Foucault, contro Marx. Anzi con…

Quanto ha inciso Marx nella formazione di Foucault? E quanto il pensiero di quest’ultimo ha segnato lo sviluppo del marxismo occidentale? A questi interrogativi ha tentato di dare una risposta “Foucault, Marx, marxismi”, un convegno organizzato ieri l’altro dal dipartimento di filosofia dell’università di Bologna ieri l’altro. Manlio Iofrida – tra gli studiosi intervenuti – ha esplorato uno dei periodi più trascurati dalla letteratura critica, il Foucault che, all’inizio degli anni ’50, si iscrive al Pcf. Le sue posizioni filosofiche oscillano, all’epoca, tra la psicologia esistenziale di Biswanger (di filiazione heideggeriana) e un marxismo ortodosso in cui trovano spazio elementi
di osservanza sovietica (in particolare Pavlov). I marxismi dell’epoca si formano in una nebulosa: dalle ascendenze surrealiste, all’opera di Bataille e del Blanchot del dopoguerra, fino al poeta e resistente Réné Char. Più tardi Foucault non avrebbe sostituito Marx con Heidegger, quanto piuttosto a un marxismo di osservanza sovietica un marxismo “nietzscheanoheideggeriano”. Non una cancellazione
di Marx, ma l’esordio di un diverso rapporto con Marx, non più soggetto all’ortodossia.
Foucault – ha notato Guglielmo Forni Rosa – distingue il riconoscimento dell’importanza di Marx dalla critica del marxismo come istituzione ancorata ad apparati di potere (partito, Stato). Il rifiuto del marxismo come scienza non è tanto una contestazione della legittimità del marxismo a comparire fra le scienze sociali del XIX secolo, ma come critica degli effetti di potere propri del discorso
scientifico. L’analisi del rapporto con Marx è ostacolata tanto dal “gioco” di Foucault che usa frequentemente Marx senza citarlo, quanto a diverse imprecisioni nelle citazioni. Il caso più importante – ricordato nel convegno da Rudy Leonelli – è quello della conferenza del 1982, Le maglie del potere, in cui Foucault indica luoghi del Capitale come un punto di riferimento per un’uscita dalla concezione giuridica del potere. Con il riferimento (erroneo) al II libro del Capitale, Foucault si riferisce in realtà a brani del tomo 2 del primo libro, (IV sezione). Solo se si individua il Marx al quale si riferisce Foucault, si può leggere l’analisi delle tecnologie del potere come una generalizzazione delle analisi marxiane.
Il Foucault più propriamente politico è ricordato soprattutto per le tesi dell’opera Le parole e le cose del 1966, dove contestava la reale rottura epistemica di Marx rispetto all’economia politica ricardiana – come precisa Stefano Catucci. Più tardi Foucault cercherà non
tanto di “ritrattare” questa tesi, ma di circoscriverne la portata e sottolineare la rottura costituita dagli scritti storici di Marx. Alla radice della critica foucaultiana del marxismo, stanno in primo luogo i deludenti esiti dell’esperienza sovietica, la mancanza nel socialismo di un’autonoma concezione della «governamentalità», una pratica di potere che si esprime in termini di fedeltà ad un testo.
Per molti versi si possono vedere corrispondenze tra le ricerche dell’operaismo italiano e le genealogie di Foucault, come segnala
Marco E. Giacomelli. L’inchiesta sul cremonese di Montaldi (1956) inaugura un atteggiamento “partecipante”, in opposizione alla pretesa neutralità del ricercatore. Gli operaisti privilegiano il terreno dell’inchiesta, della co-ricerca (Guiducci, Alquati). Esperienze accomunabili a Foucault per il primato della pratica, il riferimento al sottoproletariato, il carattere disseminato del potere, il tema della società-fabbrica.
Ancora oggi lo strumento dell’inchiesta potrebbe rivelarsi più attuale di certe impostazioni che insistono unilateralmente sul passaggio “epocale” al lavoro immateriale e sottovalutano le dimensioni del comando capitalistico.
Alberto Burgio afferma la possibilità di leggere tanto Marx quanto Foucault come due diverse imprese fondamentalmente critiche. L’esigenza di staccarsi dalla vulgata che vuole un Foucault senza (o contro) Marx, deve farci chiedere da dove proviene: in primo
luogo da Foucault stesso che, contestando il ricorso rituale e intimidatorio a Marx, usa Marx senza citarlo, e spesso laddove Marx è per lui
più importante. Identificare questo Marx non citato è decisivo in quanto ci permette non solo di capire meglio Foucault e il suo rapporto con Marx, ma anche Marx stesso. Foucault ha ricordato l’importanza di Marx per lo sviluppo del concetto produttivo di potere, riguardo
sia al potere disciplinare sia alla storia della sessualità. La derivazione marxiana è esplicita, così come è decisivo il ruolo dei rapporti capitalistici. Contro le ricorrenti letture economicistiche di Marx, Foucault ci ricorda che Marx è un eccezionale analista dei rapporti di
potere. Di più, Foucault mette in campo un concetto di egemonia che rinvia chiaramente a Gramsci. Ma resta il limite dell’analisi molecolare del potere che, secondo Burgio, non riesce a rendere conto delle crescenti divaricazioni e gerarchizzazioni.