Sull’organizzazione di un Partito comunista all’altezza della sfida

di Francesco Valerio della Croce

bandiererosse cieloRiceviamo da Francesco Valerio della Croce, militante della FGCI, e pubblichiamo come contributo alla riflessione e alla discussione  

Da tempo si è posto all’attenzione delle comuniste e dei comunisti in Italia il tema della ricostruzione di un pensiero e di una prassi adeguata alla sfida dei tempi, alla lotta durissima più volta alla resistenza  che non all’espansione delle ragioni del movimento comunista nel nostro Paese. E’ un’impellenza che brutalmente si manifesta giorno dopo giorno, al susseguirsi di eventi, mutamenti e dinamiche regressive , alimentate da un vento di reazione che soffia forte e tiene stretto l’intero continente europeo nell’occhio di un ciclone nero.

La nostra storia, fatta di resistenza, pervicacia ed aspirazioni alte, ci mostra e ci ammonisce a non cedere allo scoramento, a porsi sempre, al sopraggiungere delle difficoltà, la famosa domanda: “che fare?”. Un interrogativo che richiama alla mente la vicenda di un uomo, che nei momenti più bui, nella nebbia fitta e densa delle avversità  che si accumulano sulla nostra strada, è stato un faro, un punto di riferimento e di certezza, colui che ha dimostrato alla storia e all’umanità che il progetto del socialismo e del comunismo può diventare realtà, può sconvolgere il mondo. Si tratta del nostro Lenin.


Ma come far vivere oggi questa tensione? Come riuscire, ancora una volta, a superare le avversità?

La necessità di fare i conti con la realtà, con i suoi risvolti, i suoi repentini cambiamenti, giungendo persino a prevederne gli esiti con raziocinio , è un aspetto intrinseco ed irremovibile dal pensiero e della prassi del marxismo e del leninismo. Viviamo una fase liquida, molte volte sfuggente ed è bene dunque attrezzarci e far fronte agli eventi, anche sconvolgenti, che gli anni prossimi potrebbero riservare. Ma, se da un alto, è necessario uno sforzo di analisi suppletivo e costante della fase, dall’altro, alcuni suggerimenti, spunti e persino direttive possono venire dalla nostra storia. Una storia grande, che richiede discussione e valorizzazione, ma resa imponente dall’immensità degli uomini che l’hanno fatta vivere.

Quale contributo dunque può venire dalla nostra storia per lanciare un nuovo corso del movimento comunista?

Uno dei temi centrali che si para dinanzi ai quadri comunisti è quello dell’organizzazione: in una fase di offensiva durissima da parte del Capitale a cui si accompagna un sempre crescente desiderio di riscossa e di rivalsa delle masse popolare, ridotta oramai alla schiavitù e alla passività dai grandi interessi monopolistici internazionali e dai loro araldi della Troika e della tecnocrazia finanziaria,è imprescindibile assumere l’esigenza di una riorganizzazione complessiva del Partito.

IL CONTRIBUTO DI SECCHIA

Anche ai meno esperti in materia di “storia del Pci”, non risulterà fuori luogo evocare su questo argomento le parole di un grande dirigente ed un grande quadro organizzativo come Pietro Secchia, una delle pietre miliari della storia del comunismo italiano, uomo che ha contribuito a porre le basi per l’esistenza dell’eccezione “italiana” nell’occidente imperialista. A proposito di questo argomento, nella sua relazione alla Conferenza d’organizzazione del 1947 del Pci a Firenze, Secchia affermava: 

“il rendimento del lavoro è l’elemento più importante nella realizzazione della nostra linea politica per il raggiungimento dei nostri obiettivi. La democrazia non progredisce fatalisticamente, ma per il lavoro, per la volontà organizzata degli uomini  di partito e delle larghe masse popolari”.

Già in questo breve passo si coglie più di uno spunto interessante da cui aprire una riflessione: lo sviluppo dell’attività del Partito richiede un livello di cura notevole e necessario per determinare un rendimento effettivo della stessa. Fatto importante è che il lavoro politico dei comunisti si accompagna strettamente all’idea di progresso democratico (in linea con le teorizzazioni togliattiane sulla democrazia progressiva) del Paese, ma tutto ciò può esistere fintanto che vi sia una coincidenza tra volontà degli uomini organizzati in partito e masse popolari. Quale migliore esplicazione della formula del partito di quadri con linea di massa? Non bastasse, lo stesso Secchia aggiunge ulteriori elementi molto significativi e di specificazione dei concetti sopra riportati:

“Si tratta dunque di organizzare meglio il nostro lavoro, di distribuire meglio il lavoro. Di far sì che la nostra organizzazione funzioni a pieno rendimento. Dire e ripetere che ogni compagno deve essere attivo. Che bisogna affidare un compito ad ogni compagno è solo il primo passo, significa impostare il problema in modo generale. Per attivizzare tutti i compagni, le compagne, i giovani ed i giovanissimi, non basta che noi facciamo delle prediche. Il problema è un altro, si tratta di riuscire a far sì che tutti i compagni possano essere attivi, si tratta di organizzare il lavoro in modo che tutti abbiano un compito da assolvere, e si tratta anche di avere una organizzazione base che renda possibile l’attivizzazione di tutti i compagni”.

A questo punto, una premessa di ordine metodologico oltre che contenutistico potrà essere utile: quando Secchia pronuncia queste parole, si rivolge ad un partito in ascesa, che conquista spazi di radicamento sociale giorno dopo giorno, una tendenza che porterà il Pci ad avere un numero di iscritti superiore ai 2 milioni. Pertanto contestualizzare questi ragionamenti risulta essere indispensabile al fine di non forzare o, peggio, travisare il loro significato. L’attivizzazione a cui Secchia fa riferimento è evidentemente incentrata sulla militanza, sulla battaglia politica quotidiana, potrebbe essere intesa assai similmente al termine “impegno”. Si tratta di ribadire l’esigenza di un accrescimento del lavoro complessivo del partito, un partito in fase espansiva che può contare su un numero di compagne e compagni notevole non completamente messi a valore. Tuttavia, questo passaggio può essere molto utile anche ai comunisti oggi, ai comunisti che si interrogano su come potenziare il proprio metodo di lavoro. 

La necessità di “attivizzare” il maggior numero di compagni al lavoro politico è certamente un’esigenza avvertita. Molte volte, uno scollamento forte tra gruppo dirigente centrale e base ha prodotto meccanismi di delega, di disinteresse. Nella stessa relazione del 1947 Secchia, retoricamente, chiede:

“Quanti segretari federali, non dico in tre mesi, ma in due anni sono stati capaci di educare, di formare un loro sostituto? Non ne conosco. Eppure due anni di lavoro sono qualcosa.”  

In questo passo riemerge il tema della cura del lavoro politico e del rendimento dello stesso, che in questo caso si sostanzia nella necessità di un lavoro formativo, volto alla creazione di nuovi quadri, pronti ad assumere la direzione di strutture articolate come le federazioni (questa modalità  di “ricambio” tanto potrebbe far riflettere in questi anni di conflitto generazionale strumental-gattopardesco e di “rottamazione”). E’ evidente, dunque, quanto per Secchia organizzazione e formazione siano due gambe dello stesso corpo. Cosa possono suggerire, allora, a noi questi spunti secchiani?

ATTIVIZZAZIONE E RESPONSABILIZZAZIONE

Per provare a ragionare su di un metodo organizzativo efficace ed utile in presenza di un quadro generale sfavorevole e di un’offensiva reazionaria durissima che si annuncia duratura e sempre più ostile, sarà bene provare a richiamare un’ ultima volta le parole dello stesso Secchia:

“Lo sviluppo dei quadri lo si ottiene attirando al lavoro responsabile nuovi compagni. E’ preferibile che un compito non sia realizzato al cento per cento ma che un nuovo quadro sia stato messo alla prova per l’avvenire”.

La parola chiave per provare a delineare una discussione sulla riorganizzazione dei comunisti potrebbe essere proprio, “responsabilità”: si tratta di attuare una modalità organizzativa che al contempo assolva a tre funzioni:

1) attivizzare il maggior numero possibile di compagni,

2) formazione degli stessi,

3) porre le basi per la creazione dei nuovi quadri.

Attivizzare e formare dei quadri sono azioni che presuppongono al contempo un lavoro di studio e di iniziativa politica. Un modo concreto per sintetizzare questo duplice impegno potrebbe essere quello di affidare ai compagni, giovani o meno, “responsabilità” precise. Per farlo si potrebbe attuare la formula della “apertura dei dipartimenti tematici”: coinvolgere cioè nell’organizzazione della vita del partito compagni che, da un lato, per esperienza e militanza si sono cimentati in un determinato ambito della vita sociale (basti pensare a quello sindacale, agricolo per le regioni meridionali, scolastico per i compagni più giovani, e così via) e, dall’altro, possano divenire i dirigenti di domani, messisi a disposizione di un percorso di impegno preciso volto alla formazione, a partire dal lavoro nella società. Evidentemente, questa responsabilizzazione si sostanzierebbe in un duplice aspetto: un lavoro di tipo intellettuale e formativo che porterebbe i compagni ad investire le proprie energie nell’approfondimento di tematiche settoriali precise ed elevare sia livello di coscienza che di qualità umana (terreni essenziali anche questi su cui si combatte la lotta di classe), ed un lavoro di tipo pratico nell’organizzazione dell’iniziativa politica, persino logistico che porterebbe il Partito ad un’organizzazione razionalizzata, più precisa ed efficace. Fare in modo che tutti i dipartimenti (o gruppi di lavoro, che dir si voglia), ad ogni livello (nazionale, regionale, federale), impegnino con responsabilità precise il maggior numero di compagni avrebbe l’innegabile e positiva, dal punto di vista dello scrivente, conseguenza di un maggiore coinvolgimento dei quadri alla determinazione della linea politica del partito, in ogni ambito, non relegando il tema della linea alle prerogative degli organismi centrali. L’approfondimento e le esperienze così accumulate diventerebbero patrimonio dell’intero corpo del Partito: in una prospettiva simile, la linea del Partito sarebbe sì sancita dagli organismi dirigenti, ma preparata, creata, dai compagni, formando una sinergia tra quadri ed organi centrali. 

E’ oramai divenuto molto semplice porre in collegamento, attraverso le nuove tecnologie, le varie esperienze diffuse sul territorio nazionale e le modalità di coordinamento e di produzione a livello tematico potrebbero risultarne assai semplificate. Provare a coinvolgere un patrimonio di esperienze, di competenze e di energie   nella vita del Partito potrebbe rappresentare uno snodo significativo per la vicenda dei comunisti in Italia. 

Non si tratta di attribuire titoli, una pratica negativa che sfocerebbe irrimediabilmente nel bieco carrierismo, ma di distribuzione del lavoro politico. Di responsabilità, appunto. 

La presente, naturalmente, non è che una proposta. Il fine di questo contributo è animare un dibattito che può ragionevolmente coinvolgere tutto il corpo militante del Pdci. 

La nostra storia può molto insegnare e illuminare, a noi sta il compito di continuare la lotta e uscire dall’angolo.