Alcune riflessioni sull’unità d’azione con il PRC

di Giorgio Raccichini, PdCI di Porto San Giorgio

prospettivepericomunisti bannerI mesi precedenti alle ultime elezioni politiche hanno reso evidente un contrasto interno alla Federazione della Sinistra tra le due componenti del PRC e del PdCI. I motivi di dissenso hanno prodotto accuse reciproche, sebbene più accentuate dalla sponda di Rifondazione, di “opportunismo” e “tradimento”, categorie piuttosto abusate nella storia del movimento operaio.

Le differenze tra le due formazioni che si richiamano al Comunismo sono molte e vertono in particolar modo sulla questione organizzativa del partito e sulle strategie elettorali; queste ultime, poi, evidenziano più in generale diverse visioni sull’obiettivo principale da perseguire e sulle alleanze possibili nell’ambito dell’attuale fase della lotta politica in Italia.

L’impostazione data alla questione delle alleanze dal Partito dei Comunisti Italiani a partire da VI Congresso è sicuramente la più razionale e concreta. Si trattava di distinguere bene il nemico principale, il berlusconismo e la sua base sociale, e di costituire un polo democratico volto a sconfiggere definitivamente la cosiddetta “anomalia” italiana degli ultimi vent’anni.

Il Partito Democratico costituiva l’interlocutore necessario, con cui concretizzare un’alleanza democratica mediante la quale realizzare riforme importanti sul piano dell’istruzione, dell’economia, del lavoro e del fisco. Ci ponemmo allo stesso tempo anche le questione dell’unità dei comunisti e della sinistra, affinché di fronte al PD ci fosse un interlocutore più forte, capace di non farsi “fagocitare” in un dialogo ricco di incognite e di rischi. La parola d’ordine, se non si vuole tirare a destra la nostra linea politica, era chiaramente “non a tutti i costi con il centro-sinistra, non a tutti i costi al di fuori del centro-sinistra”: una parola d’ordine chiara, razionale, che dovrebbe rappresentare ancora il faro per il nostro partito nella perigliosa ricerca delle alleanze.

Il quadro poi cambiò radicalmente: il Governo Berlusconi dovette lasciare il posto a quello montiano. Il Partito Democratico, compiendo l’errore di non andare subito a nuove elezioni, è arrivato così ad appoggiare misure che si fanno ora sentire sulla pelle dei lavoratori italiani.

Il nostro Partito, prima delle ultime elezioni, ha continuato a perseguire un dialogo necessario con Bersani e Vendola, sperando di costituire insieme a SEL una forza di appoggio alle componenti socialdemocratiche del PD. Il tentativo non è andato a buon fine, poiché evidentemente vi sono allo stato attuale visioni politiche e socio-economiche assai differenti. Qualcuno dice che ci saremmo dovuti nascondere all’interno delle liste del PD o di SEL, per poi entrare con una sparuta pattuglia in Parlamento e trovarci nelle condizioni di dover compiere scelte pericolosissime: o accettare qualsiasi proposta non condivisibile proveniente dalla maggioranza della coalizione su temi come il lavoro o la guerra; oppure finire per fare la figura dei soliti guastafeste che non accettano condizioni chiare fin dall’inizio (il pressing pre-elettorale di Bersani su Monti rivela verso quale direzione spingeva il Partito Democratico). Avremmo in ogni caso ingannato l’elettorato nostro e di centro-sinistra.

La chiusura del PRC a qualsiasi forma di dialogo con le forze del centro-sinistra rivela un atteggiamento settario pericoloso tanto quello dell’appiattimento, o forse sarebbe meglio dire annullamento, nel centro-sinistra. Dialogare è un modo fondamentale per capire differenze e somiglianze rispetto ai possibili alleati, per comprendere quali mosse un partito comunista può effettivamente realizzare per conquistare postazioni avanzate in una difficile “guerra di posizione” contro i propri avversari. Il dialogo costringe a fare chiarezza ed è un modo per far arrivare il proprio messaggio alle masse popolari.

Questa profonda differenza sul piano delle strategie elettorali non può essere cancellata in poco tempo. Ancora a lungo esisteranno tra PdCI e PRC frizioni su questo tema, ma sarebbe un errore pensare che questo problema possa inficiare l’arduo percorso di avvicinamento dei due partiti, che rappresenta un aspetto importante del più generale obiettivo di ricostituzione di un partito comunista adatto ai tempi. Questo obiettivo rappresenta l’asse portante del programma del PdCI, da non abbandonare nonostante le enormi difficoltà che vi si oppongono.

Se i percorsi elettorali possono essere differenti, ci sono state e ci saranno battaglie che ci vedono dalla stessa parte della barricata. In tutte le battaglie referendarie degli ultimi anni noi Comunisti, insieme, abbiamo profuso grandi energie; tuttavia in queste lotte non siamo stati “la scintilla che ha incendiato la prateria”. Perché? Per il motivo che noi Comunisti non abbiamo fiducia nelle nostre forze, nella possibilità di costruire insieme queste battaglie aggregando intorno ad esse i lavoratori e diverse forze sociali.

Sarebbe utopistico, inoltre, credere che i due partiti possano fondersi a freddo, senza un lungo lavoro comune che rappresenta allo stesso tempo un percorso di educazione reciproca. Per esempio è nota la differenza di atteggiamento nei confronti del principio organizzativo del centralismo democratico; l’avversione interna al PRC nei confronti di questo principio può avere varie cause e sicuramente in molti militanti vi è l’errore, originato dall’ignoranza, di confonderlo con una sorta di dittatura all’interno del partito, mentre rappresenta la migliore garanzia che, attraverso l’indissolubile unione della disciplina e della democrazia, le differenze interne non assumano la forma di correnti in guerra l’una contro l’altra. È in sostanza la garanzia dell’unità del partito, fondamentale nella lotta per realizzare gli interessi unitari delle masse lavoratrici.

Si possono fondere a freddo due partiti quando non condividono un tale principio di fondamentale importanza? Non credo. Tuttavia non vedo perché questo debba impedirci di condurre battaglie in comune con i compagni del PRC, che costituisce anche il modo migliore per convincerli di ciò che noi riteniamo errato nel loro modo di organizzarsi e di agire.

L’unità d’azione dei comunisti deve essere l’asse portante intorno a cui poi costituire un’aggregazione di forze politiche e sociali, nella quale, abbandonando atteggiamenti codisti, dobbiamo avere un ruolo di direzione.