Conferenza regionale toscana del PdCI

pdciRelazione di Lucia Mango, segretaria regionale

Care Compagne, cari compagni,

questa conferenza politico-organizzativa si propone di svolgere un dibattito approfondito e sincero su quella che riteniamo essere, dato che secondo noi deve essere, la stessa esistenza di un partito comunista organizzato e autonomo e del ruolo che esso debba svolgere sui territori e nel panorama politico nazionale attuale.

Occorre, dunque, che discutiamo, secondo lo spirito del documento per la Conferenza politica e organizzativa nazionale, che si terrà i prossimi 27 e 28 settembre a Pianoro, di come RIORGANIZZARE il partito, per renderlo radicato ed efficace nell’iniziativa, rafforzandone militanza e gruppi dirigenti. Anche in Toscana è necessario che rivediamo il nostro modus agendi e che rendiamo i gruppi dirigenti locali e regionali più adatti a svolgere il ruolo cui siamo chiamati, affinché siano più presenti nel dibattito amministrativo e politico locale, anche laddove non siamo presenti nelle istituzioni.

La fase è senza dubbio difficile ma siamo ancora fermamente convinti della necessità storica e sociale di un partito comunista in questo paese, che trovi le forme di unità più ampie con la sinistra di classe e del lavoro, nella quale esso sia capace di rafforzarsi, mantenendo il proprio profilo di autonomia.

E’ ovvio che per realizzare quest’obiettivo dobbiamo cambiare passo e modalità di lavoro in maniera sostanziale, dovremo essere capaci, da qui in avanti, di trasformare l’analisi delle contraddizioni sociali, che mordono anche la società Toscana sempre con maggiore violenza, in iniziativa politica.

Dobbiamo essere in grado di essere riconoscibili su alcuni temi, sui quali decidiamo di lavorare. Nella nostra regione, ad esempio, è ineludibile, anche in vista delle prossime elezioni per il rinnovo del consiglio regionale della primavera, che sviluppiamo una riflessione seria su sanità e livelli di assistenza, su società della salute e assistenza domiciliare, che sia in grado di valutare quanto di buono si è fatto, ma non si esima dal fare proposte su tutto quello che ancora oggi non funziona, a prescindere dal fatto che veniamo da un’esperienza di governo.

Non è sufficiente che ciascuno di noi si dichiari e ci dichiariamo tutti insieme sani sul piano culturale, politico e ideologico; non basta che ci proclamiamo decisi a resistere al pensiero unico, imposto dalle classi dirigenti e dominanti; non basta la volontà di impedire il progetto in atto di cancellazione dei partiti comunisti organizzati e della sinistra di classe più genericamente intesa.

Occorre che troviamo i mezzi e le forme per reagire e agire nella società, nonostante la fine del finanziamento pubblico e nonostante leggi elettorali che alzano sbarramenti di natura reazionaria e antidemocratica.

Occorre, in sintesi, affiancare un piano concreto al piano teorico, sul quale ci cimentiamo da anni, ma che, da solo, non può esser sufficiente nella ricerca del consenso e di un ruolo sociale riconoscibile e riconosciuto.

Oggi il piano teorico è rappresentato, appunto, dall’appello per l’Associazione per la ricostruzione del partito comunista e della sinistra di classe e del lavoro, a esso hanno aderito compagni del PdCI e del PRC e soprattutto un buon numero di intellettuali di area, non iscritti a nessuno dei partiti oggi organizzati.

Dobbiamo lavorare affinché questo appello abbia la massima diffusione e adesione più ampia possibile, ma è ovvio che, se non affiancato da una pratica conseguente, esso non potrà produrre frutti concreti, che oggi, per noi, devono necessariamente essere la nascita di un partito comunista più grande, più organizzato, più utile ai lavoratori e che sia il cardine dell’unità di tutta la sinistra anticapitalista in questo paese.

Occorre, inoltre, che a partire da questa conferenza di organizzazione cerchiamo di adeguare la forma partito alla fase storica nella quale siamo chiamati ad agire, perché evidentemente a oggi non siamo stati adeguati. Per farlo occorreranno pazienza e umiltà e non la velleità di trovare soluzioni semplici o immediate, bisogna che cominciamo oggi una riflessione che avrà bisogno del tempo, dello studio e delle competenze necessarie. Fino a oggi, infatti, non abbiamo saputo trovare nuove forme organizzative e comunicative e non ci siamo ben organizzati neppure per sfruttare al meglio i nuovi mezzi di comunicazione che oggi sono a disposizione quasi gratuitamente, neppure per realizzare un programma minimo ma di lungo respiro e ci siamo, conseguentemente, persi, di volta in volta in tatticismi estemporanei, quando massimalisti, quando istituzionalisti.

Probabilmente ci è mancata anche una seria analisi moderna della situazione reale, nel senso che in parte, ad esempio, gli avvenimenti degli ultimi venti anni, con la nascita dell’Unione Europea, così come la conosciamo oggi, con Maastricht e il dominio dei capitali sovranazionali, ha reso il capitalismo italiano una cosa ben diversa da quella che conoscevamo e che avevamo ben analizzato con le categorie adeguate a quel modello.

Il capitale straniero ha sussunto da allora gran parte dell’impresa e dell’economia italiana cosicché oggi non è certamente facile individuare dove si trovi l’equivalente di quella che fu una ‘classe operaia di avanguardia’ che sia oggi l’interlocutore privilegiato di un partito comunista che voglia con essa ricostruire l’unità del mondo del lavoro, almeno sul piano minimo della consapevolezza di sé e del proprio ruolo sociale, quello che un tempo si sarebbe definito la coscienza della classe in sé.

Sull’Europa, sul capitalismo italiano che cerca di mantenere il saggio di profitto, intaccato dalla concorrenza internazionale e dalla sudditanza ai parametri imposti dalla UE, attraverso la contrazione dei salari e dei diritti di chi lavora è bene che cerchiamo di compiere un’analisi un po’ più approfondita e rigorosa, che porti a nuove proposte che siano patrimonio di tutti noi. Anche perché occorre che facciamo i conti col fatto che, particolarmente in Italia, ma anche nel resto d’Europa, sono ben pochi e, comunque, sempre una sparuta minoranza, coloro che identificano con chiarezza il nesso tra sofferenza sociale e costruzione dell’Europa su basi prettamente economiche, dettate da lobbie di potere transnazionali, che hanno determinato i vincoli imposti tramite i trattati che si sono succeduti, con una sempre maggiore acrimonia nei confronti della classe lavoratrice.

Dobbiamo essere noi comunisti consapevoli che sia stata proprio la costruzione di un’Europa siffatta, capitalista e imperialista, ad aver determinato la distruzione o l’obiettivo della distruzione progressiva delle strutture democratiche degli stati membri, lo smantellamento dello stato sociale delle socialdemocrazie europee e i continui attacchi ai diritti dei lavoratori e ai salarti.

Bisogna che sappiamo che sono il dominio capitalista sull’Europa e il suo iperliberismo che non possono tollerare mediazioni, per essere in grado di costruire una coscienza di classe consapevole, che dobbiamo provare a diffondere su vasta scala, al fine di contrastare il mito della costruzione europea come valore in sé, a prescindere dalle basi antisociali su cui, essa si fonda, diffuso dal potere dei paesi dominanti nell’Unione, che hanno promesso che l’Unione stessa sarebbe stata garanzia di benessere per i paesi membri e per i nuovi entrati.

La realtà è stata regressione sociale, obbligo di adesione alla NATO e partecipazione alle relative guerre imperialiste che si sono moltiplicate,in ogni parte del mondo, sempre con la scusa del peace keeping.

E’ del tutto evidente del resto che l’arricchimento di uno o di pochi paesi membri dell’Europa, nel caso di specie la Germania e poco altro, determini lo sfruttamento di tutti gli altri, a partire dai nuovi entrati che risultano mercati di manodopera a basso costo, per arrivare a tutti i paesi dell’area del Mediterraneo, Italia compresa.

Tocca a noi comunisti tentare di compiere quest’analisi e di cercare di diffonderla, affinché diventi patrimonio comune, cultura diffusa tra i lavoratori. Questo possiamo riuscire a farlo solo cambiando passo e cercando di collaborare con i partiti comunisti e fratelli del resto d’Europa. Del resto è palese che l’Unione Europea sia nata sull’esigenza del capitale transazionale che aveva bisogno di un polo di aggregazione che non ponesse vincoli di sorta, per competere con i nuovi mercati e questo non poteva che nuocere alla democrazia di questa regione.

Da allora abbiamo assistito a una sempre minore sovranità nazionale degli stati membri, i cui governi si sono, di fatto, assoggettati al volere della Germania e della BCE; i diritti dei lavoratori si sono contratti a dismisura, sottoposti a una spietata concorrenza tra mercati con monete e costi della vita diversi e la stragrande maggioranza dei servizi pubblici sono stati privatizzati quasi per legge.

In Italia, in particolar modo, abbiamo avuto esempi chiari ed eloquenti del segno che quest’Unione ha dato alla svolta involutiva del paese.

Il potere non risiede nella sede del Parlamento europeo, bensì nella Commissione e nel Consiglio d’Europa, che non sono espressione del voto popolare, ma dei poteri economici sovra ordinati agli stati. Tutto questo si ripercuote ovviamente anche sul ruolo dei parlamenti nazionali e l’Italia ne è un chiaro esempio. Sono nate in questo tipo di Europa le larghe intese, che danno vita alle così dette ‘grandi coalizioni’, fino ad allora inconcepibili, tra PSE e PPE, al fine di dare vita al Patto di Stabilità e di Crescita, che ha inchiodato i governi nazionali ai vincoli di Maastricht e di accelerare un’integrazione monetaria che, di fatto, ha aperto una nuova fase del liberismo europeo, distruggendo il welfare delle socialdemocrazie, parte dell’Unione, così come lo avevamo conosciuto, visto che da quel momento in poi il debito di bilancio degli stati non ha più potuto sostenere politiche di sviluppo e di redistribuzione del reddito. Col risultato che tagli ai salari e al sociale sì, sono stati imposti da questa Europa, ma una seria e rigorosa lotta all’evasione fiscale, che ponesse degli obiettivi minimi, quella mai.

La crisi economica che è partita nel 2010 ha fatto il resto, così siamo arrivati nel 2012 al Fiscal Compact, che ha commissariato, di fatto, la politica economica degli stati membri da parte di BCE e FMI.

E’ importante, dunque, che il PdCI sia presente dappertutto nella raccolta di firme per il referendum contro il fiscal compact. Questa è, infatti, una proposta concreta, che si può trasmettere alla gente e sulla quale la sinistra anticapitalista può trovare unità concreta, necessaria a ritrovare utilità e consenso.

Le politiche di austerità, del resto, in Europa hanno prodotto circa 40 milioni di disoccupati e in Italia hanno determinato che dal 2008 il reddito medio sia calato del 13% e la povertà sia cresciuta dal 3% al 6%.

Bisogna, nella nostra analisi sul che fare, tenere presente anche le indicazioni che le recenti elezioni europee ci hanno fornito:

  1. L’altissima astensione in Europa e in particolar modo nel nostro Paese.
  2. L’apprezzamento dei movimenti antieuropeisti estremi.
  3. Il successo dei partiti comunisti o di sinistra realmente radicati e organizzati nel resto d’Europa, laddove esistono (AKEL, PCP, KKe , LINKE ecc).


Occorre che noi siamo consapevoli della necessità di lavorare sull’astensione abnorme che abbiamo conosciuto nel nostro Paese, diffondendo le idee che abbiamo, e sull’Europa, e sull’economia e sulla crisi irreversibile del capitalismo, al fine di costruire una coscienza diffusa, che non sia acriticamente antieuropeista, ma che voglia concepire un altro modello di Europa, basata su un sistema di valori alternativo a quello che è l’ossatura dell’Unione oggi. Il PD di Renzi, del resto, a ben vedere, ha preso tutti quei voti anche sulla scorta di una supposta e sbandierata richiesta di revisione dei trattati internazionali, oggi, dopo pochi mesi, già barattata per flessibilità (due anni di dilazioni) in cambio di riforme istituzionali, che cambieranno la struttura del nostro Paese: la riforma delle camere, con il Senato che diventa nominato su base regionale, unito a una legge elettorale che mina la rappresentanza delle classi sociali lavoratrici.

In questo quadro di lacrime e sangue per i lavoratori e per la democrazia, l’importanza dell’esistenza di un partito comunista organizzato e ben radicato appare strategica, perché la situazione di stallo, col crescente impoverimento e le politiche antisociali ripetute, non può durare tanto a lungo, dovrà esserci una reazione e allora noi dovremo essere pronti a esserne non solo parte, ma catalizzatori.

Occorre quindi che partiamo dall’analisi delle ragioni della nostra crisi per fare i conti con la realtà e capire ‘che fare’.

Il finanziamento pubblico, così come l’abbiamo conosciuto negli anni passati non ci sarà più. Occorre che impariamo di nuovo ad autofinanziarci. Rilevanza strategica ha, a questo riguardo, un serio e capillare tesseramento, che, troppo spesso, nel recente passato abbiamo trascurato. Inoltre è necessario riattivare iniziative di sottoscrizione, tipo cene o feste ad hoc.

Occorre che ci collochiamo in prima fila nella difesa della Costituzione e della democrazia, di fatto già seriamente compromessa, insieme con chiunque troveremo al nostro fianco sia a sinistra, sia sul piano sindacale. Tra noi, però, occorre che ci diciamo che quella sui diritti e sui fondamenti della carta costituzionale è una battagli di retroguardia, dato che quell’impianto di diritti e doveri risulta a oggi completamente sovvertito.

Dobbiamo continuare nel portare avanti senza alcun indugio l’unica battaglia che abbiamo saputo condurre in maniera seria, capillare e approfondita, quella sulla pace e contro ogni guerra, a partire da Gaza per finire all’Ucraina, passando per Libia e Afghanistan, senza dimenticare la miriade di conflitti che distruggono migliaia di popolazioni e il rischio, oggi sempre più incombente, che il capitalismo voglia risolvere la sua crisi strutturale con una nuova a e devastante guerra globale, tra blocco di influenza NATO e BRICS.

E’ oltremodo necessario che dedichiamo risorse umane e studiamo come i nuovi mezzi ci possano permettere di mettere in piedi una reale formazione dei quadri, progressiva e diffusa, dato che i giovani che approdano alle fila del nostro partito sono per lo più lasciati all’iniziativa personale o allo zelo di qualche compagno che ne cura la formazione sul terreno locale. Non è questo il modo in cui in un partito si diffonde un terreno comune di saperi e un’omogeneità culturale, che consenta di superare il problema dei gruppi dirigenti locali che recitano a soggetto, ciascuno come meglio ritiene di volta in volta opportuno.

E’ irrinunciabile che ricominciamo a praticare l’etica della diversità, che da troppo tempo abbiamo abbandonato. E’ un errore esiziale, pena la totale mancanza di credibilità agli occhi degli altri, predicare la questione morale e poi risultare troppo spesso tanto simili a coloro nei confronti dei quali ci riempiamo la bocca di critiche.

Occorre che lavoriamo per progetti e campagne di massa, che riescano a caratterizzare il partito su tutto il territorio nazionale. Poche, ben condotte e ben riconoscibili, che abbiamo un significato chiaro e immediato sui temi che sono il fulcro dell’analisi politica dei comunisti: DIFESA DEL SALARIO, OCCUPAZIONE, DIRITTO ALL’ABITARE, ISTRUZIONE PUBBLICA, ABOLIZIONE DEI TICKET SANITARI e UNIVERSALITA’ DELLA PRESTAZIONE SANITARIA.

Dobbiamo immediatamente e senza ritardi ulteriori ricercare convergenze su questioni concrete con chiunque e su queste stesse realizzare forme di unità concreta, di iniziativa comune, che ci devono guidare anche nella composizione delle alleanze ai vari livelli, le quali devono essere realizzate su programmi condivisi in base ai rapporti di forza e non più essere motivo soltanto di divisione interna al partito su basi preconcette (sempre con e mai con sono quanto di più impolitico abbiamo saputo concepire fino ad oggi).

Non tocco volontariamente in maniera approfondita la questione delle prossime elezioni amministrative regionali in Toscana, che si terranno a primavera, perché oggi dobbiamo discutere di altro, ovvero di come rimettere il partito in condizione di parteciparvi con dignità.

Certo è che, nonostante la legge elettorale, che ha visto l’accordo PD-FI e che ha registrato il nostro voto contrario in consiglio e nonostante la vendita di quote pubbliche dell’aeroporto pisano e di altre recenti e meno recenti vicende, ci pare di poter affermare con una certa serenità che questa regione fino a oggi sia stata governata in senso progressista e sulla base di valori condivisibili, tanto da segnare una linea completamente opposta a quella del governo nazionale sui temi sociali e del lavoro e ci pare anche che in tal senso poche o nessun’altra regione abbia saputo fare di meglio. Certamente sappiamo che tutto può migliorare ed è ovvio che oggi non possiamo prendere impegni in un senso o nell’altro.

Certo è che ci parrebbe fuori da ogni logica politica che il PdCI operasse una chiusura pregiudiziale e che non si ponesse l’obiettivo di essere il collante di un confronto tra il presidente uscente, se sarà, come pare, riconfermato per la candidatura al secondo mandato, e la sinistra toscana tutta, con lo scopo di realizzare un’altra legislatura che caratterizzi la Toscana ancora e ancor di più in senso progressivo e di equità sociale, così come ci è parso di fare fino a oggi con buoni risultati.

Nessuno può dire se ci riusciremo, né se ci saranno le condizioni per fare un’operazione di questo tipo; crediamo, tuttavia che dobbiamo provarci con l’aiuto di tutti coloro, partiti, associazioni, quadri intermedi, che a sinistra sono disponibili a un percorso unitario e comune per il progresso di questa regione.