Forte avanzata del Partito Comunista Giapponese: un risultato che ha un valore generale

Un commento di Fausto Sorini, responsabile esteri PCdI

pc giappone bandieraLe elezioni politiche del 14 dicembre in Giappone hanno visto la riconferma della larga maggioranza di centro-destra raccolta attorno al premier uscente Abe Shinzo, che ha ottenuto 318 seggi (su 475) nella Camera Bassa del Parlamento: uno in più della maggioranza di due terzi necessaria per le modifiche costituzionali cui puntava e per rimettere mano alle leggi respinte dalla Camera Alta. Ciò grazie anche ad una legge elettorale maggioritaria (con una quota proporzionale), imperniata su collegi uninominali a turno unico che premiano i grandi partiti o coalizioni; e con un astensionismo record del 48% (+7%), il più alto del dopoguerra. 

Buona parte dei seggi andati all’opposizione sono stati conquistati dal Partito Democratico (una specie di Ulivo giapponese), che ha conquistato 73 seggi (+11).

La legge elettorale giapponese (a turno unico) prevede che i 475 membri della Camera bassa siano eletti con un sistema misto che permette di effettuare due voti per ogni elezione: il primo per un candidato del proprio distretto e il secondo per uno dei vari partiti, ciascuno dei quali presenta una lista di candidati per ognuna delle 11 circoscrizioni “regionali”. Quindi, 295 parlamentari vengono eletti dai distretti, mentre 180 seggi vengono assegnati proporzionalmente a ciascun partito sulla base dei risultati ottenuti in ciascuna circoscrizione.

Il risultato complessivo conferma una indiscutibile capacità di tenuta complessiva del blocco dominante in una delle maggiori potenze imperialiste del mondo, nonostante l’alto livello di astensione e la profondità della crisi strutturale, nazionale e internazionale, che da anni attraversa il sistema capitalistico anche nei punti alti del suo sviluppo.

Il premier Abe, riconfemato, cercherà probabilmente di fare approvare le prospettate “riforme” strutturali del sistema economico, come la nuova legge sulla liberalizzazione del mercato del lavoro. E confermerà la sua linea di interventismo militare e di reinterpretazione dell’art. 9 della Costituzione giapponese, che vieta il mantenimento di un corpo di forze armate nel paese e in generale il suo coinvolgimento in conflitti armati.

Questo articolo negli anni è stato aggirato tramite la creazione del cosiddetto Jieitai, le forze armate di “auto-difesa” del paese, che formalmente si comportano come un esercito e sono state coinvolte in limitate azioni in diversi paesi del mondo. Secondo la nuova interpretazione di Abe, il Giappone potrebbe oggi decidere di inviare delle truppe a difesa di un paese alleato che subisce un attacco (di fatto, un disco verde ad un più marcato interventismo militare a supporto degli interessi globali dell’imperialismo giapponese, in chiave fortemente anti-cinese). 

Fortunatamente questa decisione ha provocato manifestazioni e proteste, e non è chiaro se la maggior parte dei cittadini giapponesi sia a favore o meno della reinterpretazione.

Ma il dato più nuovo e clamoroso di queste elezioni è la fortissima avanzata del PC giapponese (CPJ), che quasi triplica i suoi seggi (da 8 a 21) e ottiene uno dei migliori risultati elettorali della sua storia, che gli analisti stimano equivalente ad un consenso attorno 15%.

Particolarmente significativa la conquista dell’unico seggio uninominale ottenuto dai comunisti proprio nell’isola di Okinawa, dove il candidato del PC ha ottenuto la maggioranza di collegio grazie alla lotta incessante condotta da un largo schieramento anti-guerra che si batte contro l’ampliamento della base militare USA presente nell’isola, di cui viceversa chiede lo smantellamento. 

E’ la prima volta dal 1996 che il CPJ conquista un seggio uninominale in una elezione politica generale.

Si tratta per il CPJ (che coi suoi 400.000 militanti e la sua fortissima organizzazione di tipo leninista si configura oggi come uno dei maggiori del mondo capitalistico) di un risultato eccezionale, ottenuto nel contesto assai difficile di una delle maggiori potenze imperialiste. 

Esso riveste un valore generale, che va ben oltre il contesto giapponese; e rappresenta di per sè una brillante smentita delle tesi liquidazioniste di chi considera esaurita o in declino irreversibile la funzione storica e il potenziale di espansione dei partiti comunisti nei Paesi a capitalismo maturo.

Esso conferma inoltre quanto fosse erronea la tesi, sostenuta negli anni ’70 e ’80 da alcuni esponenti socialdemocratici o “eurocomunisti”, secondo cui – di fronte alla crisi del sistema sovietico – il movimento operaio di ispirazione socialista, socialdemocratica o eurocomunista dell’Europa occidentale (“la sinistra europea”) sarebbe divenuto “l’epicentro del processo rivoluzionario mondiale”.

Oggi, alla luce degli sviluppi europei e mondiale degli ultimi decenni, vediamo al contrario come siano le forze di ispirazione comunista e socialista dell’Asia (o euro-asiatiche) le componenti fondamentali e trainanti di uno schieramento comunista, rivoluzionario e antimperialista mondiale del 21° secolo: di cui i comunisti giapponesi sono parte importante, insieme ai comunisti cinesi, russi, indiani, vietnamiti, coreani, in convergenza con le forze comuniste, rivoluzionarie, progressiste dell’America Latina e dell’Africa. Mentre l’eurocomunismo è solo il pallido ricordo di una esperienza fallita; e le socialdemocrazie europee, sempre più subalterne al neo-liberismo e all’atlantismo, si confermano sempre più come “epicentri” del sistema imperialista mondiale e della sua politica interventista e di guerra, come si è visto nelle guerre contro la Jugoslavia, l’Afghanistan, la Libia, la Siria; nel sostegno ad un governo fascistoide come quello ucraino, e nel rilancio di una politica di guerrra fredda e di sanzioni nei confronti della Russia di Putin e del nuovo asse russo-cinese che si sta delineando, come architrave dei BRICS.