Podemos e la nuova Weimar europea

tsipras-iglesiasdi Alessio Arena | da frontepopolare.net

Pubblichiamo un articolo del compagno Alessio Arena, dei GC di Milano, come utile contributo a una maggiore conoscenza delle vicende della sinistra in Europa e al confronto sui compiti e le prospettive dei comunisti

«Lo spontaneismo non esiste, e se esiste è organizzato». Questa fondamentale lezione di Lenin, formulata ormai un secolo fa, sembra oggi essere scomparsa dalla coscienza dell’opinione di sinistra, facile preda della capacità egemonica e di orientamento delle classi dominanti e dei loro mezzi di comunicazione di massa. Il fiorire repentino di soggettività politiche prive di radicamento sociale, ma oggetto di attenzione quasi maniacale da parte dei media, suscita in essa entusiasmo e smanie di emulazione, invece che sospetto e interrogativi inquietanti.

Il caso di Podemos in Spagna, “piattaforma politica” promossa in gennaio dall’opinionista televisivo Pablo Iglesias e da un gruppo di altri “giovani” operatori del settore della comunicazione, subito sostenuti da Izquierda Anticapitalista (equivalente iberico dei succedanei di Sinistra Critica in Italia) e da altri vecchi arnesi della “sinistra radicale” anticomunista e recentemente trasformatosi in partito, sembra essere in questo senso paradigmatico.

Interiorizzata la convinzione dell’impossibilità del cambiamento strutturale nelle relazioni sociali, il “popolo della sinistra”, desideroso di ritrovare la passata rilevanza elettorale – ma s’intende, a patto che essa piova dal cielo e che non sia invece il frutto di un duro lavoro di studio, disciplina e organizzazione che richiederebbe non indifferenti sacrifici personali -, appare paralizzato nell’attesa messianica del riscatto a buon mercato. E subito, secondo la legge della domanda e dell’offerta, l’industria della costruzione del senso comune si affanna a mettergli a disposizione il prodotto desiderato, accompagnandone la presentazione con sondaggi sempre più trionfali che inneschino un dibattito completamente virtuale sulla prospettiva, data per indiscutibile, di un’ascesa inarrestabile verso la vittoria elettorale e sulle opportunità che essa potrebbe aprire a un intero continente che si dibatte nelle spire della crisi economica.

Se in Italia il tentativo di costruire a tavolino un “partito della sinistra” compatibile con il sistema ha assunto i connotati più maturi ed evidenti con l’ascesa, completamente inventata dai pennivendoli di Repubblica e mai concretizzatasi in veri successi in termini di voti espressi, di Sinistra Ecologia e Libertà, troppo ancorata a un Partito Democratico in piena mutazione genetica per spiccare il volo in autonomia, in Spagna la situazione è opposta. Dopo che nel 2009 l’esplosione della bolla speculativa su cui si era retto per trent’anni il modello di sviluppo post-franchista ha messo fine all’esperienza del governo socialista di José Luís Rodriguez Zapatero, nel clima di allarme creato dal dilagare della disoccupazione di massa, della miseria diffusa e finanche della malnutrizione infantile, è toccato alla destra del Partito Popolare assumersi l’onere di guidare il paese nella fase del collasso economico, dell’emigrazione massiva e del moltiplicarsi delle spinte secessioniste, mentre una fitta successione di scandali giudiziari non hanno smesso di colpire tanto i due principali partiti dell’alternanza (PP e PSOE, appunto), quanto le istituzioni originatesi nel periodo della transizione alla “democrazia” (1977), a cominciare dalla Casa Reale. La stessa sopravvivenza della monarchia è sembrata venirne messa in questione, tanto da spingere l’anziano monarca Juan Carlos, già delfino del dittatore genocida Francisco Franco e screditato dai tanti piccoli e grandi casi di malversazione che hanno interessato i Borboni e lui stesso negli ultimi anni, a lasciare il trono alla coppia ben più “glamour” composta dal figlio, incoronato re Felipe VI questa primavera, e dalla sua consorte ed ex giornalista televisiva Letizia Ortiz.

In una simile situazione di caos non vi è stato, fino a gennaio di quest’anno, che un elemento certo: l’ascesa elettorale di Izquierda Unida, coalizione guidata dal Partito Comunista di Spagna, data da tutte le rilevazioni in forte crescita di consensi. Un rafforzamento, quello di IU, frutto di un profondo processo autocritico riguardo la linea di sudditanza al PSOE seguita sotto la direzione dei sodali iberici di Fausto Bertinotti, Paco Frutos e Gaspar Llamazares, i cui risultati sono stati molto simili a quelli ottenuti in Italia: crollo elettorale fino a percentuali prossime al 3% e semi-annientamento dell’organizzazione comunista.

A partire dal 2009, sotto la guida del nuovo coordinatore di IU Cayo Lara e del nuovo segretario del PCE José Luís Centella, la sinistra di classe spagnola si è posta all’opera per affrontare le sue deficienze e, pur tra mille contraddizioni, si è dotata degli strumenti indispensabili alla propria ricostruzione: una chiara linea sindacale (intervento egemonico nell’opposizione interna al principale sindacato dei lavoratori, Comisiones Obreras); ripresa della questione repubblicana come perno della proposta di trasformazione politica, sociale e istituzionale della società e dello Stato spagnoli tramite la costruzione di una democrazia partecipativa orientata alla transizione al socialismo; iniziativa unitaria nei confronti dei settori di militanza comunista fuoriusciti dal PCE nel corso dei decenni (unità dei comunisti) e delle forze della sinistra estranee alla coalizione di Izquierda Unida, fattasi perno della costruzione delle liste elettorali della Izquierda Plural. Se sul piano strategico IU e il PCE, in virtù delle loro contraddizioni interne non hanno saputo sciogliere alcuni nodi fondamentali, quale ad esempio quello dell’uscita dall’euro, è però evidente come la nuova direzione affermatasi nel 2009 abbia ricollocato i due soggetti in una posizione di garanzia del dialogo tra il Partito della Sinistra Europea (SE) e i grandi partiti rimasti ad esso estranei: il Partito Comunista Portoghese, il Partito dei Lavoratori del Belgio, L’AKEL cipriota e il Partito Comunista di Boemia e Moravia in particolare. Di qui la recalcitranza spagnola ad avallare la candidatura di Tsipras alla presidenza della Commissione UE in occasione delle ultime europee, candidatura che ha diviso gravemente la sinistra di classe a livello continentale e favorito la riconciliazione di una parte di essa con le classi dominanti, come emblematicamente si è manifestato in Italia con l’adesione dei pennivendoli di De Benedetti alla lista de “L’Altra Europa” e l’elezione di due di loro (Barbara Spinelli e Curzio Maltese) al Parlamento europeo nelle file del GUE.

E’ in questo contesto che irrompe, nel gennaio di quest’anno, la piattaforma Podemos. Sin da subito, essa si pone in termini dicotomici rispetto a Izquierda Unida, le contende l’elettorato, ne contesta la legittimità in nome della lotta contro la “casta”. Un’operazione di marketing ben nota agli osservatori italiani, avvezzi alla retorica grillina, ma che in Spagna assume connotati di “sinistra” proprio in virtù della competizione con il soggetto storico dell’antagonismo di classe.

Malgrado i tentativi unitari di IU, le pregiudiziali poste da Podemos, che pretende primarie aperte in stile PD per la scelta dei candidati, impediscono la presentazione di una lista unitaria della sinistra alle elezioni europee dello scorso maggio. Il risultato è decisivo: malgrado il successo, IU non riesce che a sfiorare la soglia psicologica del 10%, data per acquisita solo pochi mesi prima, mentre a dispetto della totale assenza di radicamento sociale, sin da subito Podemos conquista la ribalta mediatica, che la traghetta a un significativo 7,9% nelle elezioni di maggio. Se si dovesse calcolare in termini economici il valore della pubblicità accordata dai media spagnoli a Iglesias e ai suoi, probabilmente essi risulterebbero secondi solo al Partito Popolare. Il risultato è ben inferiore di quello di IU, ma sufficiente per giustificare un ulteriore incremento dell’esposizione mediatica della formazione guidata da Pablo Iglesias, ben al di là della liceità accordata dai voti ottenuti.

Un parossismo propagandistico si è da allora abbattuto su IU, i cui esponenti sono stati ripetutamente chiamati a rispondere, di fronte al giudizio insindacabile delle telecamere, della legittimità della sopravvivenza della loro formazione a fronte della dinamica ascendente tutta virtuale che dà Podemos al primo posto nelle intenzioni di voto degli spagnoli. Un paradosso, dunque, in virtù del quale la principale formazione politica della sinistra spagnola viene condannata alla gogna mediatica, a dispetto di un successo elettorale completamente occultato, a beneficio di un concorrente non in grado di offrire alla cittadinanza nemmeno l’ombra della capacità di organizzazione e direzione del conflitto sociale espressa dalla coalizione guidata dai comunisti.

A completare il quadro, alcuni scandali legati alla spartizione delle posizioni di potere nel sistema bancario cui IU avrebbe acceduto durante l’era del collaborazionismo con il PSOE, amplificati ad arte su tutte le prime pagine, hanno contribuito a conferirle l’immagine compromessa con il potere e torva necessaria a depotenziarne l’attrattiva a fronte di un concorrente dalla facciata fresca, dinamica, immacolata. E poco importa che nelle file di Podemos s’incontrino volti più che noti della vecchia politica spagnola, taluni dei quali dal passato fin troppo sospetto: quello che conta, per i consumatori della politica, è la seduttività del nuovo, la novità del brand. Podemos è il nuovo che vince, IU è il vecchio da rottamare. I media trasmetteranno la sostituzione in prima serata, con il plauso dei loro editori multimiliardari seduti tra il pubblico.

Vale la pena di sottolineare, in tutto questo, la rapidità con cui la Syriza di Alexis Tsipras ha abbracciato la novità affacciatasi ad occidente, malgrado il legame teorico di solidarietà che avrebbe dovuto legarla alla IU di Cayo Lara, subito abbandonata per favorire l’interlocuzione con il “giovane” Iglesias, malgrado la comune appartenenza alla SE. Un cambiamento di fronte repentino che, ovviamente, si è subito ripercosso sulla fazione ferreriana che guida il PRC, pronta a seguire il padre-padrone di Atene nell’abbandono dei compagni spagnoli divenuti scomodi, in favore di diverse alleanze e prospettive. Il duo Tsipras-Iglesias è ora pronto a conquistare la sinistra da rotocalco a livello continentale, ad animarne la passività e le mistiche attese di redenzione dal “minoritarismo”.

Per completezza d’informazione, va detto che IU non sta reagendo nel migliore dei modi alla campagna di annientamento mediatico che le viene rivolta contro. Al protagonismo di Podemos essa va contrapponendo l’assunzione dei costumi dell’avversario, delle sue modalità d’azione, sacrificando alla necessità tattica di arginarne il dilagare l’obiettivo strategico dell’affermazione di una nuova concezione della politica, fatta di partecipazione diretta e quotidiana, di studio, lavoro e organizzazione finalizzati a dare forma e contenuto a un modo nuovo di essere liberi: il protagonismo sociale. Una priorità strategica, questa, emersa per la prima volta con il giacobinismo nella Rivoluzione francese e che solo a tratti, da allora, il movimento rivoluzionario è stato in grado di affermare nella pratica quotidiana delle società occidentali. L’indizione di “primarie aperte” per la scelta del candidato della sinistra di classe alla presidenza del governo, così nota all’osservatore italiano, e la contestuale emarginazione del “vecchio” Cayo Lara (oggetto per anni del disprezzo classista dei media spagnoli in virtù delle sue origini e della sua aria “da contadino”) a favore del “giovane” ricercatore universitario Alberto Garzon, pur formatosi nella Gioventù Comunista del PCE organizzata secondo i principi del marxismo-leninismo e portatore di positive novità nell’analisi politica, preludono a una resa nei confronti del plebiscitarismo e della mediatizzazione del dibattito politico che difficilmente favorirà il lavoro di costruzione della coscienza di classe di cui i comunisti spagnoli hanno ripreso, a partire dal 2009, a farsi interpreti.

Resta ora, per completare la nostra analisi, il compito di delineare alcune caratteristiche di Podemos quanto a connessione con le classi dominanti, profilo politico e prospettive programmatiche. Un primo indizio in questo senso lo fornisce il giornalista di regime Iñaki Gabilondo, il quale ha avuto a dichiarare: «Se la crescita spettacolare di Podemos riflette l’ampiezza della collera dei cittadini, vi immaginate questa collera senza Podemos? Ve la immaginate incontrollata e sciolta? Ve la immaginate nelle strade? Chi contesta Podemos dovrebbe prenderne in considerazione il contributo nell’indirizzare tale indignazione entro gli argini della democrazia». Un argomento, questo, caro al nostro Beppe Grillo, che ben rende la misura del contributo offerto da Iglesias alla stabilizzazione del regime oligarchico in una Spagna ridotta in ginocchio dalla crisi.

All’origine del successo di Podemos si trova il favore incontrato in primo luogo presso il quotidiano Público, principale organo della “sinistra” compatibile col sistema, la cui testata è stata non a caso ripresa, in Italia, da Luca Telese per l’operazione fallimentare della fondazione di un quotidiano destinato a convogliare l’opinione progressista verso il sostegno a SEL e a Nichi Vendola. Il direttore generale di Público, José María Crespo è, nel più classico dei canovacci, un tipico esponente della “casta”: ex leader della gioventù socialista e collaboratore di Felipe Gonzales, Crespo è stato promosso in quota socialista in Público ed è amico intimo di Javier de Paz, faccendiere legato allo stesso PSOE. I legami dei finanziatori e azionisti di Público con la grande finanza e il malcostume iberici sono ben noti e profondi, arrivando fino a lambire i rapporti con Israele. D’altra parte è noto come tra le principali componenti di Podemos vi sia la già citata Izquierda Anticapitalista, membro insieme ai succedanei di Sinistra Critica di un’Internazionale post-trotzkista le cui complicità con l’imperialismo sono ben note, a cominciare dai rapporti e dalla propaganda svolta in favore delle “primavere arabe” e delle formazioni politiche islamiste che ne hanno tratto vantaggio con il sostegno dell’occidente, fino all’appoggio aperto alle ribellioni fomentate dalla NATO in Libia e Siria.

In presenza di cosa ci troviamo, dunque? L’opinione di chi scrive è che si vada delineando un progetto neo-socialdemocratico su scala continentale, molto simile a quello già vissuto dall’Europa negli anni ’70, alla vigilia del crollo dei regimi fascisti nella Penisola Iberica e in Grecia e sotto la spinta del crescere della prospettiva comunista in Italia e Francia. Come in quel periodo il blocco atlantico favorì e finanziò la resurrezione della socialdemocrazia in chiave anticomunista, oggi, nella situazione creata dal crescere delle tensioni sociali provocate dal precipitare delle condizioni di vita delle masse determinato dalla crisi economica, gli apparati ideologici legati alle concentrazioni monopolistiche si adoperano per arginare la ripresa generalizzata della sinistra di classe e limitarne la presa nelle società europee, spezzandone al contempo l’unità dall’interno. Gli strumenti di questa manovra sono da identificarsi in formazioni politiche come Syriza e Podemos, che mascherano sotto un apparente radicalismo la loro compatibilità con il sistema, resa perfettamente evidente dalla negazione della prospettiva immediata della rottura con l’euro e i trattati costitutivi dell’UE. Un tratto distintivo ben espresso, da ultimo, dallo stesso Pablo Iglesias: «Non è possibile uscire dall’euro adesso. (…) Con un governo popolare in Grecia con Tsipras e in Spagna con noi, il potere di condizionamento sulla Bce sarà molto forte. (…) Il cambiamento in un solo Stato è impensabile. La nostra strategia è continentale». Una temperie pienamente incarnata, in Italia, dalle pressioni del gruppo di Repubblica verso lo scioglimento dei soggetti politici esistenti a sinistra in una “Podemos italiana”, proposto da Curzio Maltese – uomo di De Benedetti eletto al Parlamento Europeo con “L’Altra Europa” – nel suo ultimo articolo sull’Huffington Post di Lucia Annunziata, altra nota pennivendola dei poteri forti.

Qualora questo disegno dovesse prevalere nella sinistra di classe europea, il suo decorso è già segnato: nelle condizioni materiali determinate dalla crisi economica e caratterizzate dall’impossibilità del compromesso di classe ossessivamente reclamato dai dirigenti neo-socialdemocratici (Tsipras…ma anche Ferrero) sotto la parola d’ordine del “New Deal europeo”, l’esplosione della collera sociale non troverebbe più altri sbocchi che nella furia distruttiva della destra più estrema, nell’involuzione autoritaria a livello continentale. Ci troviamo insomma nell’anticamera di una nuova Weimar, con Le Pen, Salvini e camerati che guadagnano visibilmente terreno.

Spetta ai comunisti e ai democratici consapevoli prevenire questo pericolo, contrapponendo alle menzogne mediatiche della risma di Podemos e alla frantumazione dell’unità nella lotta che esse nascondono, la proposta di un nuovo fronte politico e sociale di classe capace di unire le forze antagoniste, comuniste o di altra matrice, nella definizione di un lucido e coerente progetto di trasformazione secondo giustizia della società. Risiede in ciò e nella trasparenza politica che ne è la precondizione, l’unica speranza di costruire una via di fuga dalla barbarie che incombe su di noi.