La nostra storia, per non raccontarci storie

di Francesco Francescaglia, segreteria nazionale PdCI

071111 pciMentre si svolgeva il VI Congresso Nazionale del PdCI (Rimini, 28-30 Ottobre 2011), sembrava ormai chiaro che il Governo Berlusconi avesse i giorni contati.

Il nostro documento politico poneva la c.d. linea dei tre cerchi: unità dei comunisti, unità della sinistra, unità delle forze democratiche per battere le destre.

Vi affermavamo la necessità di costruire un fronte democratico per battere le destre:

Siamo alle grandi manovre per l’avvio di un processo politico di scomposizione e ricomposizione del campo delle destre, che inevitabilmente avrà effetti anche sul resto del panorama politico italiano. Nulla sarà più come prima. Siamo, dunque, in una situazione fluida, dominata da una grande incertezza, tipica di un periodo di transizione. […]


I comunisti vogliono concorrere all’alleanza delle forze democratiche per sconfiggere Berlusconi. È questa una scelta che sta pienamente dentro la cultura politica e la storia dei comunisti italiani.
 La cifra dei comunisti in Italia è stata sempre quella di una politica delle alleanze per offrire risposte concrete ai problemi del Paese. I comunisti hanno sempre saputo dare il loro contributo, spesso determinante, per sconfiggere quello che di volta in volta era il nemico principale delle classi subalterne. Una politica delle alleanze, per isolare e sconfiggere le forze reazionarie, è in sé un principio di tipo leninista.”

E vi avanzavamo con forza la proposta di unificazione tra PdCI e Prc, anche per consentire alla Fds di allargarsi e divenire, davvero, luogo dove federare ed unire la sinistra

L’unità della sinistra non può che ripartire dalle convergenze sui temi concreti, coscienti dei rapporti di forza esistenti. Non, dunque, una replica in farsa del politicismo che prefigura, come nel recente passato, irrealizzabili fusioni a freddo in nuovi soggetti politici velleitari. La sinistra deve incontrarsi sul terreno del programma. […] Noi questo sentiero abbiamo già iniziato a percorrerlo con la Federazione della Sinistra, un soggetto che permette un lavoro unitario tra i comunisti e, allo stesso tempo, è terreno di pratica dell’unità della sinistra. Dobbiamo rafforzare la Federazione della Sinistra e metterla a disposizione di un’unità della sinistra più ampia di quella che già abbiamo realizzato.

[…] Un processo che consideriamo irreversibile, nella sua ispirazione unitaria, anzi da allargare, nell’autonomia delle diverse componenti, anche ad altre forze e movimenti della sinistra.
La Federazione della Sinistra sconta le difficoltà oggettive e soggettive che investono i partiti che la compongono. Al tempo stesso è il luogo in cui i soggetti promotori possono superare la loro non autosufficienza. Ciò porta la Federazione ad oscillare continuamente tra soggetto politico e cartello elettorale. Per superare questa dicotomia è necessario che la Federazione risolva le sue contraddizioni principali: la perdurante divisione e competizione tra PdCI e Prc e la sua inadeguatezza ad essere luogo più ampio per la costruzione dell’unità a sinistra.

Noi proponiamo la ricostruzione di un unico partito comunista che nasca anzitutto dal superamento del Prc e del PdCI e da una capacità di attrazione dei confronti di un mondo vasto di comunisti senza tessera e senza partito. L’unificazione dei due partiti consentirebbe alla Federazione di non essere più l’ibrido che conosciamo: camera di compensazione tra le due forze comuniste e spazio che ambisce ad unire la sinistra. La dinamica tra PdCI e Prc è il peso principale che ostacola la piena partecipazione di altri soggetti alla vita della Federazione.

Noi collochiamo, dunque, dentro l’unità della sinistra il processo di ricostruzione di un partito comunista unitario e autonomo in grado di rilanciare il nostro progetto strategico del superamento del capitalismo e della trasformazione socialista della società.”

Il Congresso fu un successo e lasciammo Rimini con la consapevolezza che, se si fosse andati ad elezioni anticipate, la Federazione della Sinistra sarebbe stata nel centro-sinistra, con la formula del fronte democratico. Confidavamo anche che la nostra generosa proposta unitaria al Prc avrebbe potuto trovare un qualche riscontro positivo ed attendevamo il VIII Congresso nazionale del Prc che si sarebbe svolto di li a brevissimo.

Anche il Documento politico di maggioranza di Rifondazione si poneva esplicitamente l’obiettivo di costruire un fronte democratico per battere le destre:

Un fronte democratico per cacciare Berlusconi. Rifondazione Comunista si pone quindi l’obiettivo di far cadere da sinistra il governo Berlusconi e di andare alle elezioni anticipate. Parimenti contrastiamo nettamente le ipotesi di stabilizzazione moderata che puntano a sostituire Berlusconi con un governo “tecnico” o “istituzionale” che prosegua nella gestione capitalistica della crisi. La cacciata di Berlusconi dal governo del Paese rappresenta una priorità assoluta, sul piano sociale come su quello democratico e dell’etica pubblica.

Nel quadro dell’attuale legge elettorale maggioritaria proponiamo quindi di dar vita ad un Fronte democratico tra le forze di sinistra e di centro sinistra per sconfiggere le destre e porre condizioni migliori per difendere e rilanciare la democrazia e la Costituzione, contrastare gli effetti sociali negativi della crisi e superare il bipolarismo.
Il contrasto radicale alle destre è infatti costitutivo del profilo politico e culturale di Rifondazione Comunista.”

Sul terreno unitario il Congresso del Prc proponeva: la costituente dei beni comuni e del lavoro e l’unità della sinistra d’alternativa. La Federazione della Sinistra era considerata un primo passo nella costruzione dell’unità della sinistra d’alternativa e veniva posto l’accento sul carattere della Fds come soggetto della rappresentanza istituzionale:

“… proponiamo di assumere la scelta di praticare il terreno della rappresentanza politica come Federazione della Sinistra e in prospettiva come aggregazione della sinistra di alternativa.”

Insomma, in attesa dell’allargamento della Fds, il Prc ne sanciva il carattere vincolante di cartello elettorale e nulla rispondeva in merito alla proposta di unire i due partiti comunisti della Fds. Per contro il Compagno Paolo Ferrero, nel corso della sua relazione introduttiva ai lavori del Congresso di Napoli (2-4 Dicembre 2011), escludeva ogni possibilità di unificazione tra Prc e PdCI. Ero presente in sala: esplose un fragoroso applauso di approvazione da parte dei delegati di Rifondazione…

Tra l’assise nazionale del PdCI e quella del Prc si era insediato il governo Monti.

L’8 Novembre 2011 Berlusconi era salito al Colle per annunciare le sue dimissioni tra scene di giubilo popolare. Il giorno successivo D’Alema dava la possibilità di voto anticipato al 65% e Bersani era determinato ad andare avanti con l’alleanza tra progressisti e moderati (sì anche allora, con il fronte democratico, coi comunisti dentro l’alleanza, c’era l’apertura all’Udc: Bersani a Palazzo Chigi, Casini al Quirinale, vi ricordate?) [fonte archivio de l’Unità]. Per la sera del 9 era convocata la riunione congiunta della segreteria e del coordinamento del Pd: Bersani avrebbe proposto ai leaders del partito di spingere sulla richiesta di elezioni anticipate. Nel tardo pomeriggio era piombata la notizia della nomina a Senatore a vita di Mario Monti. La riunione del Pd aveva preso tutt’altra piega. Il 9 Novembre Bersani si era svegliato da candidato premier in pectore, ma grazie a Giorgio Napolitano era andato a dormire da sostenitore del governo tecnico di Mario Monti.

Avevano vinto – ancora una volta – i poteri forti, l’Italia festeggiava e noi non ci potevamo fare niente.

Va ricordato che il clima del Paese era da unità nazionale non solo in Parlamento: Monti e Napolitano avevano salvato la Patria dallo Spread e da Berlusconi. Perfino l’Italia dei Valori aveva votato la fiducia al governo (ve lo ricordate, vero?). Unica opposizione la Lega Nord.

In quel clima difficile cominciavamo a provare a costruire una opposizione di sinistra al governo. Il 29 Gennaio svolgevamo una riunione del Comitato Centrale. Riporto il testo del dispositivo di sintesi della riunione:

  1. necessità, per il PdCI e la Federazione della Sinistra, di costruire l’opposizione di sinistra al Governo Monti, per non lasciare che siano solo le destre e la Lega ad apparire come gli unici soggetti critici nei confronti del Governo;

  2. la nostra opposizione deve essere di merito, seria, argomentata e non demagogica (ad esempio sul tema degli F35, del lavoro, ecc…);

  3. costruire alleanze sociali a partire dal sindacato (su questo è stato approvato un OdG di adesione alla manifestazione nazionale della Fiom dell’11 febbraio che sarà a breve pubblicato sul nostro sito web);

  4. politica delle alleanze a sinistra a partire da IDV e SEL, senza isolarci da quei settori del Pd che continuano a credere in una prospettiva autenticamente di centrosinistra e senza mai scivolare verso posizioni settarie, massimaliste e velleitarie;

  5. dentro questo quadro strategico tenere una linea di grande duttilità tattica, adeguata alla fase estremamente fluida, con l’obiettivo di riportare nelle istituzioni i comunisti;

  6. promuovere iniziative politiche su tre temi strategici:

– battaglia delle idee e campagne politiche a favore del ruolo del pubblico e contro le “idee fallite” del neoliberismo. Evidenziare il ruolo del pubblico (a partire dai servizi pubblici locali) per rilanciare la crescita e l’occupazione, unica possibilità per ridare centralità ai lavoratori;

 – scuola, università e ricerca scientifica (“è nel diritto alla cultura la nuova lotta di classe”): dalla conoscenza passa il rilancio del sistema produttivo e la prospettiva di un futuro migliore per i giovani;

 – Sud. Attenzione ai temi del Meridione, come volano per lo sviluppo del Paese.

C’era, ancora una volta, il tema unitario della sinistra e una non preclusione al centrosinistra.

Da Marzo il Tg di Mentana (e non solo) si divertiva a sondaggiare uno scenario elettorale che vedesse insieme da un lato i sostenitori del Governo Monti e dall’altro la sinistra unita: la stima, per quest’ultima, era al 28%; a Maggio al 23,7%.

La nostra proposta non era, dunque, per nulla campata per aria, ma non riusciva a trovare alcuno sbocco concreto.

Per provare a trovare un terreno unitario a sinistra e dare concretezza alla nostra azione contro il governo Monti decidevamo, come Fds, di organizzare una manifestazione nazionale. Da subito abbiamo avanzato la proposta a Sel e Idv, che, però, non erano disponibili.

Il 12 Maggio fu una manifestazione straordinaria ed importante, ma l’obiettivo di costruire una opposizione più larga di tutta la sinistra non era stato raggiunto.

Una settimana prima, il 6 Maggio, si era tenuta una importante tornata di elezioni amministrative. Il risultato della Fds era buono, oltre il 3%, di poco inferiore a quello di Sel e Idv. Malgrado i sondaggi, la sinistra divisa non riusciva a sfondare, come in altri paesi europei. Il Pd teneva, il M5S avanzava e la destra era in disfacimento.

Noi andavamo meglio, sempre, quando eravamo in alleanza con il centrosinistra, confermando un dato costante dal 2009.

Il 9 Giugno la Fiom convocava tutte le forze politiche del centro-sinistra per presentare le sue proposte di governo sui temi del lavoro. Era una iniziativa notevole: la Fiom si collocava su un terreno non massimalista per rompere l’isolamento del mondo del lavoro e chiedeva alle forze politiche la disponibilità a sostenere il suo programma. Era anche il preludio di una possibile discesa in campo della Fiom.

A metà Giugno, il 16, tenevamo un nuovo Comitato Centrale, dove confermavamo la linea unitaria a sinistra, la disponibilità a verificare la possibilità di un dialogo col centro-sinistra e dove, però, cominciavamo anche ad analizzare la linea di arroccamento del Prc, indisponibile ad ogni ipotesi di confronto col Pd.

Uscì una linea sintetizzabile nei seguenti punti:

  1. è simmetricamente sbagliato affermare “comunque col Pd” e “mai col Pd”;

  2. lavoriamo per costruire una coalizione di sinistra larga e per scongiurare l’isolamento in un recinto massimalista;

  3. sostegno totale all’iniziativa programmatica della Fiom.

Questa linea avrebbe trovato una sua prima concretissima conferma il 1 Luglio al Consiglio nazionale della Fds. Salvi e Patta avevano presentato un ordine del giorno che apriva alla necessità di un dialogo col Pd. Fummo noi del PdCI a proporre di non metterlo ai voti. Pur condivisibile nei contenuti lo consideravamo sbagliato per due motivi:
 

  1. era una fuga in avanti, un’accelerazione: c’era ancora la possibilità di mettere insieme la sinistra per far valere rapporti di forza più favorevoli anche col Pd;

  2. la Federazione si sarebbe inevitabilmente spaccata. Il Prc avrebbe votato contro. Al precedente Comitato Centrale eravamo usciti con la parola d’ordine “salvare la Fds”. Preferivamo salvaguardare l’unità della Fds facendo uno sforzo responsabile.

Al successivo campeggio unitario dei giovani della Fgci e dei Gc, però, queste contraddizioni cominciarono ad emergere in modo piuttosto evidente. Fu, di fatto, una iniziativa unitaria da “separati in casa” e solo l’esperienza e il senso di responsabilità dei nostri bravi giovani compagni aveva evitato uno scollamento totale.

Il 10 Agosto Ferrero scriveva sul Manifesto un articolo in cui escludeva ogni possibilità di accordo col PD e proponeva una costituente per dar vita a una lista di sinistra alternativa. Si rivolgeva a Revelli e ad Alba, che avanzavano l’idea di una lista arancione. La Federazione della Sinistra non era mai nemmeno citata e, del resto, questa posizione non era mai stata discussa negli organismi della Fds. Era una evidente forzatura.

Il 7 Settembre Diliberto partecipava alla Festa nazionale del Pd a Reggio Emilia. Esponeva la linea uscita dal CC: “c’è una posizione da sconfiggere a sinistra, quella che dice – o comunque in alleanza col centro-sinistra – o, per converso, – non ci interessa l’alleanza a prescindere -, viceversa io credo che si debba, si possa, riscostruire un centrosinistra a partire dai contenuti.”

Era chiarissima la posizione che Diliberto esprimeva: da un lato c’era una valutazione negativa della posizione di Vendola, che da solo era andato alla relazione col Pd, dall’altro il riferimento era a Rifondazione che non era disponibile ad aprire un dialogo programmatico col centro-sinistra.

L’11 Settembre è il giorno della foto del Palazzaccio, ovvero della presentazione dei referendum sul lavoro. Dopo un percorso molto difficile durato tutta l’estate riuscivamo a presentare i quesiti: Sel, Idv, Fiom, Fds, Alba e Verdi, si ritrovavano insieme sui temi del lavoro. Uno scenario incoraggiante, ma l’apparenza superava di gran lunga la realtà. La foto del Palazzaccio – già si sapeva – non si sarebbe concretizzata in un’alleanza politica: Vendola era già dentro il percorso delle primarie, l’Idv non voleva stringere a sinistra, la Fiom – a queste condizioni – restava a guardare.

Il 23 Settembre si svolgeva la riunione della Direzione nazionale. Veniva approvato un dispositivo che affermava:
 

La Direzione Nazionale

– ribadisce la netta e decisa opposizione alle politiche inique, antipopolari e sbagliate del Governo Monti, che – oltre a gravare pesantemente sulle spalle dei lavoratori, dei pensionati, delle donne, dei precari e dei giovani – peggiorano la crisi economica ed inaspriscono la recessione italiana;

– ribadisce la netta e decisa opposizione alle politiche della BCE, della Commissione Europea e del FMI, che mirano a smantellare lo stato sociale in Europa e ad eliminare i diritti del lavoro agitando la minaccia dello spread;

– impegna il partito a produrre il massimo sforzo per la raccolta delle firme sui due referendum a difesa del lavoro per il ripristino dell’Art. 18 e l’abrogazione dell’Art. 8;

– impegna il partito a lavorare affinché il fronte politico e sociale dei referendum costituisca il primo passo per una aggregazione della sinistra che – assumendo i punti di programma di governo proposti dalla FIOM il 9 giugno – possa dialogare con forza ed efficacia con tutte le forze del centrosinistra;

– impegna il partito a salvaguardare l’unità della Federazione della Sinistra, scongiurando al contempo il suo isolamento. A tal fine propone alla FDS di lavorare con più determinazione sul terreno dell’unità a sinistra, aprendo, parimenti, un confronto politico e programmatico con tutte le forze del centrosinistra, compreso il PD;

– rivolge un appello unitario al PRC ed esprime grande preoccupazione per taluni suoi reiterati atti unilaterali, che esprimono una linea che non è mai stata discussa e decisa nella FDS.

 
Lo schema era sempre lo stesso: unire la sinistra per aprire un dialogo col centrosinistra. Stavolta, però, la necessità di aprire un confronto col Pd veniva posta con più urgenza e determinazione e, per la prima volta, venivano esplicitate le preoccupazioni per le posizioni espresse dal Prc che rischiavano di minare il percorso unitario della Fds.

Il 28 Ottobre si teneva nuovamente la riunione della Direzione Nazionale in vista del Consiglio politico della Fds della settimana successiva. Si decideva che il PdCI avrebbe avanzato la sua linea alla Fds, anche prendendo atto dell’impossibilità di portarla avanti in modo unitario a sinistra (constatata l’indisponibilità degli altri soggetti): si sarebbe chiesto alla Federazione di aprire una relazione col centro-sinistra, si valutava che non ci fosse più tempo per attendere eventi in grado di rimescolare le carte dato che il quadro – sebbene confuso – apparisse abbastanza definito (Sel in alleanza con Pd e socialisti, Idv che tentava di rientrare nel centro-sinistra, Alba che non prendeva corpo ed avanzava proposte contraddittorie). Sul tema del voto al Consiglio Nazionale, di fatto, si dava mandato al Segretario di Nazionale di seguire gli sviluppi del dibattito interno alla Fds nel corso della settimana.

Il giorno successivo uscivano i risultati delle elezioni siciliane. Al netto della vicenda della mancata candidatura di Fava a Presidente, in Sicilia la sinistra si presentava con il miglior assetto possibile, quello da noi lungamente auspicato per un anno. Sel, Verdi e Fds uniti in una lista di sinistra; alleanza con Idv (che non aveva voluto fare lista unitaria con la sinistra per prendere i voti moderati: il che la dice lunga sulla posizione dell’Idv…); candidatura alla Presidenza di una autorevolissima dirigente nazionale della Fiom; uno dei peggiori Pd d’Italia alleato con la peggiore Udc vicina al cuffarismo e al lombardismo. Tutte condizioni favorevolissime. Sappiamo com’è andata a finire: male.

Il 3 Novembre si svolgeva la riunione del Consiglio Nazionale della Federazione. Prendevamo atto delle inconciliabili differenze: noi, Patta e Salvi proponevamo di aprire un confronto col centro-sinistra; Rifondazione era contraria. Si decideva di non votare, ognuno sarebbe stato libero di perseguire la sua linea politica in autonomia. Di fatto era una “separazione consensuale”.

Il 10 Novembre la Direzione nazionale del PdCI tirava le somme di quanto avvenuto e prendeva posizione sulle primarie:
 

La Direzione Nazionale del PdCI ribadisce la volontà di provare a concludere un accordo con il centro-sinistra per scongiurare lo scenario di un Monti-bis e l’imposizione delle sue politiche antipopolari. 

- impegna il Partito a partecipare al percorso delle primarie della coalizione “Italia bene comune”, dando indicazione di voto per Nichi Vendola, il candidato più marcatamente di sinistra, più conseguentemente critico con le politiche di Monti e nostro alleato nei referendum sul lavoro. 
Qualora vi fosse un secondo turno delle primarie (e qualora Vendola non vi giungesse) il Partito si impegna, sin d’ora, a sostenere la candidatura di Pierluigi Bersani.
 

In questi passaggi c’è un percorso che si sviluppa con una certa coerenza, c’è un’analisi del Partito che prende corpo col passare dei mesi. Ci sono le distanze con Rifondazione che si allargano di giorno in giorno. C’è il progetto della costruzione dell’unità a sinistra che frena e accelera, ma – di fatto – non prende mai davvero concretezza.

L’unità della sinistra

Nel corso dell’ultimo anno il PdCI non ha mai avuto una posizione pregiudiziale, come del resto non l’ha avuta quasi nessuno altro sinistra. Non De Magistris, che non ha mai escluso – e continua a non farlo – l’alleanza col Pd. Non la Fiom, che ha posto questioni di sostanza, ma il 9 Giugno ha invitato anche Bersani, e non ha mai posto il tema della rottura col centro-sinistra. Non l’Idv, che non ha mai smesso di provare a rientrare nell’alleanza col Pd. Non Alba, un soggetto in evoluzione, di cui alcuni autorevolissimi promotori – come Stefano Rodotà – hanno da tempo dichiarato che andranno alle primarie (Rodotà sostiene Bersani).

Nessuno di questi soggetti si è arroccato su una posizione di alternativa pregiudiziale. L’ha fatto, invece, Rifondazione.

Noi abbiamo sempre lavorato per costruire una sinistra unita che potesse contare anche nel confronto programmatico col Pd. Non è stato possibile. Solo colpa degli altri? Ha ragione Diliberto quando afferma che la Fds ha rivolto decine di appelli a Vendola, ma l’ha sempre fatto senza porre esplicitamente il tema dell’alleanza col centro-sinistra – che Vendola ha sempre considerato imprescindibile. Anzi, troppo spesso la Fds, o meglio Rofondazione, ha chiesto a Vendola di sganciarsi dal Pd e costruire la sinistra d’alternativa. Una condizione così pesante che, evidentemente, non poteva che produrre il silenzio di Sel nei confronti della Fds. E vedo che il Prc continua ancora oggi su questa linea. Una scelta strumentale e velleitaria, che non serve nemmeno a lasciare Sel col cerino in mano del rifiuto dell’unità a sinistra.

La Federazione della Sinistra

La Fds non è una proposta del PdCI. Nel 2008 noi proponevamo, con un Congresso, l’unità dei comunisti. Rifondazione non aveva alcuna intenzione di risponderci positivamente. Solo quando fu modificata la legge elettorale per le elezioni europee con l’introduzione della soglia di sbarramento al 4% il Prc ci propose di costruire una lista unitaria. Però nella lista comunista e anticapitalista dovevano starci anche altri, sennò sarebbe sembrata l’unione di PdCI e Prc: furono inseriti i Consumatori Uniti (che si dileguarono addirittura prima del voto) e Socialismo 2000 di Salvi.

Da quella esperienza si avviò il processo della Federazione della Sinistra (cui aderì anche Patta con Lavoro e solidarietà).

Noi abbiamo sempre continuato a sostenere la necessità di unire i due partiti comunisti e di aprire la Fds al resto della sinistra, a partire da Sel. La nostra proposta è sempre stata l’unità dei comunisti; la Fds il livello unitario possibile dato il rifiuto del Prc.

La Fds ha sempre funzionato male, soprattutto a livello territoriale, con moltissime provincie e regioni che non hanno mai formato gli organismi dirigenti.

Non voglio fare il gioco di chi ha rotto la Federazione. Non abbiamo voluto – non, non abbiamo saputo – farla funzionare come un qualcosa di più di un cartello elettorale. L’unità dei comunisti in un solo partito non si è prodotta per indisponibilità di Rifondazione. È logico che una divergenza profonda sul terreno elettorale produca la fine del cartello elettorale. Del resto per evitare che ciò avvenisse uno dei due partiti avrebbe dovuto rinunciare alla propria posizione politica. Non l’ha fatto Rifondazione, non l’ha fatto il PdCI. Entrambi abbiamo preferito preservare l’autonomia della nostra posizione politica.

Le primarie

Certo le primarie non ci piacciono, non fanno parte della nostra cultura politica.

Sono, in questo caso, lo strumento per partecipare alla coalizione Italia Bene Comune. Intendiamoci, non servono per mercanteggiare nulla. Segnano politicamente la nostra adesione al centro-sinistra. Abbiamo già una volta partecipato alle primarie, nel 2006, Rifondazione aveva addirittura un suo candidato (Bertinotti). Abbiamo partecipato a decine di primarie territoriali, penso a Milano, dove noi e Sel fummo gli unici ad appoggiare Pisapia. Quindi nulla di trascendentale. Poiché però la politica italiana non finisce con le primarie, noi è da tempo che chiediamo al Compagno Vendola un po’ più di lungimiranza, di lavorare con più determinazione all’unità della sinistra. E proprio per favorire questo obiettivo, il secondo cerchio del nostro Congresso, il Segretario Diliberto nella relazione introduttiva all’ultimo nostro Congresso affermò che alle primarie avremmo sostenuto Vendola. Una decisione congressuale, dunque, che confermiamo un anno dopo.

Potevamo aspettare?

Alcuni sostengono che la nostra posizione sarebbe un’accelerazione sbagliata. Che avremmo dovuto aspettare. A Luglio, quando scongiurammo il voto sul documento Patta e Salvi, abbiamo deciso di prendere tempo per salvare la Fds; ma oggi cosa dovremmo aspettare? Rifondazione ha una posizione rigida, che non cambierà dopo le primarie e nemmeno dopo l’eventuale cambio della legge elettorale. Aspettare che cambino idea gli altri? Sel e Vendola non ci pensano nemmeno a rompere col Pd. L’Idv è maciullata dagli scandali e non ha intenzione di “buttarsi a sinistra”.

Se vince Renzi cambia tutto, dice qualcuno. Vero, la destra governerà per i prossimi trent’anni. Abbiamo noi la forza da soli, come Fds, di stringere un patto elettorale dopo le primarie? Non scherziamo. La politica ha i suoi tempi, che – ahi noi – non dettiamo noi. Il tempo era – è – adesso per fare delle scelte. Il resto è tatticismo. E di tatticismo si muore.

Contro Monti, contro le destre

Un anno fa eravamo tutti insieme – noi e il Prc – sulla posizione del fronte democratico. Cosa è cambiato? Il Pd ha sostenuto e sostiene il governo Monti. Su questo punto c’è una profonda divergenza di analisi. Il nostro giudizio su Monti è ferocemente negativo. L’idea che dopo Monti si possa andare avanti con un Monti-bis o con una destra riorganizzata che sostiene le posizioni del tecnoliberismo è per noi esiziale. Monti è peggio di Berlusconi, non c’è dubbio. Però, se dicevamo di stare tutti insieme per impedire una nuova vittoria di Berlusconi, se sostenevamo che sconfitto Berlusconi dovevamo sconfiggere anche il berlusconismo e il marchionnismo, perché questa linea politica non vale per il montismo? Se Monti è peggio di Berlusconi (e lo è, non argomento in questa sede, ma non v’è dubbio che lo sia) sarà o no un problema della sinistra impedire che il montismo divenga la cifra della politica italiana dei prossimi trent’anni? Per Rifondazione il sostegno a Monti è, in qualche modo, costituente: ha cambiato la natura del Pd e della politica italiana. Per noi il Pd e Bersani hanno subìto il governo Monti, stretti tra le pressioni del Quirinale, dell’Eurotower e di Palazzo Chigi.

Noi vogliamo lavorare per evitare che vincano di nuovo i poteri forti del montismo e delle destre che ci massacreranno per i prossimi vent’anni.

C’è un’alternativa?

In Francia alle presidenziali il Front de Gauche riesce contemporaneamente a presentarsi in modo autonomo e a contribuire alla vittoria di Hollande, sostenendolo esplicitamente al secondo turno.

Anche in Italia, in condizioni diverse, sarebbe stato possibile uno scenario simile con una sinistra unita e autonoma dal Pd, che – partendo da rapporti di forza favorevoli – costruiva una relazione col centro-sinistra per impedire la vittoria delle destre. Non è avvenuto. Si può continuare a dire che è stato un errore e si può anche continuare ad auspicare questo scenario proponendolo esplicitamente. Farlo, però, significa stare fuori dalla realtà.

C’è oggi uno spazio elettorale per la sinistra di alternativa? No. Quali fatti smentiscono questa considerazione se non qualche fantasia di alcuni desiderata? Nessuno. Ciò che non è stato costruito nei 5 anni fuori dal Parlamento perché dovrebbe magicamente manifestarsi a 4 mesi dal voto? Quale analisi concreta della situazione reale può rendere possibile e realistico tale scenario?

Ci si emoziona per questa o quella manifestazione che di volta in volta viene organizzata, ma esse non hanno mai prodotto – sino ad ora – alcuno sbocco politico. Il conflitto sociale – che c’è -, il forte sentimento di rifiuto alle politiche di Monti – che c’è -, il grande spazio del voto di protesta e dell’astensionismo – che ci sono -, tutto ciò non ha mai determinato in questi anni una crescita della sinistra. Non succederà adesso.

L’unica alternativa, allora, è una consapevole testimonianza scarlatta extraparlamentare, ma in questo caso siamo completamente fuori dalla storia dei comunisti in Italia. Quella storia che, invece, noi vogliamo portare nel terzo millennio, evitando di ridurla ad un club culturale di reduci.