Bianca

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Un ricordo personale di Bianca Bracci Torsi

Appena ho saputo che era mancata, ho composto il numero telefonico di casa sua. Un espediente per risentire la sua voce registrata nella segreteria. Quella voce al tempo stesso ferma e amabile, con quel fondo di ironia tipico suo personale e del modo di parlare dei toscani.

Poi mi sono ricordato che avevo ancora in casa un piccolo regalino che avevo preparato per il suo ottantesimo compleanno e che mi sono sempre dimenticato di portarle. Erano le memorie di Claudio Cianca, leggendario antifascista, partigiano, capo riconosciuto della classe operaia e dei comunisti romani dopo la Liberazione. Volevo dirle “scrivi le tue memorie, Bianca, c’è bisogno di condensare la tua esperienza perché è utile per il futuro”. Chissà se ci ha pensato a farlo, speriamo di si.

Usciranno certamente biografie complete, io mi limito a qualche ricordo personale.

Raccontava sempre che dovette mentire sulla sua età, per combattere nella Resistenza. Quando provò, a 13 anni, ad arruolarsi, il comandante partigiano le rispose: “non mando delle ragazzine ad uccidere e morire”. 

La conobbi oltre 35 anni fa, era una compagna componente la Commissione Centrale di Controllo del PCI e dirigeva le scuole di Partito. Come possono suonare strani, ai giovani (e non solo) di oggi questi termini. 

La Commissione Centrale di Controllo garantiva la democrazia nel Partito e ne curava l’onorabilità. Se nel PCI non c’erano (oppure venivano individuati precocemente e sbattuti fuori) ladri, mafiosi, avventurieri era anche grazie al lavoro di questo organismo. Non aveva riguardi neanche per i dirigenti più alti del Partito e chi mostrava smanie da carrierista (questi non mancavano) doveva stare molto attento a come si comportava. Se una faceva parte della CCC voleva dire che era forte, che aveva fatto una vita gagliarda, esemplare e doveva essere stata partigiana o militante del Partito clandestino o prigioniera dei fascisti (o tutte e tre le cose).

Il Partito aveva un suo sistema di scuole, di cui quella centrale era alle Frattocchie, poi ve ne erano altre periferiche, di carattere regionale o interregionale e poi c’era un sistema di “istruzione” senza sedi fisiche, principalmente i corsi ideologici svolti nelle sezioni o nelle federazioni. Guardando i partiti o le altre forze politiche e sociali di oggi, non si può riuscire ad immaginare cosa fosse il PCI, conoscendo Bianca si. 

Il Partito si occupava della elevazione della cultura (si potrebbe dire anche della libertà) delle compagne e dei compagni. Generazioni di operai e contadini comunisti, grazie alle scuole di Partito, hanno imparato ad essere dirigenti (nel senso “nostro”, non come si crede oggi). 

Quando la conobbi, insomma, mi sembrava già mitica per gli incarichi che ricopriva ed ebbi l’impressione che avesse per me una certa benevolenza ovvero -se la facevo arrabbiare- mi sembrava che fosse un po’ indulgente. Lei non ha fatto mai nulla per smentire questa mia sensazione, da allora fino a questi tempi. 

Negli anni ’80 la accompagnai diverse volte in Calabria. Mi colpiva la semplicità e la capacità di sintonia ed interazione con i braccianti comunisti, con le donne del sud come, per esempio, le raccoglitrici di olive della piana di Gioia Tauro. Lei ha dato un contributo all’emancipazione e all’organizzazione delle donne meridionali, soprattutto delle lavoratrici. Mi ricordo corsi ideologici tenuti da lei nella sezione di Melissa o nei paesi silani o tra gli arberesh, cioè i pastori e i contadini di lingua albanese antica che popolano diversi comuni del sud.

La gente la capiva bene e la stava a sentire volentieri, ma lei faceva anche altro. Si può dire in due parole un po’ brutali? Davamo la “caccia” ad eventuali infiltrati dell’ndrangheta nel PCI o comunque ad elementi ambigui o sospetti di ambiguità (non dimentichiamo che Bianca era della CCC). Lo faceva in un periodo in cui il gruppo dirigente calabrese era scosso da una crisi profonda ed ingovernabile, dilaniato da scontri interni tra fazioni e campanilismi, e anche in quel contesto Bianca seppe fare molto, con la sua intransigenza morale, per il Partito e la sua unità. 

Intendiamoci, come vorrebbe Bianca: il PCI calabrese era un Partito eroico, l’unica forza integra contro la mafia e la corruzione (nonché i fascisti, gli agrari e tutto il sistema di potere) e ben cinque valorosi comunisti calabresi furono assassinati in quegli anni. 

Uno di questi casi, l’assassinio dell’eroico compagno Beppe Valarioti di Rosarno, aveva qualche dettaglio che non quadrava. Venimmo a sapere che l’ndrina aveva estratto a sorte tra due diversi nomi di compagni da uccidere quello di Valarioti. Più tardi Bianca mi informò, per mettermi in guardia, su un paio di personaggi che aveva individuato, uno dei quali divenne -successivamente- capogruppo al consiglio regionale. Anche altrove scoprimmo qualcosina, per esempio nel crotonese. Bianca si intendeva di armi e le sapeva usare bene, mi sembra di ricordare che qualche volta andava al tiro a segno, con ottime prestazioni!

Come era ovvio, si oppose alla sciagurata proposta di sciogliere il PCI, si impegnò come sapeva fare contro i liquidatori e fece la sua parte nel PRC. In un primo momento ella fu molto severa nei miei riguardi, per le mie contestazioni al gruppo dirigente di Rifondazione e all’indirizzo che aveva preso. Lei era così: la nostra amicizia, la sua eventuale benevolenza nei miei confronti non influenzavano le sue convinzioni e quello che considerava il suo dovere politico. Se fosse stato il figlio, sarebbe stata ancor più severa e distaccata. 

Inoltre era risentita perché pensava che potevo anche aver ragione, ma nel modo come mi ponevo, secondo lei, alimentavo una situazione nel PRC che le appariva già precaria e confusa, temeva che alla fine le mie intemperanze andassero a vantaggio di quelli che erano -se così posso dire- i nostri comuni avversari.

Lei sperava che io rimanessi in Rifondazione, proprio perché ci teneva che fossero più presenti certe posizioni e -forse- certi caratteri. Lo dico perché Bianca, contemporaneamente, non mancò di mantenersi conseguente con la propria storia ed identità: fu la prima, nella storia del PRC, a compiere un gesto di dissenso, dimettendosi da direttrice responsabile del giornale Liberazione, in aperta polemica con certe posizioni ed alcuni dirigenti.

Su questo aspetto le cose si rovesciarono nel decennio successivo: parlava sempre volentieri con me, era molto contenta quando le proponevo qualcosa, non mancava mai di accettare ogni mio invito a intervenire in assemblee, manifestazioni, ecc. Mi disse di aver subito qualche pressione contraria ma non scriverò alcune cose che mi ha detto in questi anni: se voleva che altri le conoscessero avrebbe provveduto lei, altrimenti vuol dire che erano solo per me. 

Una volta organizzò una manifestazione in ricordo di Ciro Principessa e mi invitò a parlare. Quando mi diede la parola disse, quasi con una punta di orgoglio: “adesso interviene il compagno Natali che si era allontanato da Rifondazione… ma per motivi politici!” Devo confessare che solo recentemente ho compreso meglio perché si espresse così. 

Quando mi chiesero un articolo per Liberazione accettai e lei fu contentissima. Mi telefonò a casa, come faceva spesso in quel periodo, disse che le era piaciuto molto il mio articolo, sperava che ritornassi nel PRC, ma non fu accontentata. 

Non si può trascurare l’importanza del suo lavoro nell’ANPI e nelle organizzazione antifasciste (d’altronde era proprio responsabile nazionale dell’antifascismo nel PRC). L’associazione dei partigiani, a mio modesto avviso, gli deve molto ed è merito suo se questa organizzazione, specie a Roma, ha mantenuto radici salde e robuste. Gliene sono riconoscente.

Come si fa a tratteggiare la figura di Bianca? 

Una cosa che mi colpiva era la sua capacità di essere coraggiosa (e non è un modo di dire), combattiva, dotata all’occorrenza della necessaria fermezza, senza che ciò andasse a detrimento della sua femminilità, dell’apertura ed affabilità del suo carattere. Questi elementi, anzi, sembravano alimentarsi a vicenda. I suoi tratti caratteriali si riversano anche nel figlio Marco (di cui sono stato amico e compagno senza sapere -all’inizio- che era figlio di Bianca), un tipo dal carattere sicuro e deciso come pure dovrebbero essere, secondo quanto lei mi diceva, i suoi nipoti, di cui personalmente ricordo Morgan.

Lei è stata, fino a tarda età, un sicuro punto di riferimento per tante donne, anche giovani, le quali con piacere la frequentavano, come pure tanti altri compagni. 

E’ stata sempre una partigiana, lo si capiva dall’inflessibile fierezza con la quale si è battuta contro i fascisti fino all’ultimo. Ricordo che ancora pochi anni fa riusciva ad avvicinare a sé, per esempio, le mamme di ragazzi vittime della violenza fascista. 

Non ho dedicato neanche una parola per ricordare che Bianca era del tutto disinteressata, non ha mai cercato carriere, seggi o poltrone, non ha mai fatto nulla in funzione di proprie convenienze o arricchimenti personali: mi sembra che non ce ne sia bisogno. Era una della CCC! 

Lei ha saputo impersonare una qualità che Gramsci descrisse con incisiva e limpida semplicità: saper essere tolleranti (con gli altri) e intransigenti (nelle proprie convinzioni) al tempo stesso. Quante volte, cercando di cavar sangue da una rapa, ha tentato di convincermi a mantenere le mie posizioni accompagnandole, però, con un atteggiamento moderato, conciliante, prudente e disponibile alla convivenza con chi era diverso!

Se confrontiamo la vita e la personalità di Bianca, i suoi valori, con quelli di altre persone (che in questa sede è indecente perfino nominare) emerse, per esempio, nelle cronache di questi giorni, possiamo verificare concretamente quanto lei, ossia i comunisti, possano dar vita ad una nuova umanità, sempre migliore e libera dalle nefandezze e dai vincoli che l’hanno deturpata nel passato (e ancora oggi). 

Bianca è stata capace di strapparmi quasi un sorriso anche stamattina, quando ero a rendere omaggio alla sua salma. L’addetto alle pompe funebri ha chiesto al figlio se avevano un rosario da metterle tra le mani: lui ha risposto educatamente di no perché non era religiosa, ma a me è venuto in mente cosa avrebbe risposto lei, con il suo tono sardonico e paziente al tempo stesso. 

Mi ricordo che quando andavo a trovarla a casa, qualche volta portavo dei compagni più giovani a conoscerla. Quando qualcuno, un po’ intimidito, chiedeva sommessamente se poteva fumare: “come sarebbe se puoi fumare” rispondeva a quelli, imbarazzandoli ancor di più “devi fumare!” aggiungeva.

In queste circostanze è giusto dire: ci mancherà. Questa volta rovescerei la questione: cosa possiamo fare noi per non disperdere il suo lascito?

Capita spesso a molti, specie in momenti difficili o di sconfitta, cedere per un momento all’idea di arrendersi, di lasciar perdere, di seguire la corrente: l’antidoto è la memoria di Bianca, della sua vita, della sua personalità. Se ci sono stati lei (e tanti altri prima ancora) allora vale la pena andare avanti, non fermarsi. Per questo non deve mai mancarci il suo ricordo.