Unità comunista: è ora di scegliere da che parte stare

bandiererosse quadrodi Alessandro Mustillo*
da lariscossa.com

Riceviamo dal compagno Alessandro Mustillo e pubblichiamo come contributo alla discussione sulle prospettive dei comunisti in Italia

Non è un mistero che nelle ultime settimane il dibattito sull’unità comunista abbia compiuto alcuni piccoli ma significativi passi. Lo scorso 12 agosto alla festa organizzata da Marx21 si è tenuto un confronto pubblico tra Partito Comunista e Partito Comunista Italiano, coordinato da Stefano Barbieri. Nei giorni precedenti a Roma un incontro tra due delegazioni dei partiti, guidate dai rispettivi segretari, aveva discusso in modo franco e sereno della situazione, con uno scambio di opinioni sulla lettura della fase e sulle prospettive. In entrambe le occasioni, erano emerse alcune valutazioni comuni, altre che evidenziano delle diversità di vedute.

L’unità comunista è un tema che sta a cuore alla parte più attiva dei lavoratori e della gioventù. Molti compagni persi nelle diaspore di questi anni, non sono iscritti a nessuna organizzazione proprio in attesa di qualche passo in avanti della questione comunista, in una direzione unitaria. Tutti, lavorando ogni giorno per far avanzare le lotte, sappiamo quanto sminuisca il nostro lavoro politico la frammentazione, con la conseguenza di essere percepiti come irrilevanti e privi di credibilità. Coscienti di queste situazioni, come Partito Comunista, non ci siamo sottratti a questi confronti.

Nel documento approvato dal II congresso nazionale del Partito Comunista si legge: «Il Partito deve levare in alto la parola d’ordine dell’unità invitando ad un cammino comune con tutti quei compagni che si pongono su questo terreno. Aumentando le iniziative di discussione e dibattito, non temendo il confronto, ma valorizzando nella dialettica delle posizioni le prospettive concrete di avanzamento. L’unità è nulla se ad essa non corrisponde unità ideologica e di visione strategica». Questa linea generale, con le sue articolazioni più specifiche, è stata costantemente ribadita in tutte le sedi. Alcuni mesi fa l’Ufficio Politico del PC aveva ribadito con una posizione articolata in dieci punti la base per una discussione comune sulla questione unitaria. Nel comunicato dell’UP, si poneva addirittura la possibilità di «mettere in discussione la nostra organizzazione», precisando che tale prospettiva era condizionata dal determinare «un avanzamento e non un passo indietro su quanto, anche se ancora insufficiente, faticosamente è stato costruito in questi anni». Nessuna difesa sterile di posizioni individuali o “piccoli orticelli”, ma al contrario la massima disponibilità all’unità a patto che il processo unitario si costruisse a partire da «un dibattito serrato su questioni di carattere strategico e un’unità nel conflitto di classe».

La posizioni è stata ribadita anche negli incontri di agosto. In queste occasioni abbiamo affermato che il presupposto per intavolare una discussione sull’unità comunista è chiarire i rapporti con le altre forze della sinistra. Già nel documento dell’UP si diceva esplicitamente: «l’autonomia politica dei comunisti deve essere tale anche nei confronti delle forze di “sinistra” […] unità dei comunisti e unità della sinistra non sono sinonimi, e non sono neanche processi che possono marciare insieme. Non bisogna mischiare queste due parole d’ordine con tanta leggerezza, perché dietro ad esse esistono prospettive incompatibilmente divergenti. Pensare di unire i comunisti per poi unirsi con forze di sinistra che hanno prospettive strategiche opposte alle nostre è opportunismo della peggior specie». Questa posizione è stata ribadita, avvisando che la discussione sull’unità comunista avrebbe potuto assumere forme più profonde e reciprocamente vincolanti, solo a patto che fosse chiarita la divergenza strategica rispetto ad alleanze di sinistra, anche a livello regionale e locale. In poche parole: per costruire l’unità comunista è necessario discutere; per sedersi a discutere è necessario condividere una valutazione sul fine ultimo di quello che vogliamo fare: non rifare gli stessi errori del passato legando i comunisti a alleanze con forze borghesi.

Non è possibile continuare a giocare su due tavoli. Da una parte c’è la prospettiva dell’unità comunista. Un processo che richiederà tempo e un serio dibattito di natura teorica e strategica, ma su cui negli ultimi mesi sono stati fatti alcuni primi passi in avanti. Dall’altra c’è il protrarsi di comportamenti e atteggiamenti tipici dell’opportunismo, di chi insegue improbabili coalizioni con la sinistra appena fuoriuscita dal PD a livello locale e regionale. I due processi non sono sommabili, l’uno esclude l’altro. La classe operaia e le masse popolari hanno bisogno di un forte e coerente Partito Comunista, che sappia realmente porsi alla testa delle lotte, rafforzarle e dirigerle, non di nuove inconcludenti ammucchiate a sinistra. Porre il ragionamento dell’unità comunista, come premessa per ricondurre tutti al di sotto nuove coalizioni di sinistra-centro/sinistra, sarebbe non solo inutile ma anche tremendamente dannoso. Ma soprattutto chiuderebbe le porte ad ogni possibilità reale di intraprendere un processo di unità comunista. Lo abbiamo detto e lo sosterremo con forza: non siamo interessati ad alcun processo unitario dei comunisti che sia concepito come tappa per una “più larga unità della sinistra”. O con noi, o con loro.

Non si tratta di settarismo ma di analisi della condizione reale e della natura di queste forze. MDP è un partito formato da un pezzo di classe dirigente del Pds-Ds-Pd, che è stata l’asse centrale del governo di centrosinistra nella seconda metà degli anni ’90, e parte fondamentale del secondo governo Prodi. Tutt’ora, al di fuori di proclami e comunicati, sostiene il governo Gentiloni, è quindi forza di governo. Porta su di sé la responsabilità delle politiche di attacco ai diritti dei lavoratori, la partecipazione dell’Italia alle alleanze imperialiste. Solo in ordine di tempo va menzionato il voto a favore della missione nelle acque libiche. Ma non si tratta solo di una sommatoria di singole posizioni. MDP è parte integrante di una visione socialdemocratica di piena accettazione del capitalismo. Il ragionamento, salvo alcune sfumature di posizioni, e una maggiore vocazione all’opposizione a livello nazionale, vale anche per Sinistra Italiana. Anche in SI non esiste alcuna visione strategica di rovesciamento dei rapporti di produzione capitalistici, ma solo posizioni socialdemocratiche di sinistra. Di conseguenza su questioni cruciali come l’atteggiamento nei confronti della UE esiste un fossato con i comunisti. L’attuale SI viene in maggioranza dal gruppo dirigente di Rifondazione Comunista che si è adoperato per la liquidazione finale dei comunisti. Non dimentichiamoci poi la partecipazione ai governi regionali con tutto ciò che ne consegue. Non stiamo parlando di recriminare verso fatti passati, ma di posizioni che oggi vengono rivendicate e professate da queste organizzazioni. Quindi prospettare alleanze con queste forze in Sicilia, come a Roma, nelle città di provincia e nelle grandi metropoli, significa rifiutare l’autonomia dei comunisti rispetto alle forze borghesi.

Allearsi con i partiti della “sinistra” aiuta la ricostruzione comunista? Noi pensiamo di no, ma dal momento che non esistono dogmi da applicare, ma valutazioni e analisi provo a sintetizzare alcuni motivi per cui da un’alleanza i comunisti hanno più da perdere che da guadagnare.

Si tratta di forze largamente screditate agli occhi dei lavoratori e delle masse popolari, ritenute – giustamente – colpevoli delle politiche attuate in questi anni. Dovremmo lavorare per dissociare i comunisti dall’immaginario di questa sinistra, processo non semplice in un Paese in cui comunista è diventato attributo privo di valore reale, e in cui tutti nel centrosinistra sono berlusconianamente “comunisti”. Di certo allearsi con loro è un pessimo modo per dissociarsi, e il risultato è perdere più consensi di quanti se ne acquistano.

Si tratta di organizzazioni che non hanno alcun radicamento reale e organizzato nella classe operaia, per cui allearsi con loro non serve a creare contraddizioni in settori di massa e portarli sulle posizioni comuniste. Sono partiti per lo più di opinione al pari del Pd e dei partiti di centrodestra, radicati al più nelle stanze di comando dei sindacati, con esponenti compromessi nella gestione maggioritaria della linea sindacale. Il compito dei comunisti non dovrebbe essere conquistare settori di dirigenze sindacali compromesse, ma strappare a loro la fiducia dei lavoratori.

Quanto ai riferimenti economici, spesso esistono legami con settori del capitale, e specialmente del mondo cooperativo, oggi del tutto allineato in termini di interessi e sfruttamento con il capitale monopolistico tradizionale, e non più parte cinghia di trasmissione di un progetto di cambiamento di società. Anche a livello locale, quindi il risultato sarebbe porre i comunisti alla coda degli interessi di settori del capitale contrapposti ad altri settori. Un’ottica non certo di rottura.

Ogni ipotesi di condizionare in positivo l’azione di quei partiti, e dei rappresentanti eletti, si scontrerebbe con un contesto assai arretrato di rapporti di forza che vede i comunisti in una fase di resistenza più che di attacco. Spesso si tende ad applicare meccanicamente alcuni ragionamenti del passato- non è questo il luogo per dire se giusti o sbagliati strategicamente allora – fondati sulla presenza di un forte campo socialista, e di un movimento comunista internazionale forte, organizzato in un quadro di crescente lotta di classe e presenza di lotte sindacali, di movimento ecc. Allora l’idea di condizionare settori della socialdemocrazia poteva avere un fondamento nei rapporti di forza, oggi riproporla significa non tenere in conto la condizione reale. La storia degli ultimi anni ha dimostrato che è molto più facile che i comunisti si adagino su posizioni socialdemocratiche che non viceversa. Da qui inoltre la spiacevole conseguenza di vedersi disarmati di fronte a prese di posizione dei futuri rappresentanti eletti nelle liste comuni che esprimono posizioni contrarie alla linea dei comunisti che li hanno sostenuti. Solo per citare un esempio il voto favorevole di Fassina al comune di Roma, insieme a PD, Cinque Stelle e destra, alla mozione di condanna al governo venezuelano. Atti che alimentano confusione e non contribuiscono di certo a fare chiarezza.

Non mettendo in discussione i rapporti di produzione e alcuni assunti fondamentali della strategia delle classi dominanti italiane, come la presenza nella UE, e i conseguenti vincoli di bilancio ecc, non si è in grado neanche a livello locale di indicare con chiarezza i responsabili dei tagli alle politiche sociali, delle privatizzazioni, con critiche che rimangono armi spuntate. Per di più, la condizione di forze di opposizione è determinata in SI e MDP, non da una scelta di campo, di opposizione al sistema borghese, ma da una scelta del PD di guardare ad alleanze locali con altre forze. Questo non esclude voti comuni e possibili rovesciamenti di fronte, su questioni importanti in cui riemerga a livello locale la vecchia tendenza di centrosinistra. Anche questo finirebbe per disorientare ulteriormente.

Per tutte queste ragioni i comunisti hanno molto più da perdere che da guadagnare da qualsiasi alleanza.

Al contrario la partecipazione comunista alle elezioni con proprie liste autonome, anche in un quadro di generale sfiducia nel sistema della rappresentanza, che non spetta di certo a noi invertire, consente di sfruttare occasioni, spazi, e mezzi per far conoscere le proprie posizioni e per guadagnare fiducia tra i lavoratori. Perché nessuno mette in discussione la correttezza di un approccio leninista sulle elezioni, e sulla possibile elezione di rappresentanti comunisti nelle assemblee elettive. Un approccio tattico finalizzato a rafforzare le posizioni del Partito e la sua lotta, con delegati determinati, fedeli alla linea, con limitazione dei salari al livello di normali lavoratori che escludano ogni privilegio. I rapporti di forza oggi difficilmente permettono l’elezione di comunisti, ma non ci sono scorciatoie: lavorare oggi per la costruzione di liste comuniste getta le basi per un rafforzamento della ricostruzione comunista, in cui l’eventuale elezione di rappresentanti è solo un elemento in più, finalizzato anch’esso al rafforzamento delle lotte e della costruzione del Partito.

Insomma se si deve discutere di unità comunista bisogna farlo seriamente e senza giocare su tavoli diversi. L’unità comunista non può essere concepita come parallela all’unità della sinistra o peggio ancora come un ripiego dopo il rifiuto ad essere accettati in alleanze unitarie di sinistra. L’unità che si cercherebbe in questo senso, è un mero ripiego. Serve una completa rottura, serve impostare la ricostruzione comunista su una strategia comunista, e non come prosecuzione della stagione opportunista che abbiamo vissuto con esiti distruttivi. Senza di questo discutere di unità è un passo indietro, non certo un passo avanti.

*membro dell’Ufficio Politico del Partito Comunista