati i presup­posti per la liberazione del bacino del Don, e sarebbe stata eliminata la minaccia nemica alle fonti di petrolio del Caucaso e alle vie di comunicazione con gli alleati che attraver­so l’Iran giungevano al golfo Persico.

Il settore del bacino del Don appariva il punto più vulnerabile nella difesa strategica tedesca.

Con l’arrivo delle truppe sovietiche a Rostov vennero create le condizioni per la sconfitta del gruppo di armate tedesche “A”, che ope­rava nel Caucaso settentrionale.

La sconfitta del nemico nel territorio tra il Volga e il Don doveva essere solo la prima tappa della campagna invernale.

Dopo il suc­cesso di questa operazione il comando supre­mo sovietico calcolava di compiere una serie di operazioni offensive sugli altri fronti.

Una particolare importanza veniva data all’elimina­zione dell’assedio di Leningrado e alla sconfitta dei raggruppamenti del nemico nelle zo­ne di Demjansk, Ržev-Vjazma, nel corso supe­riore del Don e nel Caucaso settentrionale.

La prima fase della campagna invernale ven­ne progettata nel modo più completo e accu­rato.

Con gli sforzi congiunti dello stato mag­giore del comando supremo, dello stato mag­giore generale e del comando dei fronti di Sta­lingrado, del Don e sud-ovest, venne elaborato un piano che ricevette il nome di “Uranus”.

Questo piano era fondato su una idea molto ardita: con le forze dei tre fronti circondare e distruggere il grande raggruppamento di truppe fasciste nel territorio tra il Volga e il Don e creare le condizioni per il passaggio delle forze armate sovietiche alla offensiva strategica generale sull’ala meridionale e su­gli altri settori del fronte sovietico-tedesco.

I raggruppamenti d’assalto del fronte sud­-ovest e del fronte di Stalingrado dovevano attaccare convergendo su Kalač e Sovjetskij e serrare poi in questa zona l’anello della sacca in cui dovevano restare le truppe degli aggressori.

La difesa del nemico doveva essere spezzata nei settori più vulnerabili, che erano tenuti dalle truppe romene.

L’inizio dell’offensiva era fissato per i fronti sud-ovest del Don al 19 novembre, per il fronte di Stalingrado al giorno successivo. Per attuare l’ “operazione Uranus” occorreva un’enorme attività organizzativa per mettere le truppe in piena efficienza in vista dei com­battimenti.

Era necessario rafforzare prima di tutto i fronti con uomini, armi, mezzi militari e vettovagliamenti; creare le riserve operative e strategiche; perfezionare la preparazione politico-militare delle truppe; dislocare in segre­to i raggruppamenti d’assalto nelle zone di par­tenza dell’operazione; organizzare il loro coor­dina­mento e la loro direzione.

I preparativi erano complicati dal fatto che il trasporto de­gli uomini e dei mezzi avveniva sotto il continuo bombardamento dall’aria su tre ferrovie a binario unico, fatto che limitava la velo­cità di afflusso.

Una particolare difficoltà nel garantire la se­gretezza del concentramento delle forze era rappresentata dal carattere prevalentemente stepposo delle zone dove si sarebbe lanciata la prossima offensiva.

Il successo delle operazioni dipendeva in pri­mo luogo dalle azioni delle unità corazzate e meccanizzate. Perciò, alla vigilia dell’offensi­va i fronti vennero rafforzati con unità e re­parti di carri armati. Complessivamente nei tre fronti erano allineati circa 900 carri ar­mati. Oltre 13.500 cannoni e mortai vennero messi a disposizione dell’arti­glie­ria, il doppio di quanti ne erano stati impiegati nella con­troffensiva di Mosca. L’aviazione contava più di 1.000 aeroplani.

Alla vigilia dell’offensiva le truppe sovietiche schierate sui tre fronti non potevano contare su una sostanziale superiorità rispetto al nemico. Ma con l’abile dislocazione delle for­ze e dei mezzi nelle direttrici degli attacchi principali, il comando sovietico riuscì a crea­re potenti blocchi di truppe. Tutte queste forze e mezzi furono preventivamente schiera­ti sulle posizioni di attacco grazie al lavoro organizzato nelle retrovie.

Sul Volga, da Sara­tov ad Astrachan, funzionavano ininterrotta­mente 50 traghetti a vapore. Furono costruiti numerosi ponti di barche. Il concentramento delle forze passò inosservato al nemico: le di­visioni in marcia mantenevano il più assolu­to silenzio radiofonico, tutti gli ordini veniva­no dati a voce. Vennero impiegate largamente anche misure per disorientare il nemico.

Un grande aiuto offrirono ai comandi milita­ri la popolazione e le organizzazioni del par­tito comunista della regione di Stalingrado. I lavoratori della regione contribuirono al rifor­nimento delle truppe con viveri e munizioni. Decine di migliaia di cittadini lavorarono alla costruzione di aeroporti, ponti sui fiumi e strade, aiutarono a trasportare le munizioni e a riparare i mezzi militari.

Verso la metà di novembre i preparativi per l’ “operazione Uranus” erano stati completa­ti. L’armata rossa era pronta a infliggere il colpo decisivo al nemico.

L’accerchiamento e la disfatta delle forze tedesche a Stalingrado

Il 19 novembre, alle 8,50 del mattino, dopo un massiccio bombardamento delle artiglierie, le truppe dei fronti sud-ovest e del Don scat­tarono all’offensiva. Una intensa nevicata e la nebbia mattutina impedirono l’intervento dell’aviazione.

Dopo avere infranto la resistenza delle truppe romene della III armata, il raggruppamento d’assalto del fronte sud-ovest riuscì ad avanzare alla fine del primo giorno di combattimenti di 30-35 km. Contemporaneamente penetra­rono profondamente nel dispositivo difensivo nemico anche le truppe del fronte del Don.

Dal mattino del 20 novembre, in condizioni meteorologiche sfavorevoli, passò all’attacco il fronte di Stalingrado. Dopo aver rotto la difesa della IV armata romena a sud della città, le truppe sovietiche si spinsero verso nord-ovest e verso sud-ovest. Il comando tedesco compì sforzi disperati per arrestare l’offensiva delle truppe sovietiche, ma tutti i tentativi di bloccarla o anche solo di rallentarla fallirono completamente.

Le unità mobili dei fronti sud-ovest e di Stalingrado avanzando rapidamente raggiunsero le ali della VI armata tedesca, facendo pesare sul rag­gruppamento nemico la minaccia dell’accer­chiamento.

Il 23 novembre, il 4° corpo corazzato sovie­tico del fronte sud-ovest al comando del mag­giore-generale A. Kravčenko si congiunse come previsto nella zona del villaggio di Sovjetskij con il 4° corpo meccanizzato del fronte di Stalingrado comandato dal maggiore-generale V.T. Volski, realizzando così l’accer­chia­mento di un grande raggruppamento nemico forte di ben 22 divisioni.

Di rincalzo alle unità mobili avanzò la fanteria dei due fronti. Per non con­sentire la rottura dell’anello da parte del rag­gruppamento circondato o il suo sblocco dall’esterno, le truppe sovietiche continuarono l’avanzata per allargare il corridoio stabilito tra le truppe tedesche nella prima fase dell’ope­ra­zione. Respingendo con successo i con­trattacchi del nemico, esse giunsero la sera del 30 novembre sulla linea dei fiumi Čir e Don. Nel frattempo vennero condotte attive azioni anche sul fronte interno dell’accerchiamento.

La sera del 30 novembre la superficie occu­pata dal raggruppamento circondato si era già ridotta di oltre la metà e non superava ormai i 1.500 kmq. Questo settore venne martellato in modo massiccio dal fuoco dell’artiglie­ria so­vietica.

Il 22 novembre, ancor prima che l’accerchia­mento fosse completato, il comandante della VI armata tedesca generale von Paulus convo­cò a Gumrak la riunione dei comandanti dei corpi, i quali giunsero all’unanimità alla conclusione che una lunga lotta difensiva all’in­terno della gigantesca sacca avrebbe portato alla catastrofe e che per evitarla bisognava spingersi immediatamente con il grosso delle forze verso sud-ovest.

Il generale von Paulus chiese a Hitler l’autorizzazione a rompere l’ac­cerchiamento verso sud-ovest, ma ottenne un inflessibile rifiuto accompagnato dalla pro­messa che sarebbero state prese tutte le mi­sure per garantire il normale rifornimento dell’armata e contemporaneamente liberarla dall’accerchiamento.

Alla fine di novembre e nei primi giorni di dicembre i tedeschi fecero un primo tentativo di liberate le divisioni circondate, lanciando un contrattacco nella zona del fronte sud­ovest. Ma l’avanzata dei carri tedeschi fu bloccata e respinta. Nel tentativo di ristabilire la situazione nel sud, il comando tedesco decise di creare in tutta fretta un nuovo gruppo di armate “Don”, nel quale furono comprese le truppe che ope­ravano nella grande ansa del Don, insieme al gruppo di armate circondato nella zona di Stalingrado.

A questo gruppo di armate, co­mandato dal maresciallo von Manstein, venne assegnato il compito di arrestare l’offensiva delle truppe sovietiche e, attaccando dalle zo­ne di Kotelnikovo e Tormosin verso Stalin­grado, di raggiungere le truppe circondate, unirsi a esse e ristabilire il precedente fronte di difesa. Il rifornimento del raggruppamento accerchiato sarebbe stato assicurato per via aerea.

Il comando sovietico intuì tempestiva­mente i piani del nemico e si preparò effica­cemente a respingerne i contrattacchi: raffor­zò i propri raggruppamenti che operavano sul fronte esterno del “corridoio”, organizzò la caccia contro l’avia­zione da trasporto nemica. In dicembre vennero distrutti in aria o negli aeroporti oltre 750 aerei da trasporto tede­schi.

L’annientamento dell’armata di von Pau­lus fu affidata al fronte del Don, comandato dal tenente-generale Rokossovski.

Lo stato maggiore del comando supremo era rappresen­tato dal colonnello-generale Voronov. Tutta­via la realizzazione di questo obiettivo dovet­te essere provvisoriamente rinviato.

Il 12 dicembre dal distretto di Kotelnikovo, lungo la ferrovia Tichoreck-Stalingrado, co­minciò ad avanzare il 57° corpo corazzato del gruppo di armate Hoth. Sotto la forte pressione delle preponderanti forze nemiche la LI armata del fronte di Stalingrado, che ope­rava su questa linea, fu costretta a ritirarsi verso nord-est.

Tuttavia il 15 dicembre essa riuscì ad arrestare l’avanzata tedesca e nei giorni successivi resistette eroicamente alla pressione del nemico. Il 19 dicembre il grup­po di armate Hoth riprese l’offensiva e il 23 dicembre raggiunse il flume Myškova, a una distanza di circa 40 km dalle truppe della VI armata circondate.

Per respingere l’offensiva nemica venne inviata nella zona di Kotelni­kovo la II armata della guardia comandata dal tenente-generale Rodion Malinovski, desti­nata in precedenza alla liquidazione del rag­gruppamento nemico circondato.

Nelle dure condizioni dell’inverno russo le truppe di Ma­linovski si spinsero con una marcia forzata di 40-50 km al giorno verso il fiume Myškova, dove il nemico tentava di ampliare la pro­pria testa di ponte. Appena giunta a contatto col nemico la II armata sovietica lo attaccò di slancio senza arrestarsi.

Il 24 dicembre l’ar­mata Malinovski passò all’offensiva con una azione coordinata con una parte delle forze della V armata d’assalto e della LI armata. Dopo avere infranto la resistenza tedesca, le truppe sovietiche occuparono il 29 dicembre Kotelnikovo.

Venne cosi realizzato l’obiettivo di impedire il nuovo tentativo del nemico di sbloccare l’armata di von Paulus, chiusa irri­mediabilmente nella sacca di Stalingrado, che ora appariva condannata senza scampo alla totale distruzione. Al successo dell’azione contribuirono le truppe dei fronti di Voronež e di sud-ovest.

Il mat­tino del 16 dicembre, dopo un ora e mezza di fuoco di artiglieria, le truppe dei fronti di Voronež e di sud-ovest sfondarono la dife­sa del nemico in alcuni punti e la sera del 24 dicembre avevano realizzato un’avanzata di 100-200 chilometri.

In otto giorni di duri combattimenti esse inflissero una severa scon­fitta all’VIII armata italiana e all’ala sinistra del gruppo di armate “Don”, creando così una minaccia di profondo accerchiamento dal nord del grosso delle sue forze.

Il 30 dicembre le truppe sovietiche avanza­rono profondamente nelle retrovie del nemi­co sulla linea Nikolskaja-Ilinka.

Nel tentativo di arrestare l’avanzata dei fron­ti di Voronež e di sud-ovest, il comando te­desco fu costretto a fare affluire frettolosa­mente 8 divisioni destinate in precedenza allo sblocco delle truppe di von Paulus.

Agli inizi del gennaio 1943 la situazione delle truppe chiuse nella sacca peggiorò notevol­mente. L’anello dell’accerchiamento si restrin­geva sempre più. Ai tedeschi mancavano ri­serve di qualsiasi genere. Le munizioni e il combustibile stavano per fi­nire. I morale delle truppe accerchiate era bassissimo anche se i soldati continuavano a combattere.

Nel tentativo di evitare un inutile spargimen­to di sangue, l’8 gennaio 1943 il comando so­vietico offrì a von Paulus la resa con l’onore delle armi, proponendogli di cessare l’insensa­ta resistenza. Sperando sempre nell’arrivo dell’armata di “soccorso” e in obbedienza agli ordini di Hitler, von Paulus respinse la ge­nerosa offerta.

Il 10 gennaio 1943 le truppe del fronte del Don passarono quindi all’an­nientamento del raggruppamento accerchiato.

Superando la forte resistenza del nemico, le truppe del fronte giunsero il 17 gennaio a Voroponovo; il comando sovietico propose di nuovo a von Paulus di arrendersi. Ma anche questa proposta fu respinta.

Le truppe del fronte del Don continuarono gli attacchi e il 25 gennaio le avanguardie sovietiche giunsero a Stalingrado dall’ovest. Alla sera del 26 gen­naio le truppe della XXI armata si congiun­sero nella zona della collina di Mamai alle truppe della LXII armata, spezzando così in due parti il raggruppamento accerchiato. La combattività del nemico diminuiva ora per ora e molti soldati cominciavano ad arrendersi.

Il 31 gennaio venne spezzata definitivamente la resistenza del gruppo meridionale e il 2 feb­braio quella della parte settentrionale dell’ar­mata di von Paulus.

Le truppe del fronte del Don avevano annien­tato 22 divisioni, facendo prigionieri 91 mila tra soldati e ufficiali con lo stesso maresciallo von Paulus (Hitler lo aveva promosso sul campo sperando così di indurlo a non arren­dersi e a sacrificare fino all’ultimo i suoi sol­dati) e conquistando una ingente quantità di armi e mezzi militari.

Nel corso dell’offensiva, durata due mesi e mezzo, vennero sbaragliate complessivamente 5 armate fasciste. Le perdite in uomini delle truppe tedesche e alleate superarono, dal 19 novembre 1942 al 2 febbraio 1943, gli 800 mila uomini.

Nello stesso periodo l’armata ros­sa distrusse o catturò 2.000 carri armati e can­noni semoventi, oltre 10 mila cannoni e mor­tai, 2.000 aerei da combattimento e da tra­sporto, oltre 70 mila automezzi.