Dove siamo diretti?

di Bruno Steri | da www.esserecomunisti.it

prospettivepericomunisti bannerPubblichiamo come contributo alla discussione

Sintesi dell’intervento di Bruno Steri al Comitato politico nazionale di Rifondazione Comunista del 10 marzo 2013

Prenderò in considerazione tre questioni.

La prima. Com’è evidente a tutti, i risultati di queste elezioni politiche non sono risultati qualsiasi, se è vero che il M5S risulta oggi primo il partito alla Camera, dopo aver risucchiato milioni di voti a Pd e Pdl e, per quel che ci riguarda più da vicino, contribuendo in modo determinante a soffocare sul nascere la neonata lista Rivoluzione Civile. Parimenti la nostra sconfitta, situata dentro un tale terremoto, non è una sconfitta qualsiasi. Bisognerà riflettere bene su quello che è successo. Ma intanto, per onestà intellettuale, dico con nettezza che io non avevo previsto l’evento in queste sue abnormi dimensioni.

Certo, alcune linee di tendenza erano già visibili; ma non era immaginabile, almeno per me, l’entità del fenomeno e del nostro disastro. Ho condiviso la linea politica che nei mesi recenti ha tentato di costituire una coalizione elettorale per scavalcare la soglia del 4%. E, come è stato detto da altri compagni a cominciare dal segretario, anche io ho espresso soddisfazione per essere riusciti a costruire questa coalizione e aver trovato altresì una persona autorevole per l’incarico di portavoce. Il fatto è che siamo usciti pesantemente sconfitti: e ciò mi chiama in causa come iscritto a questo partito e come membro della sua Direzione. Credo che ciascuno, come primo atto, debba assumere sul piano individuale le proprie responsabilità. Ecco perché io penso che non ci sarebbe neanche da discutere sul fatto che il gruppo dirigente debba rassegnare le dimissioni: in una circostanza come questa, sono un atto dovuto. Non sarebbe comprensibile un’altra cosa.

Aggiungo che dobbiamo fare presto a discutere sul da farsi. E’ stato detto: apriamo subito il congresso. Giusto. Ma – si è aggiunto – per convocarlo concretamente entro fine anno. Questo fa invece problema. Intanto perché stiamo per entrare in una fase politica delicatissima, dove si decideranno le sorti di questo Paese per un’intera fase. Chi avrà il compito, per noi, in una situazione già compressa dal punto di vista mediatico, di rappresentare le nostre tesi, le nostre proposte? Un segretario dimissionario e indebolito? Penso sia sbagliato. Penso che dobbiamo immediatamente mandare il segnale che siamo consapevoli di aver subìto una battuta d’arresto di queste dimensioni. E che vogliamo metterci mano. Lo dobbiamo fare per rispetto dei nostri iscritti, ma anche con l’attenzione rivolta all’esterno, al messaggio che inviamo fuori di qui. Non voglio cacciarmi dentro il dilemma congresso sì/congresso no. Chiamatelo come credete. Se è un congresso, confiderei nell’intelligenza del gruppo dirigente uscente di trovare le modalità adatte. Capisco le preoccupazioni di quei compagni che non vogliono trovarsi dentro una guerra interna. Ma qui non c’entra nulla la resa dei conti: se ci fosse qualcuno che volesse mettersi alle spalle di qualcun altro per pugnalarlo, meriterebbe e meriteremmo tutti di andare a casa. Un rinvio sarebbe a mio parere il segnale peggiore.

Ci occorre subito uno strumento in cui tutti ci riconosciamo e che ci serva per fare le cose che dobbiamo fare, ciò di cui abbiamo bisogno non tra un anno, ma domani. Cioè cosa? Una sede in cui immediatamente ci mettiamo a discutere di tre questioni. Primo: capire cosa è successo. Secondo: come se ne esce, come proseguiamo. Terzo: seria verifica dei gruppi dirigenti. Non sarà mica un dramma: chiunque sarà, fossero anche gli stessi, avrà la legittimazione per affrontare quelli che saranno mesi durissimi e per tentare un recupero. Questo è il punto; e dobbiamo fare presto, per tradurre il disorientamento in un sistematico confronto sulle prospettive, senza far passare mesi e mesi. D’altra parte compagni, come ho detto in direzione, il congresso è già iniziato, basta accendere il computer e farsi un giro in rete per rendersene conto: vogliamo che prosegua così, senza che il gruppo dirigente abbia il coraggio di istruire un percorso? Si è detto, un congresso che sia preparato: sono d’accordo. Troviamo le modalità, ma per favore, facciamolo subito. E attenzione: non vedrei bene se per mesi ci esercitassimo semplicemente a tenere dei seminari. Guardate, so benissimo che ci sono importanti nodi di analisi da sciogliere, punti strategici da mettere a fuoco. Porto in proposito un esempio. Un compagno che stimo, Mimmo Porcaro, scrive che io avrei prodotto sull’Europa delle buone analisi, giustamente impietose, ma che mi sarei sottratto al momento di trarre da esse le necessarie conclusioni. E’ un giudizio legittimo, con cui – non penso per il passato, ma per l’oggi – sono obbligato a fare i conti. Perché è evidente che, sul tema, è necessario un aggiornamento: non può sfuggire a nessuno che il voto è stato anche un voto anti-europeo, sia sul versante berlusconiano che su quello grillino. E’ evidente che ciò richiede da parte nostra un’accurata riflessione. Però, compagni, guai a noi se pensassimo di rispondere all’attuale impasse chiudendoci per mesi unicamente in una serie di iniziative seminariali, per quanto necessarie, mentre oggi ci è richiesto con urgenza un primo e prioritario atto con cui si dica che noi ci siamo, siamo consapevoli del tracollo che abbiamo subìto e vogliamo tentare di metterci mano immediatamente.

Rapidamente sugli altri due punti. Il secondo: la lista Ingroia è fallita. Penso si debba dire con nettezza. Tornerò in altra sede per dire la mia in termini più esaustivi su questo voto, che giudico uno spartiacque storico, un esito in cui sono precipitate tendenze di lungo periodo: tra cui , come qualcuno ha detto, il passaggio da un voto “di appartenenza” (ideologica) a un voto che premia le “competenze” (concrete), espressione – più in profondità – della crisi, per il nostro Paese ma non solo, di quello che un filosofo marxista (Louis Althusser) definì la vicenda più importante del Novecento, l’incontro tra teoria marxista e movimento operaio.

Esistono certamente cause remote a spiegazione del nostro fallimento elettorale, che affondano le radici nella storia ventennale di Rifondazione Comunista. Ma penso sarebbe errato non considerare con attenzione le cause prossime, quelle peraltro già indicate da molti interventi e individuate nel tipo di campagna elettorale e nel carattere impresso alla lista. Per forza di cose, dò per acquisito il ruolo essenziale e fortemente penalizzante giocato da vincoli esterni quali la scandalosa legge elettorale in vigore. Mi concentro su quello che a me è parso il limite soggettivo più grave. Posto che si decida di partecipare ad elezioni, occorre sapere quali siano le caratteristiche essenziali della competizione in cui si è immessi. Siamo dentro una scena politica in cui un partito dell’8% può franare nel giro di un mese, a seguito delle rivelazioni di una trasmissione televisiva: questo è precisamente quanto accaduto all’Idv. Al di là del merito, qui mi preme sottolineare l’estrema volatilità degli insediamenti politici. Le fortune politiche vanno e vengono oggi con una rapidità inconsueta. Il voto non si sottrae a tale fragilità: oggi, prevalentemente, non si vota perché si aderisce ad un insieme di fondamentali (ideologie, valori, idee-forza ecc), si vota sulla spinta della propria condizione congiunturale.

Una condizione che è oggi di grande sofferenza sociale, o comunque percepita come non più tollerabile, come è il caso di un’alta percentuale della popolazione italiana. Grillo ha saputo sintonizzarsi con quest’aria che tira, raccogliendo la diffusa rabbia sociale, sparando ad alzo zero e mettendo sul banco degli imputati l’inutilità e, di più, la dannosità della classe politica nel suo complesso (avendo altresì un populistico buon gioco nello spostare l’attenzione dai riservati salotti del capitalismo finanziario nostrano e globale alle visibilissime nefandezze della “casta”). Grillo è portatore di un impianto ideologico assai pericoloso (non ho il tempo per soffermarmi su questo), ma gli 8 milioni e mezzo di voti che ha raccolto sono un voto popolare: a Roma, il M5S prende nella cintura periferica (Tor Bellamonaca, Primavalle ecc) tra il 35 e il 40%, mentre al centro, nei quartieri del “ceto medio riflessivo”, non va oltre il 17/18%. Lo hanno votato avvocati, ingegneri, artigiani e padroncini strangolati dalla crisi, ma anche lavoratori, precari e senza lavoro. Il flop di Rivoluzione Civile è tutto qui: si è presentata a un Paese che ribolle di rabbia con un profilo politico “giuridico”, con il volto della legalità. Come dire: fuori tema. In televisione (strumento che, secondo Ilvo Diamanti, rispetto ad altri strumenti influisce per il 60% nella formazione del consenso elettorale) sostanzialmente abbiamo visto solo Ingroia e Di Pietro: validissimi magistrati anti-mafia, ma che certamente non hanno dato alla campagna elettorale l’imprinting della lotta sociale. Il risultato è che non solo non sono stati guadagnati consensi nuovi, ma anche si è perso una parte di quelli che avevamo come Rifondazione. Bisogna dunque essere grati per l’impegno di chi si è speso senza riserve, raccogliere le risorse residue e voltare risolutamente pagina.

Terzo e ultimo punto. Voltare pagina per andare dove? A questo dovrebbe rispondere la discussione che abbiamo richiesto con urgenza. Qui mi limito ad un’unica propedeutica considerazione. Ieri un compagno della Sardegna con cui chiacchieravo mi diceva: come parte del corpo militante di Rifondazione, sai qual è un mio sogno ricorrente? Poter dare un volantino o attaccare un manifesto con un determinato simbolo e ritrovare quello stesso simbolo alle elezioni: senza cioè dover faticosamente spiegare che quello sulla scheda elettorale è il simbolo per cui chiedo il voto ma che include anche il simbolo del mio partito ecc ecc ecc. E’ evidente che c’è in questo l’individuazione di un limite di visibilità: molti tra noi si son sentiti dire “Ma dove diavolo siete finiti?”. Più a fondo, c’è un limite di identità: di qui la critica secondo cui, di assemblaggio in assemblaggio, abbiamo perso per strada la nostra anima (o, se si vuole, un’anima quale che sia, purchè riconoscibile), cioè la capacità di presentare una progettualità politica utile e che guardi al futuro; non il residuo di qualcosa che è stato e che attraverso espedienti cerca ancora cittadinanza politica. Ciò mi porta a dire che si può e si deve continuare a perseguire con tenacia l’obiettivo della costituzione di un soggetto politico della sinistra di alternativa: a patto però che non sia percepito come un mero aggregato. Una forza politica collocata a sinistra delle forze del socialismo europeo, come esiste nel resto del continente, entro cui riunire e far vivere la voce e la forza dei comunisti. Per l’Italia, a quanto pare, non si è rivelato un compito semplice. Ma, per quel che riesco ora a vedere, non ce n’è un altro: a meno che non si voglia alzare bandiera bianca e rifluire mestamente nell’alveo di un centro-sinistra che peraltro esce duramente sconfitto e con la realistica prospettiva di virare ulteriormente verso il centro. Nel frattempo, in vista di un tale compito, va preservata e valorizzata la risorsa – fiaccata e tuttavia esistente – costituita dalle compagne e dai compagni di Rifondazione Comunista.

(foto di Marco Ravera)

Bruno Steri