Per una teoria e una prassi condivise

di Endrio Milano, PdCI Federazione di Torino

prospettivepericomunisti bannerNel dibattito interno al Partito paiono affacciarsi due posizioni, apparentemente, tra loro parallele e contrastanti.

Sembra a prima vista un confronto tra chi sostiene la necessità di un accordo con il PD ad ogni costo e chi lo esclude a prescindere e anzi ritiene questa esclusione la condizione necessaria per la ripresa dell’iniziativa politica dei comunisti.

E’ evidente che se lasceremo che il dibattito congressuale si imperni su questi binari, per il Partito, oggi in vistosa difficoltà, gli esiti saranno disastrosi.

E allora, siccome i sostenitori delle due posizioni sono comunque accomunati dall’amore per il Partito, perché non tentare una sintesi più alta che, tenendo conto di tutte le ragioni, sappia dotare il Partito stesso di un programma in grado di rilanciarlo riorganizzandolo.

Per tentare una sintesi dobbiamo, preliminarmente, evidenziare le criticità delle due posizioni delle quali parliamo e per farlo inizio da quella a me più vicina: l’accordo con il PD e il dialogo con il Centro Sinistra.

Non mi dilungo su quelle che io ritengo essere le ragioni positive ma, non mi nascondo neanche le criticità che sono una un certo anticomunismo di una parte consistente del PD e la difficoltà di sostenere un programma condiviso con quel partito perché notevoli si sono dimostrate, ieri ed oggi, le distanze tra le rispettive opzioni programmatiche.

L’altra posizione, non nascondo che è dotata di una grande carica suggestiva perché sollecita un richiamo identitario forte, perché propone di non “ contaminarsi” e perché convoca ad una battaglia di lungo periodo; in un certo senso romantica.

Al contempo non mi nascondo che quella posizione certamente affascinante per i militanti è difficilmente spendibile, in un momento di grave crisi economica, verso le classi che dovrebbero costituire il nostro blocco sociale di riferimento.

Quando la crisi attanaglia, l’operaio, il pensionato, il cassaintegrato, il giovane hanno bisogno di risposte immediate perché si sentono, e sono, privati del loro futuro.

Fatto questo primo passo, per creare le premesse alla sintesi, dobbiamo fare ancora un passaggio logico che è quello di lasciarci alle spalle la sterile dialettica che abbiamo chiamato politica delle alleanze per riappropiarci del senso più profondo di alcuni concetti che possono aiutare a ricostruire una teoria ed una prassi unanimemente condivise: a mio parere tattica/strategia e centralismo democratico.

Del centralismo democratico mi preme, in questa sede, ricordare che non è solo l’applicazione del principio liberale del voto a maggioranza ma è, o dovrebbe essere, un metodo di analisi e decisione che deve pervadere tutto il corpo del Partito dal militante periferico al dirigente più importante, valorizzando la capacità di sapersi ascoltare.

Il metodo del centralismo democratico funziona perché quando applicato correttamente evita di ridurre il dibattito al voto di maggioranza perché ha costruito una posizione largamente condivisa.

Tattica e strategia li abbiamo un po’ dimenticati e soprattutto abbiamo dimenticato che spesso nella storia il corretto bilanciamento di questi due concetti, ha consentito ai comunisti di superare gravi crisi e di ottenere importanti risultati sia per il Partito che per le classi popolari.

Strategia è la natura stessa dei Comunisti che mentre operano costantemente per il superamento del capitalismo, contemporaneamente perseguono l’obiettivo dell’avanzamento della democrazia radicando il conflitto sociale nelle Istituzioni.

Tattica è la capacità di adattarsi al contingente, al quotidiano, o per rafforzare il Partito o per non sparire definitivamente che sarebbe il caso nostro.

Termino quindi questo mio intervento proponendo alle compagne ed ai compagni di valutare se dalla applicazione dei tre principi che ricordavo non possa venirci un aiuto alla ricerca di quella sintesi più alta che dicevamo.