L’onore perduto di Costermano

Quando il premier giapponese Junichiro Koizumi si inchina a Tokyo davanti al tempio shintoista Yasukuni – l’ultima volta lo ha fatto il 17 ottobre scorso – dalla Cina e dalla Corea grandinano proteste. A Yasukuni vengono infatti venerati anche i nomi di criminali di guerra, compresi tra quelli di due milioni e mezzo di caduti dell’esercito nipponico. I nomi sono scritti su tavolette di legno, custodite in uno scrigno inaccessibile. Quando invece il console tedesco a Milano Folkmar Stoecker depone una corona nel cimitero militare tedesco di Costermano – tonerà a farlo domani, 13 novembre in occasione del Volkstrauertag – il parroco del paese affacciato sul lago di Garda, don Giorgio Scala, dà la sua benedizione. Le associazioni degli alpini sono presenti. Il coro locale si esibisce. Carabinieri scattano sull’attenti. Il ministro della difesa della repubblica «postfascista», Antonio Martino, manda delegazioni militari. Risuona perfino l’inno di Mameli (che c’entra in un cimitero di guerra tedesco?), insieme al Deutschlandslied. Eppure, il cimitero di Costermano, in provincia di Verona, è lo Yasukuni tedesco. Con l’aggravante che a Costermano non vengono riveriti solo criminali di guerra, ma anche responsabili di crimini contro l’umanità. Qui nomi e gradi dei caduti non sono scritti su tavolette di legno, ma su grossi fogli di metallo argentato, incernierati in otto volumi, che si possono sfogliare come Bibbie. Sono deposti su leggii di pietra in una specie di cappella, in una nicchia della costruzione che si erge al centro del cimitero, e che ancora nel 1994 veniva chiamata «sala d’onore». La cappella è chiusa da un cancelletto. I visitatori non vi possono accedere, a meno che non insistano con il guardiano per farselo aprire. Gli albi racchiudono segreti scomodi. Vi vengono eternati 43 capi delle Ss e circa cinquecento sottufficiali e militi della stessa formazione, considerata in toto un’organizzazione criminale dai giudici di Norimberga. Alcuni nomi rimandano alle stragi di civili in Italia, in cui, oltre alle Ss, si distinsero anche soldati della Wehrmacht.

Capi e gregari della Aktion Reinhard

A Costermano sono sepolti anche almeno dodici tra capi e gregari della Aktion Reinhard, nome in codice per la «soluzione finale della questione ebraica» nel Governatorato generale polacco, la parte della Polonia non annessa direttamente al Reich. In nessun altro cimitero di guerra c’è una simile truppa di macellai. Si erano addestrati uccidendo malati psichiatrici e handicappati nel programma di «eutanasia» nazista. Poi comandarono o fecero funzionare i campi di sterminio di Belzec, Sobibor, Treblinka e Majdanek. Continuarono a ammazzare nella Risiera di San Sabba, nel Friuli e in Istria. Nei lager loro affidati furono uccisi due milioni di ebrei. Passarono per il camino. Per dargli una sepoltura decente, paragonabile a quella dei loro assassini, ci sarebbe voluto un campo cento volte più grande di quello di Costermano, con i suoi 22.000 morti.

Dagli albi celebrativi vennero depennati nel 1992 tre nomi della Aktion Reinhard, i più ingombranti, quelli di Christian Wirth, Franz Reichleitner e Gottfried Schwarz. Ma nove nomi della stessa truppa, di rango inferiore, ma insostituibili come specialisti delle camere a gas e dello smaltimento dei cadaveri, sono tuttora menzionati nelle bibbie metalliche di Costermano. La presenza a Costermano degli uomini della Aktion Reinhard si è scoperta un po’ alla volta. Nel 1988 il console generale tedesco a Milano, Manfred Steinkühler, venne a sapere di Christian Wirth, e tanto gli bastò per rifiutarsi di deporre corone in quel cimitero. Wirth fu ispettore delle sei cliniche della morte coinvolte in Germania e in Austria nel programma T4, nome in codice dall’indirizzo Tiergartenstrasse 4 a Berlino, dove risiedeva l’ufficio centrale. Le cliniche erano a Grafeneck, Brandenburg, Hartheim, Sonnenstein, Bernburg, Hadamar. Tra il 1940 e il 1941 lì si uccisero 70.273 malati psichiatrici e handicappati (complessivamente, secondo la stima del Tribunale di Norimberga, le vittime delle diverse azioni d’«eutanasia», anche nei territori dell’est occupati, furono 275.000. Tra loro, neonati e bambini handicappati, epilettici, anziani non autosufficienti). Per il programma T4 Wirth ideò e sperimentò le camere a gas a monossido di carbonio. Come ispettore del «Kommando speciale Reinhard», organizzò poi i campi di sterminio di Belzec, Sobibor, Treblinka e Majdanek. Dall’autunno 1943 al maggio 1944, comandò il lager di San Sabba. Pochi giorni dopo il gran rifiuto del console Steinkühler, l’Arena di Verona rintracciò a Costermano l’austriaco Franz Reichleitner, funzionario dell’«eutanasia» a Hartheim, comandante a Sobibor, dal ’43 rastrellatore di ebrei e partigiani a Fiume. E Gottfried Schwarz, vice di Wirth a Belzec, poi in servizio a Majdanek. Gli fu in seguito assegnata la zona di Udine, con gli stessi compiti di Reichleitner. Il governo italiano protestò. Per qualche anno le nostre «autorità» disertarono le cerimonie a Costermano. La normalità sembrò tornare nel 1992, con la radiazione dagli «albi d’onore» di questi tre signori. Ma erano solo la punta dell’iceberg.

Gli albi della discordia

Il problema di Costermano non riguarda le tombe: i morti sono morti, requiescant in pace. Il problema sono i vivi, gli incorreggibili cultori della mitologia militarista – in Germania come in Italia e in Giappone – che sulle tombe celebrano riti giustificazionisti. Tutti i caduti sarebbero «vittime della guerra». Tutti vanno «onorati» per incoraggiare le nuove reclute a ammazzare e a farsi ammazzare nelle guerre presenti e venture. Problematici sono, insomma, quei disonorevolissimi «Albi d’onore». Tanto più che a Costermano, in quelle Bibbie blasfeme, sono stati iscritti anche soldati uccisi dalla Wehrmacht perché disertori o traditori. Non sappiamo quanti. Ma sappiamo di cinque di loro, fucilati a Albinea, vicino a Reggio Emilia, perché collaboravano con i partigiani. Per le loro famiglie la menzione negli albi, in postuma reimposizione della disciplina da loro infranta, è un oltraggio. Nell’aprile del 1994 si cosituì a Berlino e a Verona una iniziativa italo-tedesca «Per la memoria a Costermano» (chi scrive ne fa parte, e non dà garanzia di imparzialità). Quella Bürgerinitiative chiedeva che si rinunciasse in quel cimitero alla retorica dell’onore, che vi si apponesse un’iscrizione che nomini i crimini e ne ricordi le vittime, che si togliessero gli albi che fanno di Costermano un tempio Yasukuni. Il Volksbund, l’ente tedesco per i cimiteri di guerra, ha ceduto sul piano della terminologia. Da un anno gli albi hanno nuovi frontespizi. Non vi si legge più «Albi d’onore» ma «Libri dei nomi». Ma forma e intento celebrativo restano immutati. Immutati i nomi.

Da Treblinka a Costermano

Ecco quelli che più bruciano, a cominciare dalla squadra dell’Aktion Rheinhard, con gli «incarichi di servizio» ricoperti. Max Gringers, clinica di Hartheim (programma d’«eutanasia» T4) e lager di Belzec. Emil Kostenko, citato dallo storico Michael Tregenza come appartenente alla Aktion Reinhard. Non sappiamo con quali impieghi. Alfred Löffler, lager di Majdanek. Karl Pötzinger, cliniche di Bernburg e Brandenburg; lager di Treblinka e Sobibor. Karl Richter, cliniche di Hartheim, Hadamar, Sonnenstein; lager di Sobibor e Treblinka. Christian Schmidt, citato da Michael Tregenza come appartente alla Aktion Reinhard. Non se ne conoscono le destinazioni di servizio. Erich Schulz, cliniche di Grafeneck, Hademar, Sonnenstein; lager di Sobibor e Treblinka. Otto Weiss, lager di Sobibor. Johann Schwarzenbacher, formalmente non inquadrato nella Aktion Reinhard, era però assegnato al comando delle Ss e della polizia di Lublin agli ordini di Odilo Globocnik, il capo della Aktion Rheinhard. Schwarzenbacher comandava una compagnia ucraina di «Trawniki» (dal nome del campo dove venivano addestrati), utilizzati come guardie a Treblinka, Belzec, Sobibor. Poi a Trieste con Wirth.

Altri nomi negli albi vengono indicati come colpevoli nei fascicoli delle inchieste sulle stragi in Italia. Ne citiamo alcuni a titolo d’esempio. Friedrich Schmidkonz, comandante della 3. compagnia Ss-Panzer-Aufklärungs-Abteilung 16, il battaglione comandato da Walter Reder e responsabile delle stragi di Valla, Vinca e Marzabotto. Schmidkonz e i suoi uomini furono responsabili delle stragi di Casaglia (80 donne e bambini massacrati del cimitero di quella località) e di Caprara. Sepp Laubichler, SS-Obersturmführer della Sicherheitspolizei in Italia, a Firenze e Forlì, poi assegnato al Kommando Andorfer, indicato come responsabile di numerosi crimini. Helmut König, membro del Battaglione Reder. Era a Marzabotto. Ferito a Cadotto, dove avvenne la strage di circa 30 civili. Alfred Wagner, Ss, coinvolto nella strage di Sant’Anna di Stazzema. Sarebbe un’illusione se il Volksbund credesse di togliersi d’impaccio con una nuova «epurazione». In dieci anni dovrebbe farne un’altra. Non si finirebbe mai. Meglio toglierli quegli «Albi d’onore» o «Libri dei nomi».

Devo molte informazioni agli storici Michael Tregenza e Carlo Gentile. Suggerimenti e verifiche in loco a Manfred Steinkühler, Eva Watschkow e Carlo Saletti. Li rigrazio tutti. La responsabilità per eventuali errori è tutta mia. (g.a.)