Afghanistan: l’invasione che non ha mai fine

Afghanistan1di Leandro Albani*
da www.resumenlatinoamericano.org

Traduzione di Marx21.it

Una stima di 20.000 civili morti. L’infrastruttura di un paese devastata. Una crisi politica interna che sembra non avere fine. 3.485 soldati stranieri uccisi, 2.536 dei quali statunitensi. 686 milioni di dollari per sostenere un’invasione che non ha risolto nulla di ciò che ha trasmesso la propaganda né libertà, né democrazia, né stabilità. E la scusa della “lotta contro il terrorismo” smascherata con il passare dei giorni, ora riadattata dalla Casa Bianca per mantenere il suo controllo lontano da casa. Queste sono solo una parte delle conseguenze che ha lasciato l’Operazione “Libertà Duratura” che Washington aveva iniziato insieme all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) in Afghanistan nel corso del 2001.

Assassinato Osama Bin Laden, sconfitti i talebani del potere afgano e con un presidente che aveva assunto il mandato offrendo una politica di guerra differente da quella di George W. Bush, l’Afghanistan continua a sprofondare nel caos e nella guerra.

Sebbene la Casa Bianca abbia annunciato formalmente il ritiro delle truppe dal paese asiatico, in territorio afgano rimangono 12.500 soldati statunitensi con la scusa di addestrare le forze di sicurezza locale (circa 350 mila effettivi) e di collaborare nei combattimenti contro i talebani, che da 13 anni resistono in armi dal sud afgano, cercando di restaurare il loro potere basato su una interpretazione ortodossa dell’Islam, come avevano già fatto tra il 1996 e il 2001 sotto la guida di Mohammed Omar (il mullah Omar).

Il presunto ritiro statunitense dall’Afghanistan lascia, perlomeno, una infinità di dubbi sul futuro del paese e della regione. La nazione afgana, con un’ubicazione strategica in Asia, confina con l’Iran, con un paese (il Pakistan) adiacente alla Cina ed è vicina al sud della Russia. Teheran, Pechino e Mosca, tre capitali con cui gli Stati Uniti hanno aumentato le loro divergenze, ma da cui pure dipendono economicamente (in particolare con la Cina). Tre paesi che contendono l’egemonia a Washington – a seconda del loro potere militare, politico ed economico. Nel caso dell’Iran, il governo di Teheran – secondo i precetti della Rivoluzione Islamica –, si è trasformato in uno dei protagonisti indiscussi nel Medio Oriente, denunciando i massacri di Israele in Palestina, ma anche appoggiando gli stessi palestinesi nella loro resistenza contro Tel Aviv. Inoltre, l’Iran non ha esitato a portare alla luce i piani statunitensi per la regione e, a sua volta, si erige come potenza emergente con la capacità di mediare nei conflitti regionali, come sta cercando di fare in Siria.

I numeri e i morti

“Insieme abbiamo sottratto il popolo afgano alle tenebre della disperazione e gli abbiamo dato speranza nel futuro”, così si è espresso il generale John Campbell davanti ai soldati della NATO in una cerimonia solenne di congedo delle truppe dell’Afghanistan.

Cerimonia solenne, quasi segreta e sottoposta ai più rigorosi controlli di sicurezza, perché una realtà cresce di giorno in giorno in terra afgana: gli attacchi talebani si sono inaspriti, colpendo con durezza le forze straniere.

Stime delle Nazioni Unite indicano che le vittime civili sono aumentate del 19% nel 2014, con 3.188 morti alla fine di novembre, la cifra più alta dal 2008. A questo si aggiunge il fatto che 4.600 membri della polizia e dell’esercito afgani sono morti nei dieci primi mesi del 2014. Il giornale The Washington Post ha segnalato che dei 2,6 milioni di militari che dal 2001 hanno combattuto in Iraq e Afghanistan, più di 800.000 sono ritornati con ferite fisiche o psichiche. Negli Stati Uniti, cifre di questo tipo rimandano alla sconfitta subita nel Vietnam. Non solamente per l’impatto delle perdite e dei feriti, ma perché questi ultimi ritornati nel loro paese, vengono relegati e dimenticati senza ricevere alcuna assistenza.

La catena Russia Today ha segnalato che l’Afghanistan si è trasformato nel paese in cui più bombardamenti sono stati scatenati contro i civili. Solo tra il 2009 e il 2013, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno effettuato 18.274 bombardamenti contro obiettivi che non avevano nulla a che vedere con i talebani, il terrorismo o qualsiasi altra organizzazione che opera entro le frontiere.

Non bisogna dimenticare che nella lotta contro “il terrorismo”, Washington non ha risparmiato bombe, lanciate nella loro maggioranza da droni, contro la frontiera afgano-pakistana, assassinando centinaia di abitanti di quel paese e ricevendo dure critiche dal governo di Islamabad.

L’invasione militare ha lasciato anche un saldo di 765 mila persone evacuate. L’Alto Commissariato dell’ONU per i Rifugiati calcola che entro un anno la cifra aumenterà del 25% e colpirà 900 mila abitanti.

Di fronte a un panorama devastante, a cui si deve aggiungere la distruzione dell’infrastruttura, gli Stati Uniti hanno utilizzato quasi 700 mila milioni per il loro attacco all’Afghanistan. Denaro estratto direttamente dai portafogli degli statunitensi che sono ancora colpiti dalla crisi economica che vive il paese.

L’affare dell’oppio

Le inchieste e le denunce si sono accumulate nel corso di questo decennio e provano che dall’arrivo degli Stati Uniti in Afghanistan la produzione di oppio nel paese – per la lavorazione dell’eroina – è cresciuta in modo esponenziale.

La produzione mondiale dell’eroina, secondo l’ONU, ammonta a 430 o 450 tonnellate, delle quali 380 sono prodotte in Afganistan.

La Rete Voltaire ha informato che il 10 luglio 2014, l’ispettore generale speciale statunitense per l’Afghanistan, John F. Sopko, ha relazionato alla sottocommissione incaricata per il Medio Oriente e il Nord Africa alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, e ha affermato che gli sforzi realizzati per ricostruire il paese, soprattutto a favore delle donne e dello Stato di diritto, sono falliti davanti alla pressione della droga e delle organizzazioni criminali.

Dati diffusi dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine, hanno segnalato che tutta l’attività legata alla droga ha rappresentato nel 2012 un totale di 2.000 milioni di dollari, per arrivare a 3.000 milioni nel 2013, un record storico.

E’ a partire dal 2010 che il governo russo denuncia che la NATO porta la responsabilità dell’esportazione dell’eroina afgana verso l’Europa. La agenzia di notizie Ria Novosti ha citato il Servizio Federale Russo di Controllo degli Stupefacenti (FSKN), organismo che ha stimato che più della metà dell’eroina consumata in Europa proviene ora dall’Afghanistan, in molti casi trasferita da membri dell’Emirato Islamico (EI).

Per Igor Korotchenko, direttore del Centro di Analisi del Commercio Internazionale di Armi della Russia, “la permanenza degli Stati Uniti in Afghanistan ha trasformato il paese nel primo produttore di oppio nel mondo: la produzione di droga in Afghanistan si è moltiplicata per 40”.

Per il titolare del Servizio Federale di Controllo delle Droghe di Mosca, Viktor Ivanov, “il territorio (afgano) dove si coltiva l’oppio è aumentato di 250.000 ettari”. Il medesimo organismo ritiene che l’Afghanistan produca fino a 150 mila milioni di dosi di eroina, una cifra 21 volte superiore alla popolazione del pianeta.

E’ del resto noto che l’industria delle armi e la produzione delle droghe e il loro traffico sono i principali affari del momento. Non è un caso che gli Stati Uniti siano l’attore principale in questi due affari illegali.

La crisi come politica

Né riconciliazione nazionale, né stabilità istituzionale e molto meno libertà e democrazia. In Afghanistan la crisi è permanente e i tentativi di ricomporre il sistema politico (sempre a somiglianza dell’Occidente) schiantati a terra. Il potere è delle tribù afgane, l’ingerenza statunitense.

Nel 2014, le elezioni presidenziali sono state vendute come il momento della stabilizzazione, ma finirono in uno scambio di accuse di frode tra i due principali candidati al secondo turno.

Nell’articolo “Libertà Duratura, cronaca di una sconfitta annunciata”, del giornalista Dabib Lazkanoiturburu e pubblicato nel giornale Gara (www.naiz.eus), si espone un quadro chiaro della politica afgana.

Sconfitti i talebani dalla NATO in alleanza con i mujhadin di Ahmad Shah Massoud (che aveva fatto parte del regime che aveva sconfitto il governo filo-sovietico nel 1992), Washington mise al potere Hamid Karzai instaurò “un regime che ha mantenuto al proprio posto i vice-reami dei signori della guerra”, è quanto scrive Lazkanoiturburu.

Karzai, un uomo guidato dalla Casa Bianca, cercò di negoziare con i talebani, attraverso il Qatar. La scarsa volontà degli Stati Uniti, la debolezza politica dell’allora presidente afgano e la sfiducia dei leaders talebani resero impraticabile un accordo.

Ora le redini del paese sono nelle mani dell’ex ministro delle Finanze, Ashraf Ghani Ahmadzai, pedina diretta da Washington ed ex membro della Banca Mondiale (BM). Il suo principale rivale alle elezioni, Abdullah Abdullah, è stato nominato capo del Governo. Al vertice afgano si è aggiunta la presenza di Rashid Dostum, un mercenario che aveva guidato i reparti contro il governo filo-sovietico e che è accusato di crimini di guerra.

Insediatasi la nuova amministrazione, Ghani ha firmato l’Accordo di Sicurezza Bilaterale (BSA) con gli Stati Uniti e, sempre secondo Lazkanoiturburu, con questo patto “Washington si riserva il diritto di mantenere truppe di combattimento e che gli sia garantita impunità assoluta”.

Intanto, i talebani non subiscono scalfitture, se teniamo conto della propaganda contro di loro cominciata con l’invasione del 2001. Per Lazkanoiturburu, “i talebani dimostrano che la loro è stata una ritirata strategica. Di anno in anno aumentano le loro offensive guerrigliere, combinate con attentati sempre più spettacolari, anche nel cuore di Kabul e nel nord del paese”.

Azzardare un’analisi su quanto succederà in Afghanistan nel 2015, è come collocarsi sul bordo di un abisso di cui non si vede il fondo. Ma senza dubbio la situazione afghana è conseguenza diretta della politica di guerra e di ingerenza degli Stati Uniti. Appoggiando i talebani all’inizio, per poi trasformarli nel nemico più pericoloso del pianeta, la Casa Bianca riproduce un piano sistematico che applica da quasi 100 anni. E i risultati di questo piano sono sotto gli occhi, in primo luogo del popolo afgano che soffre l’invasione tutti i giorni.

*Leandro Albani è un giornalista argentino, collaboratore di varie prestigiose testate latinoamericane